lunedì 20 dicembre 2010

Gesù, la purità rituale, i peccatori. Un triangolo, un cliché

I due ultimi libri di Giorgio Jossa mi lasciano abbastanza insoddisfatto su molti punti sui quali vorrei soffermarmi, ma non ne ho purtroppo il tempo. Mi concedo giusto qualche osservazione a partire da un’affermazione che Jossa fa di passaggio nel suo Gesù. Storia di un uomo, allorché tratta delle presunte “libertà” che Gesù si prende nei confronti della legge mosaica, e nella fattispecie delle norme di purità.

A pag. 94 si legge: “Gesù ha mostrato scarsa attenzione a queste norme. Già lo stare a tavola con i pubblicani e i peccatori, trattandosi di persone probabilmente impure, doveva porre inevitabilmente anche problemi di purità”. Questo ragionamento purtroppo è completamente inficiato da una confusione fondamentale.

Jonathan Klawans (Impurity and Sin in Ancient Judaism, 2000) ha illustrato molto bene come in tutta una serie di opere bibliche ed intertestamentarie (Levitico, Numeri, Ezra, Nehemia, Rotolo del Tempio, Documento di Damasco, Libro dei Giubilei) siano chiaramente distinguibili, e permangono come tali, due diverse forme di impurità: una impurità rituale legata agli ambiti naturali della sessualità, della nascita e della morte; e una impurità morale causata da “abomini” come l’idolatria, l’omicidio e peccati sessuali.

Nel primo caso si tratta di una impurità non-peccaminosa, bensì inevitabile e perfino doverosa, che si propaga per contatto, ma in modo non-permanente e facilmente removibile, e che ha come effetto l’esclusione temporanea dal santuario o, in certi casi, dalla comunità. Nel secondo caso, si tratta di un’impurità peccaminosa, non trasmettibile e per nulla incompatibile con l’accesso al tempio (ma capace di contaminarlo moralmente – e non ritualmente –, anche a distanza, come pure la terra d’Israele in genere, fino a determinare l’esilio), e rimovibile non mediante abluzioni, ma solo con la punizione (che può essere la morte) e l’espiazione.

Una fusione di queste due distinte forme di impurità, sembra essere stata tipica solo della comunità di Qumran, nella quale il peccato era considerato causa di impurità rituale e, viceversa, l’impurità rituale peccaminosa. All’opposto dei qumraniti, i successivi maestri tannaitici svilupparono ulteriormente la distinzione biblica in quella che Klawans definisce una “compartimentalizzazione” delle due impurità.

Tornando a Jossa, il problema nella sua affermazione è la mancata realizzazione del fatto che, di per sé, il frequentare un peccatore non comprometteva affatto la purità rituale. In linea generale, Gesù non avrebbe dovuto compiere alcuna pratica di purificazione per il fatto di essere entrato in contatto con un ladro o un pubblicano, come pure con un pagano (le preoccupazioni che diversi scritti hanno per i gentili come fonte d’impurità riguardano infatti la sfera morale: la loro idolatria, le loro perversioni sessuali). E tantomeno Gesù, venendo in contatto con costoro, avrebbe compromesso la sua purità morale, dal momento che questa era una realtà individuale e non-trasferibile, e che oltretutto egli si associava a loro non certo per approvarne le azioni, bensì per correggerle così da reintegrare quelle “pecore perdute” nell’Israele in-via-di-restaurazione.

Né si può assumere gratuitamente che i “peccatori”, per il solo fatto di essere tali, fossero automaticamente irriguardosi delle basilari norme di purità rituale. Cosa impedisce di pensare che un peccatore come Zaccheo non ci tenesse ad immergersi dopo aver avuto rapporti sessuali? O per quale ragione si dovrebbe assumere che un peccatore se ne infischiasse della kashrut e banchettasse a base di porco e coniglio? E in ogni caso, quand’anche questi peccatori fossero stata gente che se ne fregava completamente della purità rituale (o che, nel caso del prostitute, non potessero farci niente), per riguadagnare la purità perduta nell’accostarsi a loro, Gesù non avrebbe dovuto perdere che pochissimo tempo e fatica (il fatto che i vangeli non ci dipingano un Gesù nell’atto di immergersi è perfettamente spiegabile con l’assoluta banalità e non-memorabilità di tale pratica).

In conclusione: i contatti che Gesù ebbe con i “peccatori” - avessero o meno conseguenze per la sua purità rituale (ma non certo per il loro essere “peccatori”) - non costituiscono in alcun modo un argomento per stabilire quale opinione e atteggiamento egli avesse rispetto alle norme bibliche di purità. Parlare a questo riguardo di "prese di libertà" è completamente fuori luogo, dal momento che la Torah non prescrive affatto di non contrarre impurità, ma solo come purificarsene una volta contratte. Non è detto che associandosi ad un peccatore egli si contaminasse ritualmente, e anche se ciò fosse accaduto (come pure è probabile), egli avrebbe facilmente saputo riacquistare lo stato di purità, sicché tutto ciò che se ne potrebbe concludere è solo che la preoccupazione per la purità rituale non era per lui un'ossessione tale da impedirgli di cercare di convertire un peccatore. Il che è ben poca cosa.

giovedì 18 novembre 2010

A shaman-like millenarian prophet?

Mi riallaccio volentieri ad un post su Paulus 2.0 (che a sua volta rimanda al blog di Loren Rosson) in cui si segnalano i libri di Pieter Craffert (2008) e Dale Allison (2010), come indicatori delle attuali tendenze nella ricerca sul Gesù storico.
Secondo Rosson le due opere manifestano affinità a prima vista sorprendenti, dal momento che l'una delinea la figura di uno sciamano, l'altra del classico profeta apocalittico (e tuttavia se, come è stato sostenuto, sciamani erano anche i "descenders to the chariots" degli scritti "hekhalot", e se questi rappresentano a loro volta uno sviluppo della letteratura apocalittica - ecco che la sorpresa è già ridimensionata).
A mio modesto giudizio gli approcci (e i risultati) dei due studiosi restano notevolmente differenti (Craffert ambisce addirittura a segnare una svolta storiografica), sebbene io stesso riconosca una significativa convergenza nel comune abbandono - per strade diverse - della pretesa di poter autenticare singoli detti o fatti di Gesù.

Qui vorrei però dire la mia sul confronto tra la tipologia sociale dello sciamano e quella del profeta apocalittico. Una volta riconosciuto quello che è chiaramente il maggior punto di contatto tra di esse - le esperienze di rivelazione e di accesso al mondo celeste -, la mia impressione è però che lo sciamano sia una figura decisamente più “statica” del profeta.
Lo sciamano agisce infatti – nelle sue varie funzioni di guaritore, rivelatore, custode/innovatore del patrimonio culturale – nei confronti e a beneficio di una comunità, il cui riconoscimento è la condizione di possibilità del suo stesso ruolo.
Questa “integrazione” non mi sembra invece essere così essenziale del profeta, il quale non di rado appare come una figura dai tratti conflittuali (e non è certo un caso che la dimensione conflittuale della vicenda di Gesù non riceva pressoché alcuna attenzione nel libro di Craffert).
Comunque stiano le cose in astratto, nel caso di Gesù penso che il suo stile di vita itinerante, il suo ruolo di outsider e la sua stigmatizzazione come deviante non s’inquadrino benissimo entro il modello sciamanico. Ritengo perciò preferibile vedere in Gesù il leader profetico (con venature sciamaniche, se si vuole) di un movimento, piuttosto che il broker celeste di una specifica comunità.

giovedì 23 settembre 2010

C'era una volta un teologo...

Un teologo accese una lanterna in pieno giorno, raggiunse la piazza del paese e cominciò a gridare: “Cerco l’uomo! Cerco l’uomo!”. In un baleno, usci e finestre si spalancarono da ogni lato e uno sciame caotico di voci e schiamazzi avvolse il teologo. Dopo qualche istante di sbigottimento, il teologo riprese coraggio, si lucidò gli occhiali e cominciò a guardare un po’ meglio intorno a sé.

Dall’osteria a due passi, un gruppo di persone, tutti intenti a giochicchiare con palloncini colorati, tra cui spiccava un certo Funky Bob, gli si rivolgeva animatamente: “E’ qui, è qui al party che scherza e si sollazza con vino e porchetta insieme a tutti noi!”.

E subito la voce gentile di un omino esile di nome Dominique Croissant, lo corresse affettuosamente: “Dai vecchio Bob, non essere così gretto! Sì, d’accordo, cibo, bere e perfino cure gratis per tutti sono una gran cosa. Ma non banalizziamo: quello che veramente accade qui dentro è molto di più: è una rivoluzione, è un mondo alternativo in cui tutti siamo fratelli. Un mondo proprio come lo vorrebbe il buon Dio”.

BUUURP! Improvvisamente le amichevoli parole di Dominique furono interrotte da un rumore cavernoso, proveniente giusto da due passi più in là, fuori dalla porta dell’osteria, dove stavano due individui dall’aspetto sudicio e poco rassicurante. Uno pisciava contro il muro, l’altro se ne stava acquattato dentro una botte, fischiettando imperturbabile un motivetto, incurante di tutto il trambusto in corso. Il primo rivolse, svogliato, una mezza parola al teologo: “Burp… io mi chiamo Burton Crack. Chi cerchi probabilmente è lui – disse,accennando con un lieve movimento del capo al suo amico nella botte – , o magari no. Ad ogni modo, chissenefrega”.

“Ma piantala, testa parlante! – lo interruppe a sua volta un altro tizio, proveniente dal centro della piazza - Con la farsa di questo tuo evasivo menefreghismo piccolo-borghese, non fai che il gioco dei potenti!” . “Buon giorno, compagno! – si rivolse poi al teologo – Il mio nome è Richard, Richard “il cavallerizzo”, e colui che cerchi è laggiù, in mezzo a quella folla, vedi? Stiamo facendo un’assemblea popolare, c’è tutto il paese… o quasi… perché dobbiamo essere uniti – così lui ci dice -, porre fine ai nostri contenziosi, e capire che solo maturando una vera coscienza di classe contadina saremo in grado di resistere…”.

“Ma resistere a cosa, a chi, buono uomo? Alle tasse, alle angherie dei preti cattivi asserviti ai re, per non parlare del bigottume degli uomini di legge? ” – soggiunse ironicamente un signore elegante e ben educato, seppur con uno stridente accento texano – Ma suvvia, guardati intorno: credi davvero che la vita quaggiù sia peggiore e più intollerabile che altrove? E dove sarebbero poi tutte queste tasse e questa fantomatica folla arrabbiata di cui vai blaterando? Buon uomo, tutto quel che mi riesce di vedere è invece che il grande e il piccolo osservano la stessa legge, frequentano gli stessi bagni comunali, e, quando tempo e impegni lo permettono, salgono sullo stesso autobus per andare alle grandi celebrazioni in città!”.

“Buongiorno! – disse a quel punto l’uomo ben educato, rivolgendosi al teologo -. Il mio nome è Edoardo Parrocchia S. e non ho potuto fare a meno di sentire che stavate cercando qualcuno. Purtroppo non so dirvi dove ora si trovi. Tutto ciò che so, e che ritengo sia possibile sapere con un ragionevole grado di probabilità, è che è stato qui e che si è creato un piccolo seguito a cui promise un grande destino in un qualche “regno” che si sarebbe dovuto manifestare molto presto. Certo era un sognatore, ma non mi risulta in ogni caso che abbia mai avuto grane con nessuno, e, checché ne dicano gli altri, anche l’ultima volta che lo si è visto – presso il tempio giù in città, intento, pare, a ribaltare due o tre tavoli -, dubito che intendesse davvero fare polemiche o creare disordini, piuttosto che dar semplicemente sfogo a qualche impulso del suo spirito utopico. Anche se forse, dopo tutto, quella potrebbe non essere stata la più prudente delle idee…”. “Sempre che abbia fatto veramente qualcosa, nel tempio, Ed!” – lo interruppe una passante di aspetto assai gradevole. “D’accordo, Paula, d’accordo” – replicò lui, sorridendo bonariamente.

Ed ecco che subito gli si avvicinò un uomo delicato e dagli occhi tristi, di nome Dale Jr., o piu semplicemente Junior, che, annuendo, si riallacciò alle parole del gentleman texano: “Sì, l’ho visto anch’io. Era proprio un sognatore e le sue parole di speranza mi hanno incantato. Noi tutti eravamo ricolmi del più alto entusiasmo, ed era come se le sue promesse di beatitudine e di soluzione di ogni male e ingiustizia, di un mondo completamente rinnovato e trasformato, senza più lacrime e lutto, stessero già per materializzarsi davanti a noi. E invece tutto è finito ed ogni cosa è rimasta esattamente quella di prima. E benché tutte quelle speranze non fossero appunto altro che sogni, io credo nondimeno che è proprio in nome di questi sogni, e solo di essi, che valga la pena continuare a vivere”.

“Oh, piantala Dale con questi piagnistei – proruppe vigorosamente un uomo di grossa stazza dalla testa ovale e calva, che avanzava, in abito ecclesiastico, a grandi passi dalla cattedrale -. Ma è possibile che tu sia ancora così imbevuto di quel crasso letteralismo che vede dappertutto la fine del mondo, dello spazio-tempo, e uomini che volano sulle nubi? Su dai, vieni con me, e venite anche Voi – disse rivolendosi al teologo – dentro in chiesa, che ci sediamo nella cappella di San Schweitzer e vi rispiego daccapo la storia della sua fondazione. Sì, perché dovete sapere che la nostra chiesa è nata proprio da quell'uomo che voi cercate, anzi, è veramente la piena, perfetta e insuperabile realizzazione di tutte le sue profezie di redenzione e di giudizio che erroneamente tu, Dale, intendevi in senso cosmico. Ma fidati di me, che so riconoscere una buona metafora quando ne incontro una: lui non parlava d’altro che dell’abbattimento del vecchio tempio giù in città, ormai troppo logoro per poter essere restaurato, e della conseguente erezione della nostra bellissima cattedrale e della nascita del vero popolo di Dio, che io, vescovo Nicola Tommaso il Giusto, ho la grazia di poter guidare”.

Il teologo si fermò a contemplare ammirato la grandiosa maestà della cattedrale, ma dopo poco il suo sguardo non poté fare a meno di spostarsi su di un altro edificio, ancora più monumentale del primo, ma che a differenza di questo non aveva per nulla l’aspetto di un luogo sacro. Era piuttosto un palazzo immenso, composto di quattro enormi piani, e che al tempo stesso sembrava però essere ancora incompiuto, un cantiere aperto, quasi che non potesse smettere di continuare a crescere all’infinito, fino a toccare la cupola del cielo.

D’un tratto, da ognuno dei balconi dei piani del palazzo, si affacciarono quattro omini tutti uguali, magri e dal volto pallido, con enormi paia di occhiali demodé, e tutti portavano sul capo una strana mitra non-papale. “Salve!” – esclamarono in coro, sorridenti e affabili, i sedici omini -. “Io sono Giovanni Paolo il Cattolico” – soggiunsero i primi -; “Io sono Giovanni Paolo il Protestante” – fecero eco i secondi -; “Io sono Giovanni Paolo l’Agnostico” – aggiunsero i terzi; “Io sono Giovanni Paolo l’Ebreo” – dissero infine i quarti. “Siamo chiusi qui dentro da sedici anni in conclave – proseguirono tutti all’unisono – con lo scopo di ricreare in laboratorio l’uomo che anche tu stai cercando. Entra pure se vuoi: al primo piano potrai trovare il suo scheletro, al secondo la sua bocca e qualche suo sputo misto a fango, al terzo ci sono gli elenchi di tutti numeri telefonici che ha chiamato e di quelli che non ha chiamato. Al quarto, poi, i cui lavori sono da poco terminati, potrai udire spezzoni di noiose discussioni legali che ti consentiranno di apprezzare la nostra più certa e straordinaria conclusione: l’uomo che cerchi, non era americano! Ma se vuoi saperne di più, ti consigliamo di accomodarti nell’atrio e aspettare che terminiamo il nostro conclave. Ci metteremo un po’ forse, ma presto o tardi ne usciremo, non temere!”.

A queste ultime parole, il teologo cominciò a sentirsi mancare. Aveva le traveggole e gli pareva di delirare. Vedeva i sedici omini occhialuti guardarlo dall’alto con il loro imperturbabile sorriso, e, girandosi intorno a sé, si accorse che anche tutti gli altri interlocutori precedenti non avevano mai cessato di seguirlo e di sussurrargli i loro discorsi negli orecchi. E, peggio ancora, quanto più in là i suoi occhi si spingevano, e tanta più gente vedeva affluire da ogni direzione, e tutti si sbracciavano e gli gridavano: “E’ qui! E’ qui! Lo puoi trovare da noi!”.

Infine, tutto cominciò ad annebbiarsi e l’ultima cosa che il teologo vide fu la fiamma della sua lanterna spegnersi.

venerdì 17 settembre 2010

Eins, Zwei, Drei – A chi serve la sistematizzazione della ricerca su Gesù?

Se c’è una cosa nel mondo degli studi sul Gesù storico che mi riesce difficile comprendere, è l’intramontabile mania storiografica di periodizzare e sistematizzare la storia della ricerca.

Illuminante da questo punto di vista è il nuovo libro di Giuseppe Segalla La ricerca del Gesù storico (Queriniana), che riprende il diffuso schema First/Old Quest – No Quest - Second/New Quest – Third Quest, incentrandolo non più diacronicamente sulla successione di “fasi” quanto piuttosto sull’individuazione di paradigmi metodologici ed epistemologici che possono ripresentarsi in epoche diverse.

Essi sarebbero essenzialmente tre: 1) il paradigma illuministico (prima ricerca); 2) il paradigma kerygmatico (nuova ricerca); 3) il paradigma giudaico postmoderno (terza ricerca), a cui Segalla aggiunge una fase cronologica di transizione tra il paradigma illuministico e quello kerygmatico (corrispondente al cosiddetto periodo di “no quest”).

Il primo di essi sarebbe rappresentativo oltre che delle opere pionieristiche di Reimarus e Strauss e delle vite di Gesù “liberali”, anche dalla reazione escatologica a queste ultime da parte di Weiss e Schweitzer. E non solo: seguendo forse James Dunn (cfr. La memoria di Gesù vol. 1, pp. 69-74), Segalla include in questo paradigma anche le recenti interpretazioni sociologiche di Gesù da parte di Horsley, Theissen e Herzog e quelle antropologiche di Crossan, Pesce e Aguirre, in quanto appunto esempi di “neoliberalismo sociale”.

Il paradigma kerygmatico invece comprende i due movimenti inversi e complementari succedutisi nell’ambito della teologia kerygmatica: uno di fuga dalla storia (Kähler, Bultmann e la sua ripresa recente da parte di Luke Timothy Johnson) e uno di ritorno alla storia, notoriamente rappresentato dai lavori dei discepoli di Bultmann (Käsemann, Bornkamm, Robinson), ma anche da quello recentissimo dello studioso giapponese Takashi Onuki (Jesus. Geschichte und Gegenwart, Neukirchener Verlag, 2006).

Da ultimo, vi sarebbe il grande paradigma giudaico postmoderno della Third Quest, che secondo l’Autore, presenta una chiara e distintiva identità a livello storiografico, come pure metodologico e teologico.

Dal punto di vista storiografico, questo paradigma sarebbe caratterizzato dal riconoscimento dell’impossibilità di un atteggiamento puramente oggettivo dello storico verso il suo oggetto (oggettività che non può dunque più essere rivendicata dallo storico non credente rispetto a quello credente, anzi); visione pluralista e non più monolitica del giudaismo del tempo di Gesù; approccio olistico (detti e fatti) e abbandono della trattazione analitica delle singole tradizioni su Gesù in favore di una visione complessiva della sua figura e vicenda (Segalla nota però che questo non è il caso di Meier).

Dal punto di vista metodologico, il nuovo paradigma si caratterizza per il ricorso ad una più ampia gamma di fonti sia indirette (scritti di Qumran, Nag Hammadi, letteratura intertestamentaria) che dirette (vangeli extra-canonici, i quali però vengono però ritenuti da Segalla, sulla scia di Meier, storicamente non affidabili o ininfluenti), per il ripensamento dei tradizionali criteri di autenticità e per l’apporto dei metodi sociologici, antropologici e letterari. Infine, dal punto di vista teologico, il paradigma della Terza Ricerca si caratterizza per la distinzione ma al tempo stesso per il legame e l’inseparabilità tra metodo storico e metodo teologico, dal momento che la fede è parte integrante delle testimonianze storiche su Gesù e che l’indagine storica aiuta a comprendere lo sviluppo della fede cristologica.

Segalla resta invece un po’ sul vago quando si tratta di illustrare non le caratteristiche bensì i concreti esponenti di questo paradigma. Non certo gli studiosi afferenti il Jesus Seminar, che vengono invece inquadrati come una ripresa della Prima Ricerca, con influssi della Seconda. Senza dubbio rappresentativi sono invece Sanders e Charlesworth, come pure Meier, la cui opera viene esplicitamente giudicata la migliore della Terza Ricerca, nonostante il fatto che il suo approccio analitico sia diametralmente opposto alla “visione d’insieme” (alla Sanders) che dovrebbe essere tipica della Terza Ricerca. Probabilmente Segalla include tra gli esponenti del paradigma anche Puig i Tarrech e Pagola, come pure Dunn e Bauckham, sebbene a proposito di questi ultimi egli sia incerto se si debba parlare di un “secondo versante della Terza Ricerca” o di un vero e proprio quarto paradigma.

Ora, uno può essere più o meno d’accordo o in disaccordo con questa rappresentazione storiografica della ricerca proposta da Segalla e che con le caratteristiche che egli ravvisa nei vari paradigmi elencati (e, limitandomi anche solo a quello della presunta Terza Ricerca, io dubito che si possano effettivamente ravvisare tutte quelle convergenze a livello storiografico, metodologico e teologico che Segalla ritiene di aver individuato). Ma quello che io mi chiedo è, quand’anche la si accetti, che cosa se ne guadagna? Qual è la sua utilità? La mia opinione è che essa non conduca ad altro che ad una serie di etichette notevolmente astratte che non solo non apportano alcun insight positivo, ma addirittura rischiano di risultare equivoche e fuorvianti.

Cosa ho guadagnato quando ho messo in uno stesso pentolone illuminista e liberale (o neo-liberale) Reimarus, Strauss, Renan, Weiss, Schweitzer, Theissen, Horsley e Crossan, e in un altro pentolone postmoderno Sanders, Meier, Puig i Tarrech, Dunn e Bauckham? Questi accomunamenti aiutano a comprendere meglio le posizioni degli studiosi in questione? O piuttosto sono realizzati ad un livello di astrazione tale da rappresentare poco o nulla di esse, o, peggio ancora, da indurre il lettore non specializzato a giudizi privi di reale fondamento?

Francamente non mi riesce proprio di capire come si possa pretendere di dare un contributo positivo di conoscenza, quando si sussumono 230 anni di ricerca e centinaia di studiosi in tre grandi barattoli. Penso che si possa fare della buona storiografia rinunciando a grandi generalizzazioni e limitandosi a fare accostamenti, individuare filoni e tracciare tendenze nella misura in cui ciò si rivela effettivamente significativo. L’identificazione di modelli e paradigmi può essere utile solo entro un certo grado di astrazione, oltrepassato il quale si ha solo il flatus vocis.

Nel complesso, l’impressione che mi sono fatto di questa schematizzazione della ricerca (consapevolmente didattica) offerta da Segalla, è che altro non sia che un prontuario ad uso di teologi che non hanno o il tempo o la voglia di cimentarsi con la estrema varietà, pluralità e contraddittorietà di approcci e risultati che caratterizzano ineludibilmente il panorama della ricerca. Siccome una ricognizione della ricerca per quello che realmente è, risulterebbe di fatto inutilizzabile per il teologo, si cerca allora di confezionargli una fantomatica Terza Ricerca che presenti una tanto chiara quanto inesistente identità a livello di assunti storiografici, metodologie e rapporto epistemologico con la fede, così che il teologo è soddisfatto e può cominciare a costruirci sopra.

martedì 1 giugno 2010

Ma come stracazzo Gesù divenne un dio?

Segnalo la traduzione in italiano per Paideia del libro di Larry Hurtado How On Earth Did Jesus Become a God? Historical Questions About Earliest Christian Devotion del 2005 e che raccoglie una serie di conferenze tenute dall'autore alla Ben-Gurion University di Beer-Sheva nel 2004.

Vorrei però lamentare la timidezza della editrice Paideia nell'aver reso il titolo con lo scialbo Come Gesù divenne Dio, perdendo un'ottima occasione per rompere la seriosa monotonia del suo (ottimo) catalogo. Pur non essendo io traduttore, mi sembra infatti che il colore dell'espressione "how on earth", sarebbe meglio reso da un "ma come caspita" o  "ma come cavolo".
E dal momento che tali traduzioni non sarebbero purtroppo riuscite a conservare la felice ambiguità di "earth" (come Gesù divenne un dio sulla terra - peraltro la prima volta che mi ci sono imbattuto, anni addietro, ho temuto che Hurtado intendesse ricondurre la divinità di Gesù alla sua proclamazione pubblica!), avrei rotto ogni indugio e sarei passato ad un bel:

ma come cazzo, anzi, ma come stracazzo Gesù divenne un dio?

domenica 30 maggio 2010

Piccola segnalazione.

Segnalo la seguente guida introduttiva al NT di recentissima pubblicazione: David E. Aune (ed.), The Blackwell Companion to the New Testament, Wiley-Blackwell, Chichester, 2010, molto completa e realizzata da ottimi studiosi, ma è inutile che la descriva, basta andare qui:

http://books.google.it/books?id=ygcgn8h-jo4C&printsec=frontcover&dq=new+testament+aune+companion&cd=1

Insieme a questo Companion edito da Aune, si potrebbe anche suggerire - tra le pubblicazioni più recenti - anche l'opera di Udo Schnelle Einleitung in das Neues Testament, V ed., Vandenhoeck & Ruprecht, Goettingen, 2005, che è stata precedentemente tradotta anche inglese come The History & Theology of the New Testament, Fortress, Minneapolis, 1998, e che è certamente da preferirsi al Companion di Aune quanto alla trattazione dei singoli scritti neotestamentari, ma manca completamente dei pregevoli capitoli metodologici che offre il Companion.

venerdì 30 aprile 2010

Da puttaniere a stronzo: Gesù di fronte al delirio egocentrico del Battista (quasi un Bildungsroman)

Quel Giovanni doveva avere un ego smisurato: potrete essere salvati soltanto attraverso la mia immersione. (…) Ma se Gesù si lasciò battezzare da questo egocentrico, doveva essersi persuaso che avesse ragione: ossia che il dies irae era dietro l’angolo. (…) In quel periodo della sua vita Gesù si considerò un discepolo del Battista e, per breve tempo, lo ammirò molto (…).

Fu obbligato anche lui [Gesù] a confessare che tipo di peccati avesse commesso fino ad allora (…). Non è più possibile appurare quali fossero quei peccati. Forse era stato un puttaniere, più avanti pare che invitasse volentieri prostitute ai suoi pranzi collettivi.

Quando anche Gesù si mise a battezzare, per conto suo, insidiò la posizione eccezionale che si era ritagliato Giovanni. Oggi lo chiameremmo plagio, in quanto Gesù “rubò” il battesimo di Giovanni.

Mi sembra evidente che i discepoli di Giovanni avevano scoperto che Gesù aveva messo su una propria versione del rito battesimale del loro maestro e che, di conseguenza, andarono su tutte le furie e si precipitarono dal Battista per lamentarsi: «Ecco [Gesù] sta battezzando e tutti accorrono a lui».

(…) a mio parere proprio la prima parte del versetto è quella più importante: «Ecco sta battezzando». Il che significa: «Guarda un po’, quello stronzo di Gesù ha pure la faccia tosta di mettersi a battezzare!». L’ostilità dei discepoli di Giovanni trasuda da tutti i pori.

(da P. Verhoeven, L’uomo Gesù. La storia vera di Gesù di Nazaret, Marsilio, Venezia, 2010, pp. 71-83)

Penso che questi pochi estratti rendano bene l’atmosfera del recentissimo libro su Gesù scritto da Paul Verhoeven, meglio noto come regista di immortali capolavori della cinematografia quali Robocop, Basic Instinct e Starship Troopers.

Sarebbe fin troppo facile puntare il dito sulle numerose esagerazioni e le ipotesi peregrine che si incontrano ad ogni pagina. Sarebbe facile e anche un po’ ingiusto. Perché, a dispetto di tutti gli aspetti coloriti e un po' dilettantistici del libro, almeno due meriti vanno riconosciuti a Verhoeven.

1. L’essersi cimentato in modo approfondito con la storia della ricerca su Gesù, da fine Ottocento ad oggi. I riferimenti bibliografici e gli studiosi di volta in volta citati nel volume, sono del tutto seri e rispettabili, e l’Autore mostra di sapersi muovere con una certa dimestichezza all’interno di tale letteratura. Insomma, Verhoeven è per lo meno uno che prima di mettersi a scrivere, ha avuto la decenza di andarsi a leggere un pacco di roba, e questa è una cosa estremamente apprezzabile in chi coltiva una materia da semplice appassionato e non-addetto ai lavori.

2. Verhoeven ha partecipato attivamente alle riunioni del Jesus Seminar (il libro è peraltro dedicato alla memoria di Robert Funk), ciononostante non si fa scrupoli ad andare controcorrente rispetto al Seminar su alcune questioni fondamentali, ad esempio nell’attribuire a Gesù una forte attesa escatologica imminente, al punto che Verhoeven stesso, dopo aver riconosciuto il suo debito nei confronti del gruppo californiano, scrive: “non credo che il Jesus Seminar sia molto felice di questo libro” (p. 16).

In definitiva, penso che il libro di Verhoeven possa costituire una gustosa lettura da spiaggia (o da tazza del cesso), per chi sentisse il bisogno di rilassarsi un poco da tomi più impegnativi.

sabato 17 aprile 2010

Buone nuove da Paideia

La prima notizia è a dir poco sconvolgente: la benemerita casa editrice bresciana si è finalmente decisa a mettere piede nel mondo del web, allestendo un bel sito, che ha il pregio di offrire l'indice di (quasi) tutti i volumi del catalogo. Da tenere d'occhio anche la sezione "offerte".

La seconda è che è uscito il secondo volume del commentario di Matteo dell'esegeta svizzero Ulrich Luz. Il prezzo è sempre da spararsi su un piede, come tutto ciò che Paideia ci traduce, però bisogna dire che questa nuova collana di commentari, è davvero eccellente. E lo stesso dicasi per il lavoro di Luz in particolare, che è certamente il miglior commentario a Matteo sul mercato mondiale (insieme a quello di Davies-Allison per la ICC), lasciandosi decisamente alle spalle la pur pregevole l'opera di Joachim Gnilka quale punto di riferimento obbligato per il lettore italiano. Benché Luz dedichi un significativo spazio alla storia dell'interpretazione delle varie pericopi (cosa a cui io, per ora, non sono più di tanto interessato, ma per altri può essere un punto di forza), va sottolineata la solidità della sua esegesi storica, che affronta regolarmente (e in modo più convincente di Gnilka) le problematiche di critica della redazione, di storia della tradizione e dell'origine del materiale (quest'ultimo aspetto soprattutto nel caso di quello che Matteo ricava da Q e dalla sua tradizione speciale, più raramente invece rispetto al materiale marciano).

Infine, una piccola chicca. Nella premessa alla prima edizione, Luz fa una singolare proposta ai suoi lettori. Preoccupato che il "lettore ideale" per cui ha scritto (ossia colui dovrebbe leggere il commento da principio a fine, e non utilizzandolo come una cava di pietre, spulciando qua e là), non trovi alcun riscontro nella realtà, Luz si lancia in un'ardita promozione:
"Perciò, trasformandomi, per così dire, in agente pubblicitario di me stesso, vorrei fare una proposta: chi si comporta col mio volume come ci si dovrebbe comportare con la storia di Matteo, cioè chi lo avrà letto attentamente dalla prima all'ultima pagina, mi scriva una lettera (Ulrich Luz, Marktgasse 21, CH-3177 Laupen) e io gli invierò, a suo tempo, il terzo volume in omaggio!" (p. 9).

Bravo Ulrich, così si fa! Peccato per noi che tutto ciò sia stato scritto nel lontano 1989...

lunedì 22 febbraio 2010

The Elton (ἐλθὼν) Gospel. Scholar's version

1. "I think Jesus was a compassionate,
2. super-intelligent
3. gay man
4. who understood human problems.
5. On the cross, he forgave the people who crucified him.
6. Jesus wanted us to be loving and forgiving (...)".

Elton John

Legenda:

Red: That's Jesus!
Pink: Sure sounds like Jesus
Gray: Well, maybe
Black: There's been some mistake

Questa è la mia valutazione della visione di Elton John su Gesù, resa attraverso i colori con cui il Jesus Seminar ha valutato i detti e gli atti di Gesù riportati nei quattro vangeli canonici e nel vangelo di Tommaso. (in realtà il Jesus Seminar ha offerto diverse interpretazioni dei colori: questa è la più informale e positiva).

Una breve giustificazione delle mie valutazioni.
Le affermazioni 1 e 6 colgono sicuramente un aspetto fondamentale e storicamente indiscutibile del messaggio e forse potremmo anche dire della personalità di Gesù.
Alla n. 2 ho riservato il grigio in quanto non è chiaro cosa Elton John intenda per "intelligenza", e d'altra parte, qualunque sia il genere di intelligenza che si ha in mente, giudizi di questo genere non possono che essere estremamente soggettivi.
Alla n. 3 ho dato il colore nero perché non ritengo vi sia alcuna base storica per un'affermazione del genere, pace giovinetti nudi che fuggono e baci gnostici. Storicamente più plausibile sarebbe casomai dire che Gesù era un vero e proprio eunuco. In ogni caso, è pressoché certo che in materia sessuale Gesù era un asceta: il suo celibato, volontario o forzato (eunuco?) che fosse, è un dato storico molto solido e che si integra perfettamente con la prospettiva escatologica del suo annuncio.
Alla n. 4 ho elargito benevolmente il colore rosa, in quanto è certamente possibile argomentare che Gesù capiva i problemi della gente che aveva intorno: dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, delle donne, dei malati, dei posseduti. Tuttavia l'affermazione di Elton John è troppo generale e assoluta per potervi assegnare il colore rosso: non è detto che Gesù capisse tutti i problemi umani tout court. Ad esempio si potrebbe sostenere che con la sua utopia del regno di Dio egli mancasse di realismo e quindi capisse meno bene i problemi della politica di quanto sapessero fare Caifa, Erode Antipa, Ponzio Pilato o Andreotti (un altro suo, meno noto, contemporaneo).
Alla n. 5 ho assegnato il grigio, in quanto non nutro molta fiducia nelle informazioni lucane circa le parole di Gesù sulla croce (cfr. Lc 23,34 e anche 22,39-43 e 22,46). Devo dire però che questa frase che Luca pone in bocca a Gesù è coerente con il suo messaggio, per cui facciamo che questo grigio ha qualche "pois" rosa.

martedì 16 febbraio 2010

Uno spettro s'aggira per l'Italia

Un Gesù che rifiuta il tempio.

Un Gesù che rifiuta le leggi di purità.

Un Gesù che rifiuta i sacrifici.

Un Gesù che si presenta pubblicamente come Figlio dell’uomo-in-terra, Messia, giudice escatologico (ed eventualmente essere pre-esistente).

E’ il Gesù di Ratzinger?

Nooo, è il GESU’ ENOCHICO!


(teologo mio, fatti capanna!)

domenica 14 febbraio 2010

Dillo meglio di Gesù!

«Cercate prima il regno della ragion pura pratica e la sua giustizia e il vostro scopo (il beneficio della pace perpetua) vi spetterà da sé».

(Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795. Appendice, I. Sulla discordanza fra la morale e la politica nell'intento della pace perpetua)

giovedì 11 febbraio 2010

Bart Ehrman ovvero: quando i soldi non bastano mai

Tre post fa, avevo mostrato un esempio di presa per il culo editoriale.
Ora invece vorrei puntare l’attenzione su un piccolo e irrilevante, ma un po’ patetico, esempio di presa per il culo autoriale.
L’autore in questione è il popolarissimo studioso americano Bart Ehrman, il quale con tutti i libri che pubblica (peraltro regolarmente tradotti in diverse lingue), non avrebbe certo bisogno di ricorrere a certi mezzucci per incrementare le sue vendite.
Se prendete il suo libro Lost Christianities (Oxoford University Press, 2003; tradotto anche in italiano da Carocci: I cristianesimi perduti), e andate a pag. 95-96, vedete che Ehrman introduce il capitolo 5 sui “poli opposti” degli ebioniti e dei marcioniti, parlando dell’ebraicità di Gesù.
In particolare Ehrman fa un conciso accenno al modo in cui i vari studiosi hanno diversamente inquadrato tale ebraicità all’interno di differenti profili sociali: rabbi e maestro della Legge, uomo santo intimo con Dio e dotato di speciali poteri, rivoluzionario anti-romano, radicale contro-culturale, mago, femminista, profeta apocalittico.
Al termine di questo elenco troviamo una noticina, in cui Ehrman rimanda il lettore interessato a scoprire quali studiosi abbiano sostenuto le singole interpretazioni da lui elencate, al suo libro Jesus. Apocalyptic Prophet of the New Millennium (Oxford University Press, 1999), e per la precisione alla nota n. 1 relativa alle pagine 21-22 (pagine in cui troviamo un analogo elenco anonimo delle varie posizioni):
"For scholars who represent these various positions, see Ehrman, Jesus: Apocalyptic Prophet, 21-22 n.1".
Una volta seguito il rimando e giunti alla noticina, però, la curiosità del lettore viene clamorosamente frustrata! Tutto ciò che troviamo scritto è infatti: “See the following authors in the bibliography: S.G. F. Brandon (Jesus as a revolutionary), R. Horsley (Jesus as a proto-Marxist), E. Schüssler Fiorenza (Jesus as a proto-feminist), M. Smith (Jesus as a magician), G. Downing and J.D. Crossan (Jesus as a Cynic)”.
Tutto qua.
Ora quello che io mi chiedo è: era proprio necessario rimandare il lettore ad un altro libro, per tre misere righe e sei nomi di studiosi? Non poteva Ehrman ripetere queste tre righette anche nel suo Lost Christianities, o in alternativa rimandare il lettore a qualche pubblicazione che illustrasse meglio e con più completezza le varie ricostruzioni del Gesù storico proposte dagli studiosi (ad es. il libro di Mark A. Powell – già uscito da 5 anni allorché Ehrman scriveva il suo rimando – e altri ancora) ???

Caro Bart, che figura barbina…

domenica 7 febbraio 2010

Attualità di un Gesù (eco)apocalittico?

Giovanni Bazzana sul suo blog ha commentato una riflessione di Helen Bond sull’attualità del Gesù apocalittico; un Gesù che, secondo Bond, oggi non può più essere considerato una garanzia contro il sospetto di proiezioni soggettive da parte dello storico.

Infatti, dal momento che scenari di catastrofi ambientali sono ormai all’ordine del giorno, ecco che una prospettiva come quella di Mc 13 (terremoti, carestie, collasso cosmico) suona quanto mai familiare e attuale. Il Gesù apocalittico, insomma, non giunge più a noi come uno straniero, con buona pace di Schweitzer.

Che dire? Secondo me Helen Bond è troppo brava per non accorgersi che quella da lei sollevata può essere una interessantissima questione per le teologie cristiane (e credo che Moltmann si sia occupato abbondantemente di questo rapporto tra escatologia cristiana e futuro della creazione, anche nel contesto delle odierne problematiche ambientali) ma di certo non concerne affatto la figura storica di Gesù.

Lasciando da parte il problema di quanto materiale della apocalisse marciana possa essere verosimilmente fatto risalire a Gesù (e anche i sostenitori dell’apocalyptic Jesus tendono a riconoscere reminiscenze storiche solo in alcuni versi), il punto fondamentale è che lo sguardo escatologico del Gesù storico non era affatto incentrato sulla fine del mondo, bensì sulla venuta del regno di Dio (+ rivelazione del Figlio dell’uomo, giudizio etc. ). E il regno di Dio aveva a che fare con la restaurazione d’Israele (e la fine del dominio di Roma e dei suoi collaboratori), e con una utopia sociale di giustizia a beneficio specialmente di poveri e oppressi. L’escatologia di Gesù, insomma, aveva i piedi ben piantati per terra, e per la precisione nella terra di Palestina e soprattutto di Galilea nel I sec. e.v.

Benché sia del tutto verosimile che la soluzione delle problematiche proprie di tale specifico contesto storico, si rivestisse ai suoi occhi di tinte cosmiche (ossia che avrebbe comportato una trasformazione profonda e complessiva della realtà, a livello per così dire “metafisico”), di per sé né cataclismi ambientali né la distruzione della vita sulla terra, rappresentavano l’oggetto della sua riflessione e del suo annuncio.

Ma la differenza più lampante è che, mentre il Gesù apocalittico “attuale” di cui parla Bond sarebbe un ecologista ante-litteram, ossia uno che mette in guardia dalla fine del mondo per scongiurarla, il Gesù apocalittico “storico”, era, all’opposto, uno che sperava profondamente nell’avvento prossimo dell’eschaton e trovava di che gioirne.

Per cui, non dico che il Gesù storico apocalittico non possa essere co-optato dai dibattiti, dalle ideologie e dalle teologie del nostro tempo, ma di sicuro non lo è (almeno direttamente) relativamente alle questioni ecologiche (come pure quelle belliche, vedi guerre nucleari, scontri di civiltà etc.) che mettono in pericolo la vita o la vivibilità del nostro pianeta.

Da questo punto di vista sono proprio io il primo a dire che: the end-of-the-world-Jesus is not the historical Jesus.

P.S. Intanto che ci siamo, faccio presente che Helen Bond dovrebbe pubblicare un libro divulgativo sul Gesù storico verso la fine di quest'anno. Chi invece volesse conoscere il suo profilo scientifico o vedere che faccia ha, si serva pure qui.