sabato 29 marzo 2008

J. ROLOFF, Gesù, Einaudi, 2002, p. 127, euro 7,50

Un gustoso e ben fatto “bignamino” da parte di un importante – e non più giovanissimo – esegeta tedesco, che – per quanto lo concede il limitatissimo spazio dell’opera – non tralascia di confrontarsi con i più recenti sviluppi della ricerca (citando, seppur criticamente e solo di passaggio, anche autori come Crossan e Mack). La struttura è quella “classica” che prevede, nell’ordine, la presentazione del problema delle fonti, del contesto storico e sociale del giudaismo al tempo di Gesù, degli inizi di Gesù accanto al Battista, del messaggio centrale del suo ministero – ossia il regno di Dio, ben indagato nei suoi vari aspetti – e infine degli eventi finali della sua vita. In conclusione, l’Autore cerca di trarre le somme della vicenda di Gesù anche affrontando il problema della nascita della fede cristologica. Egli scrive:
Gesù di Nazareth era un ebreo, profondamente radicato nella religione e nelle visioni teologiche del giudaismo coevo. (…) Non trascese mai i limiti del giudaismo, né con le sue particolari aspettative escatlogiche, né con il suo atteggiamento nei confronti della Torah. La sua stessa missione era rivolta al giudaismo: egli si considerava il rinnovatore profetico di Israele, di certo non l’instauratore di una nuova religione mondiale. (…) Ciononostante, la storia gli ha attribuito il ruolo di capostipite di una nuova religione (…). Come si è arrivati a questo? Quali presupposti offre la storia di Gesù per una simile evoluzione? Occorre anzitutto ricordare l’autorevolezza della sua missione. Gesù non si considerava un semplice predicatore del regno di Dio, bensì il suo rappresentante (…) manifestando una vicinanza a Dio che non trova paragoni. (…) La questione di alcuni appellativi utilizzati da Gesù, i cosiddetti “titoli cristologici”, dev’essere invece trattata con una certa prudenza (…). L’autorità conferita a Gesù non era espressa tanto da questi appellativi, quanto dall’importanza incomparabile del suo messaggio e delle sue azioni. Tutto questo è sufficiente per confermare l’esistenza di una cristologia implicita (p. 117-118).
In sintesi: un’ottima “prima lettura” sull’argomento, ingiustamente passata sotto silenzio nel panorama editoriale.

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