Per una presentazione generale del volume si vedano i due post che il mio alter-ego Johannes DeSilentio ha riportato nel suo blog http://www.johannesdesilentio.splinder.com/ (si tenga però presente che, all’epoca, DeSilentio si muoveva per lo più all’interno di un’ottica cristologico-fondamentale, non essendo ancora sufficientemente svezzato dal punto di vista della storia “dura e pura”).
Io, Johannes Weiss, che non ho alcun interesse propriamente detto per le implicazioni della ricerca storica nei confronti della fede, non mi assocerò ai tanti, e spesso ingiusti, cori di critica giunti anche da biblisti non del tutto sprovveduti come Ravasi e Cantalamessa.
Il mio giudizio, molto più semplicemente, è che si tratta di un buon libro, con diverse ottime intuizioni del prof. Pesce, ma che risente dell’approccio un po’ troppo giornalistico (in senso talvolta anche un pochino deteriore) di Augias.
La presentazione che Pesce fa di Gesù nei termini di un profeta escatologico convinto che Dio avesse iniziato a trasformare il mondo, e di una figura al contempo profondamente mistica e profondamente impegnata negli aspetti e nelle problematiche sociali del proprio contesto, è di per sé eccellente.
Tra i vari passaggi interessanti del libro, uno particolarmente ben riuscito che merita proprio di essere ripreso, è il seguente:
Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione. Non era un cristiano. Era convinto che il Dio delle Sacre Scritture ebraiche stesse cominciando a trasformare il mondo per instaurare finalmente il suo regno sulla terra. Era del tutto concentrato su Dio e pregava per capire la sua volontà e ottenere le sue rivelazioni, ma era anche del tutto concentrato sui bisogni degli uomini, in particolare i malati, i più poveri e coloro che erano trattati in modo ingiusto. Il suo messaggio era inscindibilmente mistico e sociale.
Come ho già scritto in un post precedente di questo blog, il prof. Pesce (si veda anche il suo Forme culturali del cristianesimo primitivo, Morcelliana) a mio avviso ha intuito (non so però fino a che punto ne sia consapevole) la via d’uscita da quell’impasse che blocca buona parte del dibattito nordamericano, là dove diversi studiosi (Borg, Crossan, Patterson) ritengono che la sottolineatura della fondamentale dimensione sociale del ministero di Gesù sia incompatibile con l’abituale affermazione di una sua predicazione escatologico-apocalittica. L’errore di fondo sta nel vedere nelle speranze apocalittiche un fenomeno di rassegnazione passiva, di rinuncia totale alla trasformazione di un mondo ormai radicalmente corrotto. Come altri hanno mostrato (ad es. Horsley), è vero proprio il contrario: l’apocalittica ha, almeno potenzialmente, delle fortissime implicazioni a livello sociale e politico. Gesù ebbe un forte messaggio sociale proprio grazie alla sua fondamentale convinzione escatologico-apocalittica, e non a dispetto di essa!
Ed è quindi molto giustamente che Pesce definisce l’utopia di Gesù (cioè quella del regno di Dio) come “un’utopia pratica (…) capace di incendiare il cuore dei singoli e delle masse” (p. 219).
Pesce riconosce apertamente tutto questo quando scrive che
l’idea stessa del regno di Dio implica un sommovimento di carattere complessivo della società. Probabilmente egli aveva in mente l’ideale del “giubileo”, una specie di utopia politico-sociale (…) consistente nel far tornare ogni cinquant’anni tutti gli ebrei alla parità iniziale mediante la liberazione degli schiavi e il condono dei debiti” (p. 57).
Oppure, come scrive ancora nel suo saggio “Gesù e la remissione dei peccati”, pubblicato in Le forme culturali del cristianesimo primitivo:
Gesù immagina che all’amnistia del Dio-re segua un processo di condono da persona a persona (…). Rimettere in pari i diritti e i doveri consente di scampare alla condanna del giudizio finale imminente e in sostanza alla morte. Gesù immagina che il regno di Dio sia imminente; che nel regno di Dio si verifichi il giudizio finale nel quale le trasgressioni saranno punite con la condanna, la distruzione, il gehinnom. All’inizio del regno di Dio si deve verificare un’amnistia che permetterà di sfuggire alla condanna senza ricorrere a sacrifici (p. 150-151).
L’importanza del lavoro di Pesce, da questo punto di vista, non può essere esagerata: egli ha compreso che tra escatologia imminente e riforma sociale, non bisogna affatto scegliere! Al contrario, esse si implicano saldamente a vicenda. Siamo noi moderni razionalisti a porre una falsa dicotomia secondo cui o si pensa che la trasformazione del mondo dipenda da Dio o si pensa che dipenda dall’uomo.
Per l’ebreo Gesù non c’è alcuna contraddizione tra l’invitare i suoi uditori a entrare in un’ottica radicalmente mutata di rapporti sociali (il condonare i debiti, il servizio, l’occupare l’ultimo posto) e al contempo ritenere con fiducia sincera e assoluta che è Dio in persona, e non gli uomini, a determinare la grande svolta escatologica.
Quanto invece ai punti deboli del libro, a mio avviso essi stanno nei capitoli che si dilungano su temi quali la verginità di Maria, i fratelli di Gesù, le eventuali abitudini amorose di Gesù (un tema quest’ultimo su cui Augias bussa a più riprese, senza però ottenere da Pesce le risposte – giornalisticamente – sperate) e anche sui vangeli extra-canonici.
La verginità di Maria è un problema rilevante più in un’ottica dogmatica (sia mariologica che cristologica), che in quella rigorosamente storica (dal punto di vista rigorosamente storico, infatti, che Gesù fosse nato o meno attraverso un concepimento miracoloso, mi sembra questione di importanza pressoché nulla: mi si dica in quale modo la risposta verrebbe ad influire sulla interpretazione del messaggio del Regno di Dio, o sulla morte di croce per mano romana!).
Quanto invece alle testimonianze extra-canoniche, pur concordando sulla necessità della loro considerazione in linea di principio, sono però del parere che – a conti fatti - , con la rara eccezione di qualche detto qua o là (per lo più nel vangelo di Tommaso), la loro incidenza per la ricostruzione del Gesù storico sia modestissima. Tali testimonianze ci informano più sulla pluralità e varietà del grande “estuario” cristologico delle origini (il discorso sui “cristianesimi”) che non sul fiume stesso (la tradizione autentica di Gesù) .
A ben vedere, il difetto di questo libro sta proprio in questo suo tentare di mettere troppe varietà diverse di carne al fuoco (verginità, apocrifi, cristianesimi, antisemitismo etc.): il risultato assomiglia un po’ a un’indigestione, là dove – ci si fosse limitati al solo problema del Gesù storico – si sarebbe potuto avere un pasto niente male. Pesce ha comunque annunciato la prossima pubblicazione da parte di Mondadori di un nuovo libro su Gesù, che sta scrivendo insieme alla moglie, l’antropologa Adriana Destro.
E non c’è quasi bisogno di dire che io l’attendo con fervore (quasi quanto il fatidico quarto volume di J.P. Meier, la cui pubblicazione negl USA è stata annunciata da R. Gibellini per il 2008 !!).
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