venerdì 4 dicembre 2009

Ogni epoca ha le sue lampadine

Man kann nicht elektrisches Licht und Radio- apparat benutzen, in Krankheitsfällen moderne medizinische und klinische Mittel in Anspruch nehmen und gleichzeitig an die Geister- und Wunderwelt des Neuen Testaments glauben.
(Rudolf Bultmann, Neues Testament und Mythologie. Das Problem der Entmythologisierung der neutestamentlichen Verkündigung, 1941)

It is historically unjustified to suppose that things unbelievable in modern Marburg could not have been experienced in ancient Palestine. (...) What is really kaum glaublich is that such a statement should have been made by a modern teacher of religion (...) who might have been expected to know something of the phenomena of ecstatic cults.
(Morton Smith, "The Origins and History of the Transfiguration Story", Union Seminar Quarterly Review 36 [1980], 39-44, p. 41)

domenica 15 novembre 2009

Esempio di presa per il culo editoriale

Pare che anche in Francia, ahimé, sia stato pubblicato il libretto di Hans Weder Gegenwart und Gottesherrschaf, anno 1993, tradotto anche qui in Italia per Paideia nel 2005 (Tempo presente e signoria di Dio).
Weder è probabilmente l'ultimo grande rappresentante dell'esegesi di scuola (post)bultmanniana. Pur essendo datato 1993, il libro in questione è una specie di saggio ermeneutico dell'escatologia di Gesù. E' tipico di questa scuola - da Bultmann stesso a Käsemann e Jüngel - il cercare di costruire chissà quali castelli ermeneutici sull'annuncio gesuano del regno di Dio. Bultmann però aveva il buon gusto di non proiettare la sua ermeneutica esistenziale su Gesù, lasciando che questi rimanesse nel suo posto (l'apocalittica). Non così i suoi discepoli, tra cui appunto il nostro Weder.
Non è il caso di soffermarci qui sulle eleganti elucubrazioni di Weder (del tipo: con il suo annuncio della prossimità immediata della signoria di Dio, Gesù sostituisce alla comprensione cronologica dell'apocalittica, la sua comprensione kairologica, secondo cui il futuro di Dio si spinge fin dentro il presente, come tutto nel frammento, ponendo fine al potere che il passato con le sue colpe ha sul presente e mettendo in moto l'esistere umano bla bla bla).
Chi fosse interessato a questioni di ermeneutica teologica dell'escatologia di Gesù (perché di questo si tratta, e nient'affatto di storia...), si compri pure il libretto, che costa pochissimo, è breve e, nonostante le elucubrazioni, fila via abbastanza liscio.
Ciò che qui ci interessa è invece la presentazione che del libro hanno dato Les Éditions du Cerf. Citiamola:

Ce petit livre de Hans Weder, publié en 1993 en Allemagne, « constitue un élément important du débat contemporain autour du Jésus historique et de la question eschatologique » (Elian Cuvillier). L'auteur, qui se réclame de la tradition postbultmannienne, y engage la polémique contre certains chercheurs de la « troisième quête » qui voient dans le Jésus historique un représentant de l'apocalyptique juive dont il partagerait la vision du monde et l'eschatologie. Hans Weder, au contraire, dégage l'originalité de l'eschatologie de Jésus et du christianisme primitif à travers une réflexion sur la compréhension du temps. La représentation chronologique de l'apocalyptique selon laquelle l'ancien éon impie cédera la place au nouvel éon, le Règne de Dieu, est abolie. Le « kairos » est accompli, il n'y a pas de discontinuité entre les éons ; ce qui s'accomplit dans le présent n'annonce pas la fin des temps, mais c'est un fragment du futur de Dieu qui surgit de façon fulgurante dans notre présent.

Il modo in cui viene riassunta la posizione di Weder è certamente esatto. E altrettanto esatto è che per Weder, così come per Käsemann, l'annuncio gesuano del regno di Dio, pur prendendo la "carne" (immagini, linguaggio) dall'apocalittica giudaica, se ne distingue essenzialmente (e lo stesso vale ovviamente rispetto all'annuncio apocalittico del Battista). In tutto questo il libro di Weder pare l'epitome perfetta di quella corrente di studi (e che coincide appunto con i post-bultmanniani) che si suole definire New o Second Quest.
La cosa interessante però è che l'Editore francese presenta il libro come se A) costituisse un elemento importante del dibattito contemporaneo sull'escatologia di Gesù; B) ingaggiasse una polemica con i proponenti del "Gesù apocalittico" della Third Quest.
Sulla base di una tale presentazione, chiunque si aspetterebbe chissà quali discussioni critiche dei lavori di Sanders e Meier (per non dire Fredriksen, Allison, Ehrman - e a suo modo Wright), Third-Questers eccellenti che attribuiscono a Gesù una decisa escatologia apocalittica cronologicamente imminente.
Ma in quale delusione incapperebbe il nostro povero lettore, quando, appena rincasato e scorrendo la bibliografia del volumetto, constatasse che non viene citato un solo volume o articolo in lingua inglese (con la nobile eccezione del buon vecchio Liddell-Scott!), quando la Third Quest (qualunque cosa si voglia intendere con essa) è notoriamente "roba anglofona", o quanto meno lo era nel 1993 (nella seconda metà degli anni '90 arrivano diversi contributi francesi, tedeschi e scandinavi).
Così, dopo gli altisonanti proclami, ti accorgi che i certains chercheurs de la troisième quête con cui polemizza Weder sono in realtà... Werner Georg Kümmel ed Erich Grässer!
Complimenti cara Du Cerf!
________________
P.S. Qualcuno si chiederà: forse per l'edizione francese, Weder ha deciso di aggiornare il suo scritto, aggiungendo un'infuocata appendice contro Sanders, Meier e i suoi connazionali apocalittici Becker e Lüdemann (e direi anche Theissen) ? Se ne può dubitare. Il libro di Weder era un esempio di isolamento e autoreferenzialità tipicamente teutonici (vedi anche i libri di Gnilka) già nel 1993, si può dubitare che abbia cambiato la sua forma mentis esegetica nel frattempo. Del resto l'Editore non dice che si tratta di un'edizione aggiornata, e l'esile numero di pagine (98 - l'edizione italiana è 85 ma con l'indice che è già pagina 7) non lo lascia affatto supporre.

lunedì 9 novembre 2009

Gesù secondo la testimonianza concorde di Mc e Q

Come noto, tra Marco e la tradizione Q esiste tutta una serie di importanti sovrapposizioni. Credo che Benedict Viviano abbia scritto alcuni anni fa un articolo su questo argomento. Cercherò di leggerlo quanto prima. Nel frattempo vorrei offrire di seguito un elenco di queste sovrapposizioni. In un secondo momento, eventualmente, vedremo di trarne qualche osservazione.

______________________

Numerose persone dalla Giudea/dalla regione del Giordano accorrono a farsi battezzare nell’acqua da Giovanni, il quale esorta al pentimento a fronte del battesimo in fuoco/spirito che sarà amministrato dal più forte che viene dopo di lui (cfr. Q 3,2-9 ; 3,16-17 // Mc 1,4-5 ; 1,7-8).

Gesù viene battezzato da Giovanni, e in tale occasione vede i cieli aperti, sperimenta l’inabitazione dello Spirito e la figliolanza divina (cfr. Q 3,21-22 // Mc 1,9-11).

Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto, dove è tentato per quaranta giorni da Satana (cfr. Q 4,1-2 // Mc 1,12-13).

Gesù viene in Nazara/nella sua patria (cfr. Q 4,16 // Mc 6,1).

Gesù ammonisce che con la misura con cui si misura, si verrà misurati (cfr. Q 6,38 // Mc 4,24).

Gesù sottolinea che l’essenziale è fare la volontà di Dio (cfr. Q 6,46 // Mc 3,35).

Gesù entra a Cafarnao (cfr. Q 7,1 // Mc 2,1).

Gesù applica a Giovanni la profezia di Isaia sul messaggero (Q 7,24-27 // Mc 1,2).

Gesù istruisce i discepoli alla missione: non portare con sé né borsa, né bisaccia, bastone no/sì (Q 10,3 // Mc 6,8); entrare nelle case, annunciando un messaggio escatologico (vicinanza del regno/pentimento) e curando gli ammalati (cfr. Q 10,5-9 // Mc 6,10-13). Scuotere la sabbia/la terra dai sandali/da sotto i piedi, nel caso di mancata accoglienza (cfr. Q 10,10-12 // Mc 6,11).

Gesù afferma che chiunque accoglie loro/accoglie uno di tali bambini nel suo nome, accoglie lui stesso e colui che lo ha mandato (cfr. Q 10,16 // Mc 9,37).

Gesù viene accusato da alcuni/da scribi di cacciare i demoni grazie all’aiuto di Beelzebul. Gesù risponde che un regno e una casa che sono divisi in sé stessi, non possono stare in piedi (cfr.  Q 11,14-18 // Mc 3,22-25), [e che il regno di Dio è giunto/Satana ha fine (cfr. Q  11,19b // Mc 3,26).

Gesù afferma che la casa di uno forte non può essere saccheggiata, ma se uno più forte lo vince/lo lega, allora può essere saccheggiata (cfr. Q 11,21-22 // Mc 3,27).

Gesù afferma che chi non è con lui è contro di lui/chi non è contro di lui è per lui (cfr. Q 11,23a // Mc 9,40).

Alcuni/i farisei chiedono a Gesù un segno. Gesù sottolinea che questa generazione chiede un segno, ma afferma che non ne riceverà alcuno/alcuno eccetto il segno di Giona (cfr. Q 11,16.29-30 // Mc 8,11-12).

Gesù osserva che una lampada non va messa in un posto nascosto/sotto il moggio o sotto il letto, ma sul lampadario (cfr. Q 11,33 // Mc 4,21bc).

Gesù inveisce contro i farisei/gli esegeti della legge, che amano i primi posti nei banchetti e nelle sinagoghe ed essere salutati nelle piazze (cfr. Q 11,42-44 // Mc 12,38c-39).

Gesù sentenzia che non c’è nulla di coperto/nascosto/segreto che non sarà esposto/rivelato/conosciuto/verrà alla luce (cfr. Q 12,2 // Mc 4,22).

Gesù ammonisce che la posizione assunta nei suoi confronti davanti agli uomini, sarà ratificata dal Figlio dell’uomo davanti agli angeli (cfr. Q 12,8-9 // Mc 8,38).

Gesù ammonisce che chiunque dice una parola contro un uomo (un figlio dell’uomo), gli sarà perdonato/che qualsiasi bestemmia pronunciata dai figli degli uomini sarà perdonata loro, ma chi dice una parola/bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonato (cfr. Q 12,10 // Mc 3,28-29).

Gesù invita i discepoli a non preoccuparsi di cosa dire allorché saranno condotti di fronte alle sinagoghe, poiché sarà lo Spirito a insegnare cosa dire/a parlare (cfr. Q 12,11-12 // Mc 13,9-11).

Gesù raccomanda di non avere un tesoro sulla terra/di vendere ciò che si possiede, e di farsi piuttosto un tesoro in cielo (cfr. 12,33-34 // Mc 10,21b).

Gesù esorta i discepoli a essere pronti/a vegliare, poiché il Figlio dell’uomo/il padrone di casa viene in un’ora inattesa/non conosciuta (cfr. Q 12,40 // Mc 13,35).

Gesù si chiede a cosa paragonare il regno di Dio: è come un grano di senape che, seminato, cresce e diventa un albero/un grande ortaggio alla cui ombra/tra i cui rami possono ripararsi gli uccelli del cielo (cfr. Q 13,18-19 // Mc 4,30-32).

Gesù rimarca che per essere suoi discepoli è necessario prendere la propria croce (cfr. Q  14,27 // Mc 8,34b), e ammonisce che chi vuol salvare la sua vita, la perderà, e chi perde la sua vita per causa sua, la salverà (cfr. Q 17,33 // Mc 8,35).

Gesù osserva che il sale e buono, ma se diventa insipido, con che cosa lo si salerà/gli si renderà il sapore? (cfr. Q 14,34 // Mc 9,50).

Gesù sentenzia che chiunque ripudia sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio, e che chi sposa una ripudiata/la moglie che ha ripudiato il marito e ne sposa un altro, commette adulterio (cfr. Q 16,18 // Mc 10,11-12).

Gesù ammonisce che per colui che causa scandali, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e venisse gettato nel mare (cfr. Q 17,1-2 // Mc 9,42).

Gesù assicura che chi, avendo fede, dice a questo sicomoro/a questo monte: Sradicati/Levati e sìì trapiantato/gettati nel mare, esso gli obbedirà (cfr. Q 17,6 // Mc 11,23).

Gesù mette in guardia i discepoli dal seguire/credere a chi dica loro: Ecco, è nel deserto/il Cristo è qui, ecco è nelle stanze interne/il Cristo è là (cfr. Q 17,23 // Mc 13,21).

[Gesù parla di posti/troni su cui i discepoli siederanno nella sua gloria/nella gloria del Figlio dell’uomo/nel regno (cfr. Q 22,28-30 // Mc 10,37.39) ]

mercoledì 4 novembre 2009

The historiographic significance of the Bradford (Caird) Family



L’editrice Paideia di Brescia ha appena tradotto e pubblicato un libro dell’esegeta inglese George Bradford Caird, Lingua e linguaggio figurato nella Bibbia (The Language and Imagery of the Bible), originariamente apparso nel lontano 1980. Un lavoro che l’Autore stesso definisce “un libro di testo di semantica elementare esemplificata attingendo all’Antico e al Nuovo Testamento” (p. 14).
Personalmente non ho avuto modo di leggerlo per intero, e nemmeno per buona parte, né in inglese né in italiano, e ritengo che non potrò rimediare a questa “mancanza” ancora per molto tempo.
Nondimeno, per quel che concerne la materia principale di questo blog, il libro di Caird, anzi la figura stessa di Caird, ha una indubbia importanza storiografica.
Cominciamo con la figura: G.B. Caird, docente alla gloriosa Università di Oxford (“I listened to other students talking about Caird ‘defending the walls of Oxford against the German invasion’”, riferisce pittorescamente M.J. Borg in “A Temperate Case for a Non-Eschatological Jesus” Foundations & Facets Forum 2 (1986) 81-102), è stato il Doktorvater di due dei più popolari Jesus Questers degli ultimi due decenni: l’ora vescovo anglicano N.T. Wright e il suo amicone americano Marcus J. Borg, coordinando le rispettive dissertazioni dottorali su Paolo e sulla politica di Gesù.
Venendo invece al libro, l’ultimo capitolo, il 14°, è dedicato a “La lingua dell’escatologia”. Ebbene, si tratta di un capitolo fondamentale proprio per l’influenza diretta e decisiva che ha avuto nel modo in cui i suoi "figliocci" Wright e Borg hanno concepito il rapporto tra Gesù e l’escatologia.
In questa sede non è evidentemente possibile entrare nei dettagli della questione, per cui preferisco lasciare la parola direttamente ai tre studiosi, riportando alcune citazioni significative.

CAIRD:
“La mia proposta può essere illustrata in tre proposizioni: (…) 1. Gli autori biblici credevano alla lettera che il mondo avesse avuto un inizio nel passato e avrebbe avuto una fine nel futuro. 2. Essi ricorrevano regolarmente al linguaggio della fine del mondo in senso metaforico per parlare di ciò che sapevano bene non essere la fine del mondo. 3. Come avviene con tutti gli altri usi della metafora, si deve tenere conto che è verisimile un fraintendimento nel segno della letteralità da parte dell’uditore, ed è possibile una certa confusione dei limiti fra veicolo e tenore da parte del parlante” (G.B. CAIRD, Op. cit., p. 311).

BORG:
“The threat tradition of the synoptics thus contains two elements. On the one hand, decisions taken for or against the mission of Jesus would have eternal consequences (e.g. Mk 9:43-48; Lk 10:12-15 par., 11:31-32 par.; 12:8-9 par.; Mt 25,31-46). But this was not imminent, nor was this the primary source of urgency. [Si tratta del punto n. 1 di Caird]. What was imminent was the historical consequence of continuing to pursue the quest for holiness as separation (…): the threatened destruction of Jerusalem and the Temple (..). That was the crisis Jesus announced to his contemporaries. (…) only the imagery of cosmic disorder and world judgment would have been adequate to speak of the destruction of Jerusalem and the Temple (…). The position maintained here, then, is that the transcendent imagery (…) which speaks of imminent universal disorder, is consistent with the threat of the destruction of Jerusalem and the Temple. Only such language was sufficient to express the significance of the destruction of Jerusalem [e quest è il punto n. 2 di Caird]”.
(M.J. BORG, Conflict, Holiness and Politics in the Teaching of Jesus, 2nd ed., Trinity Press International, Harrisburg, 1998, pp. 227-229; 1st ed. 1984).

WRIGHT:
“Within the mainline Jewish writings of this period (…), there is virtually no evidence that Jews were expecting the end of the space-time universe. There is abundant evidence that they, like Jeremiah and others before them, knew a good metaphor when they saw one, and used cosmic imagery to bring out the full theological significance of cataclysmic socio-political events” (N.T. WRIGHT, The New Testament and the People of God, SPCK/Fortress, London/Minneapolis, 1992, p. 333).
“(…) the imagery of Mark 13,24-5, 27 can be easily understood. These verses, as Caird urged, are not ‘flat and literal prose’. They do not speak of the collapse or end of the space-time universe. They are (…) typical Jewish imagery for events within the present order that are felt and perceived as ‘cosmic’ or, as we should say, as ‘earth-shattering’. More particularly, they are regular Jewish imagery for events that bring the story of Israel to its appointed climax. (…) The result of ‘the vindication of the son of man’ is that exile will at last be over (…). The promises to Jerusalem, to Zion, are now transferred to Jesus and his people. Meanwhile Jerusalem herself has become the great enemy, the city whose destruction signals the liberation of the true people of God” (N.T. WRIGHT, Jesus and the Victory of God, SPCK/Fortress, London/Minneapolis, 1996, pp. 362-363).

[Wright assolutizza il punto n. 2 di Caird, lasciando del tutto cadere il punto n. 1 – e introducendo in compenso – come si vede chiaramente –, al posto del “crasso letteralismo” che egli attribuisce all’interpretazione tradizionale dell’escatologia, una non meno “crassa” e sfacciata lettura apologetica, di cui bene ha detto Paula Fredriksen: “This hypothesis is coherent and parsimonious, offering the simplest explanation so far of the rise of Chrisitanity: Jesus created it” (P. FREDRIKSEN, “What You See Is What You Get: Context and Content in Current Research on the Historical Jesus” Theology Today 52 (1995) 75-97, p. 89)].

Al lettore il giudizio sulla plausibilità dell'interpretazione dell’escatologia offerta dalla famiglia Bradford.

lunedì 2 novembre 2009

Domande e riflessioni prima di aprire il libro di Pieter Craffert

Nei prossimi giorni (che forse saranno anche un paio di settimane) vorrei accingermi alla lettura di: Pieter F. Craffert, The Life of a Galilean Shaman: Jesus of Nazareth in anthropological-historical perspective, Cascade Books, Eugene, 2008. L'idea di comprendere determinati aspetti della figura di Gesù (esorcismi, guarigioni, rivelazioni) attraverso il modello trans-culturale dello sciamano, non è nuova, anzi mi pare che sia già stata "sdoganata" nel panorama editoriale italiano in un contributo (ora non mi ricordo esattamente di chi - forse John Pilch?) all'interno del volume edito da W. Stegemann - B.J. Malina - G. Theissen, Il nuovo Gesù storico, Paideia, 2006. La monografia di Craffert dovrebbe però, credo, costituire l'espressione ad oggi più completa di questo indirizzo interpretativo.
In realtà, sarei tentato di dire che un importante passo in questa direzione l'aveva già fatto più di vent'anni fa Marcus J. Borg (cfr. Jesus: A New Vision. Spirit, Culture and the Life of Discipleship, Harper San Francisco, San Francisco, 1987), il quale interpretava - collegandosi a sua volta alle tesi di G. Vermes sui carismatici galilei - Gesù come "a Spirit person" che è in contatto con la potenza benefica "of the other realm", e che può mediarne l'esperienza agli altri, in particolar modo attraverso l'elaborazione di una "sapienza sovversiva", a cui fa capo anche una precisa prassi politica "inclusivista" (e anti-nazionalista o anti-zelota, una caratterizzazione quest'ultima che verrà meno nel più recente lavoro di Borg del 2007).
Ma, pur senza aver letto il libro, ho già avuto modo di capire che Craffert con il suo lavoro intende prendere le distanze da tutti i Jesus Questers in genere (Borg e Jesus Seminar compresi), tutti "colpevoli" ai suoi occhi di attenersi allo sterile "paradigma dell'autenticità" e della Traditionsgeschichte.
E questo è già uno dei grossi punti di domanda con cui mi accosterò alla lettura del libro: perché contrapporre approccio antropologico e approccio storico-critico? Da questo punto di vista, mi sembrano, a prima vista, condivisibili alcuni rilievi che a Craffert muove il suo collega Andries Van Aarde (http://www.up.ac.za/dspace/bitstream/2263/7431/1/VanAarde_Anthropological%282008%29.pdf), il quale, per l'appunto - apprezzando il lavoro di Craffert - ritiene auspicabile l'integrazione, piuttosto che l'aut-aut, tra i due aprrocci.
E un altro grande punto di domanda mi si è profilato innanzi sfogliando (molto, troppo, velocemente) le pagine di The Life of a Galilean Shaman, là dove Craffert si sofferma sui due aspetti centrali del "messaggio" di Gesù - il regno di Dio e il Figlio dell'uomo - , argomentando che essi, una volta considerati all'interno del modello di quella specifica figura sociale che è lo sciamano, cessano di essere concetti o simboli che fanno riferimento ad "entità esterne" e oggettivabili (il Figlio dell'uomo come essere celeste e il regno di Dio come realtà realizzabile), e diventano, in qualche modo, semplici espressioni, culturalmente determinate, dell'esperienza visionaria del divino vissuta dallo sciamano.
In poche parole, il secondo grande interrogativo con il quale mi accosterò alla lettura del libro di Craffert è: se il regno di Dio non è altro che una codificazione linguistica di un'esperienza mistica, in che modo accade che il nostro Gesù sciamano finisca la sua vita sopra una croce come ribelle politico?
Vedremo se la lettura finirà per confermare, per rispondere oppure per liquidare (come mal posti) questi miei punti di domanda iniziali.

giovedì 22 ottobre 2009

Die Wiederkehr des Doktor Weiss

Cari lettori (?),
eccomi di ritorno dopo un lungo periodo di forzata assenza, dovuto alla necessità di scrivere e sostenere la mia tesi sull'escatologia di Gesù.
Come compensazione per il digiuno che vi ho imposto - ma che dona quel tocco di apocalitticità che non guasta mai, sebbene secondo alcuni Gesù non digiunasse affatto, essendo "the proverbial party animal", il cui motto era "to celebrate, to celebrate, to celebrate" (cfr. R.W. Funk, Honest to Jesus, 1996) - potrete consolarvi con il fatto che, essendo il Vostro finalmente divenuto dottore, c'è senza dubbio da aspettarsi un significativo incremento di qualità e profondità dei contenuti del blog. O no?

sabato 20 giugno 2009

Ernst Käsemann und das Problem des Bratwurst-Jesu


Ormai è divenuto d’uso comune mettere in guardia da un impiego esagerato del criterio di discontinuità o doppia dissomiglianza. Ma in che cosa consisterebbe quest’uso esagerato? Ernst Käsemann ce ne offre un esempio eccellente. Si consideri il seguente breve passo:

Le problème difficile de la mesure où cette prédication a été conditionnée par une attente apocalyptique. Ce problème est également difficile parce qu’on ne peut guère prouver avec certitude l’authenticité, là où existe un accord avec le judaïsme tardif ou avec la communauté post-pascale.

Dunque, per Käsemann, collocare l’annuncio di Gesù sul regno di Dio nell’alveo dell’escatologia apocalittica (o, in modo impreciso, “apocalittica”) sarebbe problematico per la semplice ragione che non è possibile avere la certezza là dove la tradizione di Gesù si mostra in accordo con il “tardo giudaismo” (oggi: mediogiudaismo o giudaismo del secondo tempio) o con la comunità post-pasquale. Questa posizione verrà totalmente ribaltata a partire da E.P. Sanders, il quale, in modo decisamente più assennato, ritiene che l’unico modo per arrivare al Gesù storico è di seguire le tracce di colui dal quale Gesù ha preso le mosse (il Battista) e di coloro che a loro volta hanno preso le mosse da Gesù (la comunità primitiva). Ora, siccome il profilo dell’uno e dell’altra presenta marcati tratti escatologici-apocalittici, il buon senso dello storico ne conclude che lo stesso valeva per Gesù. Questo argomento viene oggi etichettato da Bart Ehrman nel modo seguente: the beginning and the end as the key sto the middle.

Quello di Käsemann, invece, io lo definirei l’argomento del Bratwurst: se intorno a Gesù c’è soltanto escatologia-apocalittica, ne segue che Gesù doveva essere… un Bratwurst. Un sostenitore odierno del Bratwurst-Jesu è J.D. Crossan, il quale ha risposto all’argomento sandersiano della continuità (obiettatogli da Allison) facendo riferimento a Gandhi, il quale fu un isola pacifista in un contesto di violenza e oppressione prima e dopo di lui. Ma nel caso di Gandhi parliamo di un clima generale, o macrocontesto, da cui egli differisce; il discorso è invece molto diverso per Gesù che fu discepolo di un apocalittico ed ebbe discepoli apocalittici.

Ma il colmo è che dopo aver eliminato l’escatologia-apocalittica dalla predicazione di Gesù, in quanto non possiamo essere del tutto sicuri che fosse proprio sua, Käsemann finisce per attribuire a Gesù la concezione più improbabile di tutte (peggio ancora del “regno sapienziale” di Crossan!), ossia l’ermeneutica escatologica di Rudolf Bultmann!

Mais enfin, contrairement aux outrances de Dodd et à son affirmation d’une eschatologie déjà réalisée, il faudra bien accorder que Jésus a parlé du Royaume de Dieu au futur. Le problème est seulement de savoir en quel sens il l’à fait. De la parole de Jésus, il ressort toutefois que la Basileia apparaît comme se frayant un chemin sur terre, et plaçant les hommes devant leur actualité et devant la décision entre l’obéissance et la désobéissance. (…) Car Jésus n’est pas venu pour prêcher des vérités générales, religieuses ou morales, mais pour dire ce qu’il en est de la Basileia qui commence à paraître, c’est-à-dire que Dieu s’est approché de l’homme dans la grâce et l’exigence

Esagerazioni e paradossi del criterio di discontinuità o doppia dissomiglianza, oggi giustamente reinterpretato da Gerd Theissen come “plausibilità contestuale” (ossia relativa originalità all’interno di una fondamentale affinità) e da Tom Holmen come dissomiglianza “a senso unico”, ossia esclusivamente rispetto alla comunità post-pasquale, e non invece rispetto al giudaismo del tempo.

(citazioni riprese da: E. Käsemann, Essais exégétiques, Delachaux & Nestlié, Neuchatel, 1972, p. 171)

mercoledì 17 giugno 2009

J.P. Meier su Jimmy Dunn: un errore...marginale?

Perhaps the common mistake of so much of the quest for the historical Jesus in the last two centuries was that it was not a truly historical quest at all. More often than not, it was an attempt at a more modern form of Christology masquerading as a historical quest (…) it was used to re-articulate Christology in more contemporary and scientific modes – think, for instance, of Joachim Jeremias or Ben Meyer.

(…) I see the important work of NT Wright (Jesus and the Victory of God, Christian Origins and the Question of God 2, Minneapolis, Fortress, 1996) in this light. In other words, I consider the book not an example of the quest for the historical Jesus as such, but rather a prime example of how one goes about appropriating results of the quest for a larger theological/Christological project. The matter is more complicated when it comes to the fine work of James D.G. Dunn Jesus Remembered (Christology in the making 1: Grand Rapids, MI/Cambridge, UK: Eerdmans, 2003). Much in this individual volume can stand on its own as a treatment of the historical Jesus. As the title of the series indicates, though, this volume is viewed as part of a larger Christological project.

(J.P. Meier, A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus. Vol. 4: Law and Love, Yale University Press, 2009, New Haven/London, p. 6 e p. 23, n. 17)

Difficilmente si potrà contestare l’affermazione che abbiamo citato di Meier, alla pag. 6 del suo nuovo quarto volume di A Marginal Jew. Forse non sarebbe del tutto esagerato dire che il Gesù storico veramente storico è nato soltanto con E.P. Sanders. Niente da dire quindi su questo. Ma i problemi arrivano con la relativa nota 17 (p. 23) in cui Meier inquadra anche i lavori di Wright e Dunn , come esempi di: 1) appropriazione teologica dei risultati della ricerca storica (Wright); 2) ricostruzione storica al servizio di un più ampio progetto cristologico-teologico (Dunn).

Entrambi i punti sono decisamente discutibili. Ci dispiace, ma Wright non è affatto un teologo che si appropria dei risultati della critica storica, o almeno non lo è nel suo Jesus & the Victory of God. Ciò che Meier applica a Wright si addice non a lui, bensì alle opere di Pannenberg, Kasper, Küng, Schillebeeckx, O’Collins, Bordoni, Sobrino, Schwarz, McDermott, Gamberini etc. Qui si che abbiamo a che fare con cristologie che si appropriano dei risultati della ricerca storica. Ma con Wright, invece, abbiamo uno studioso che [per lo meno nel suo volume su Gesù, il discorso è invece diverso per quanto riguarda il progetto complessivo, come si può intuire dal riferimento del titolo a “the question of God”] si propone nelle vesti di storico, e non di teologo. Gli interrogativi che guidano il suo lavoro sono: “How does Jesus fit into the Judaism of his day? What were his aims? Why did he die? How did the early church come into being, and why did it take the shape it did? And why the gospels are what they are?” (Jesus & the Victory of God, p. 90). Ossia, interrogativi che si collocano per lo più in una prospettiva storica, in modo, almeno nominalmente, affine al programma sandersiano di evidenziare i “legami connettivi” (“ci fu una sostanziale coerenza tra quanto Gesù ebbe in mente, il modo in cui vide il rapporto con la propria nazione e con la religione del suo popolo, la ragione della sua morte e l’inizio del movimento cristiano”; E.P. Sanders, Gesù e il giudaismo, Genova, Marietti, 1990, p. 36). Non è che Wright non sia uno storico: il problema è piuttosto che la sua ricostruzione storica si basa su un approccio alla tradizione sinottica che non è esagerato definire a-critico, in cui non un solo detto o parabola viene dichiarato inautentico. Non è dunque, come afferma Meier, che il suo lavoro non sia un esempio della ricerca storica su Gesù: semplicemente non ne è un buon esempio.

Ma l’equivoco è ancora maggiore nel modo in cui Meier inquadra il lavoro di Dunn. Come riconosce lo stesso Meier, Jesus Remembered è a pieno titolo un’opera sul Gesù storico, e di livello oltretutto notevole. Al massimo si potrà considerare un “retaggio” di “interesse cristologico” il notevole spazio dedicato alla questione del modo in cui Gesù comprendeva sé stesso (Part IV, pp.615-764), che è appunto un approfondimento tipico degli approcci cristologici, anche se di per sé può costituire semplicemente un interrogativo di carattere storico (come ad es. in The Historical Figure of Jesus di E.P. Sanders). Ma Meier compie un errore clamoroso allorché sostiene che, pur essendo un’opera storica, il Jesus Remembered di Dunn s’inquadra in un più ampio progetto cristologico: egli infatti sta confondendo la collana in questione (Christianity in the Making – di cui ora è stato pubblicato il secondo volume, Beginning from Jerusalem, il quale - per opinabili che possano essere le sue posizioni - è esso pure un'opera puramente storica sulle origini della chiesa) con un importante e giustamente famosa opera di cristologia neotestamentaria dello stesso Dunn, che si intitolava, questa sì!, Christology in the Making (SCM Press, London, 1980 e seguenti edizioni).

In sintesi: mentre nei confronti di Wright, l’errore è intenzionale e costituisce senza dubbio un modo di prendere le distanze dal suo lavoro nel modo più cortese e politically correct possibile (dicendo che non è un’opera storica, anziché riconoscere che semplicemente è una cattiva opera storica!), nel caso di Dunn l’errore è probabilmente involontario, nondimeno appare alquanto bizzarro, specialmente se si considera che Jesus Remembered reca in quarta di copertina proprio un elogio di Meier!

A marginal... mistake?

lunedì 15 giugno 2009

The best Jesus' scholar of this aeon: sondaggio riaperto!

Riaperto il sondaggio. C'è tempo fino al 2012 per votare il miglior Jesus Quester della presente era, dopodiché - secondo gli ultimi rumours - il mondo dovrebbe finire, e quindi non avrete più possibilità di esprimere le vostre preferenze. Affrettarsi quindi.
Rispetto al vecchio sondaggio, come si sarà notato, sono aumentati in misura notevole i candidati in lizza per l'ambito riconoscimento. Non ci sono proprio tutti, ovviamente, ma quasi.
Il sondaggio era stato sospeso con la seguente classifica parziale:

6: Barbaglio
5: Pesce
3: Benedetto XVI, Jeremias, Meier
2: Allison, Chilton (clamoroso!), Ehrman, Jossa, Messori (nel frattempo estromesso d'ufficio), Puig i Tarrech, Ricciotti, Sanders
1: Berger, Charlesworth, Dunn, Fredriksen, Horsley

Una classifica caratterizzata da una significativa tendenza conservatrice-apologetica (vedi Benedetto XVI, Messori, Ricciotti, Puig, Berger e in un certo senso pure Jeremias), benché ai vertici vi siano studiosi moderati-liberali come Barbaglio e Pesce. Stupefacente invece la doppia preferenza per Bruce Chilton, di cui in Italia non è stato tradotto assolutamente nulla.
Ma ora avanti! Da qui al 2012 tutto può succedere, perfino che gli ultimissimi (i Crossan, Borg e Mack con un sonoro zero collettivo) diventino i primi...

P.S. il numero dei voti complessivi che compare attualmente (in basso) comprende solo i voti dalla riapertura (o nuova creazione) del sondaggio, non invece quelli del sondaggio vecchio, che sono stati tuttavia ugualmente ri-assegnati ai singoli studiosi.

sabato 13 giugno 2009

Anarchy from the U.K. ovvero Maurice Casey l'indipendente

Maurice Casey è uno studioso al vetriolo. Io non ho la minima idea se abbia molti o pochi amici nell’ambiente, ma quel che è certo è che, quando si tratta di fare critiche ai colleghi, lui è proprio il tipo che non te le manda a dire. Mai offensivo, sempre spietato. Per questo sarà un piacere tutto speciale (oltre che per l'indiscusso valore dello studioso) poter leggere il suo nuovo libro sul Gesù storico, di cui non si conosce ancora la data di uscita, ma il cui indice dei contenuti è stato anticipato, con permesso del Professore, da Jim West sul suo blog (vedi qui: http://ia301506.us.archive.org/2/items/casey_181/jesuscon.pdf).

Già il titolo è tutto un programma: Jesus of Nazareth. An Independent Historian’s Account of His Life and Teaching. Capito? Non un altro storico che scrive un libro su Gesù, bensì, finalmente, uno storico indipendente! Ciò che Casey intende rivendicare, è stato da lui stesso spiegato in un recente saggio, che, tra l’altro, dovrebbe all’incirca coincidere con il primo capitolo del nuovo libro.

I remain nonetheless convinced that further progress is possible, and that this could enable us to establish the main points of Jesus’ ministry, as well as a detailed account of many significant events in it. (…) What prevents us from doing as much as this is not that facts cannot be established, nor the inherently distorting effects of constructing a narrative containing them. It is that most people belong to communities which control their view of Jesus. It is accordingly the responsibility of those of us who have the good fortune to work in decent independent universities to carry this work forward. If we do not do so, nobody will, for everyone else is too fond of their own group’s stories, whether these are born of acceptance or rejection of the Christian faith. It is therefore of central importance that we proceed vigorously, with all the evidence and techniques at our disposal.

(Maurice Casey, “Who’s Afraid of Jesus Christ? Some Comments on Attempts to Write a Life of Jesus”, in J.G. CROSSLEY – C. KAMER, Writing History, Constructing Religion, Ashgate, Aldershot, 2005, p. 144)

Certo, Casey non intende proclamarsi come il primo storico indipendente in assoluto ad occuparsi di Gesù. Nelle pagine precedenti di quel saggio, egli infatti elogia Geza Vermes e Ed Parish Sanders come esempi di indipendenza e apportatori di un significativo progresso nella ricerca. Altrove, Casey ha espresso parole di lode anche per il suo maestro Charles Kingsley Barrett (“a man of unimpeachable integrity who is never deliberately biased, and who never discriminated against anyone of different convictions”, nonostante all’epoca fosse più famoso come predicatore carismatico che come studioso), nonché per Matthew Black, Alan Segal e altri.

Tuttavia ci chiediamo: e che diranno tutti gli altri oltre a Vermes e Sanders? Accetteranno Meier, Dunn, Theissen e Marguerat (per fare illustri esempi di studiosi confessionali, rispettivamente cattolico, anglicano, luterano, riformato...a cui, come dice Casey, andrebbero affiancati gli studiosi che sono "dipendenti" in virtù, o in vizio, del loro rifiuto della fede cristiana) di essere implicitamente etichettati come non-independent historians?

martedì 2 giugno 2009

"....a che cosa paragoneremo la fonte Q?....". Maurice Casey parabolista


The title of Robinson’s essay indicates the Gattung, or genre, which he found for Q: LOGOI SOPHON  , which he translates as ‘sayings of the sages’, or ‘words of the wise’. Robinson sought
to establish the existence of this genre by referring to a wide variety of sayings collections.
(...) Accordingly, the existence of such documents as m. Abot and the Gospel of Thomas showed that a collection of sayings of Jesus was a possible document: scholars who had maintained that a document in the form of the proposed Q was impossible had been shown to be wrong. That should have been an important gain, and it is regrettable that problems with this genre have prevented it from being such.
The major problem is the nature of this genre itself. If we chop a sonnet in half, we get two halves of a sonnet. A sayings collection is like a worm: if we chop it in two, we get two sayings collections, perhaps a little damaged at the ends. Similarly, if we have an epode and we add
another epode, we get two epodes. A sayings collection is like a glass of Trockenbeerenauslese: pour it into a bigger glass with another glassful, and we still have one glass of Trockenbeerenauslese, and some of us like it better for being bigger; add a sayings collection to another sayings collection and we get one bigger sayings collection.
In practice, this meant that all kinds of tricks could be played with Q. It could be thought to have grown in stages, or to have had different versions, merely because of differences in its supposed parts, but these might have belonged to different documents altogether.

(Maurice Casey, An Aramaic Approach to Q, Cambridge University Press, Cambridge, 2002, p. 24)

lunedì 1 giugno 2009

Apocalyptic doubts no. 1. Definizioni indefinite: Crossan e l'escatologia per tutte le stagioni

Come noto, tra gli studiosi regna il caos quando si tratta di definire categorie come “escatologia”, “escatologia apocalittica”, “apocalittica”, “apocalisse” etc. Figuriamoci cosa succede quando si tratta di inquadrare la figura di Gesù attraverso le suddette categorie!

Per fare solo un esempio, il più grande campione di un Gesù “non-escatologico”, J.D. Crossan, è precisamente uno studioso che difende strenuamente il carattere “escatologico” del suo Gesù... dove "escatologico" equivale però a “world-negating”, ossia ad una prospettiva critica di rifiuto del presente o dello status quo, e che in quanto tale costituisce una delle fondamentali opzioni dello spirito umano, capace di trovare espressione nelle forme più diverse: escatologia apocalittica, escatologia etica, escatologia sapienziale, escatologica ascetica, escatologia mistica, escatologia millenaristica, escatologica messianica...

Ma allora, quando si finisce per qualificare come “escatologica” (in senso ascetico) perfino la teologia (o la protologia) del vangelo di Tommaso, l’impiego del termine “escatologia” ha ancora un senso, o non è piuttosto divenuto pleonastico?

venerdì 29 maggio 2009

Crossan come padre spirituale

"But, Dale, God is in the details!"

(bacchettata teologica del venerando John Dominic Crossan a Dale Allison, cfr. R.J. Miller, ed., 2001, p. 68 )

martedì 26 maggio 2009

J. Moltmann e l'incubo del predicatore

Ho grande rispetto per i metodi scientifici con i quali i miei colleghi studiosi di NT indagano i testi, mi permetto tuttavia di porre degli interrogativi teologici. (...)

Come andrebbero i testi del NT, qualora si vogliano leggere nel senso dei loro autori e nel senso di ciò di cui essi parlano. In tal caso, da oggetti della ricerca essi diventerebbero soggetti del discorso e noi diventeremmo in primo luogo “uditori della parola”.

Che cosa infatti vogliono dirci i testi del NT? Essi vogliono annunciarci il vangelo di Gesù Cristo, vogliono raccontarci e comunicarci il Vangelo per risvegliare la fede. Naturalmente si possono esaminare i drammi storici di Shakespeare anche dal punto di vista storico-critico per quanto riguarda la storia dei re a cui sono dedicati. Ma si può poi comprenderne la drammaticità?

Per chiarire la cosa in modo un po’ forte ricorro ad un incubo. Mi immagino di salire sul pulpito di una chiesa per annunciare il vangelo e, se possibile, per suscitare la fede. Non ci sono però uditori delle mie parole. Sui banchi siede uno storico che analizza criticamente i fatti di cui io parlo, uno psicologo che analizza la mia psiche così come la rivelo attraverso il mio discorso, un antropologo culturale che osserva il mio stile personale, poi un sociologo che indaga la classe sociale di appartenenza della quale mi considera un rappresentante, e così via. Tutti analizzano me e quello che io voglio dire, ed ecco la cosa peggiore: nessuno mi contraddice, nessuno vuole discutere con me quello che io ho detto.

(dalla lectio magistralis Comprendi quello che leggi?, testo inedito scritto da  J. Moltmann per il Festival della teologia, tradotto e letto da Daria Dibitonto)

sabato 23 maggio 2009

Der Weg(-gegangenheit) Jürgen Moltmanns. Abwesenheit in messianischen Dimensionen

Ammazza, che pacco memorabile. Arrivato ansimante e grondante in cima alle scale di Palazzo Farnese in Piacenza, che mi sento dire? Spiacenti, Moltmann ieri ha avuto un malore, mentre tornava dalla Corea, e non può quindi essere presente. La sua lectio magistralis sarà letta dalla traduttrice (e studiosa) Daria Dibitonto (molto brava, per inciso). Bene... magari comunicare la notizia sul sito non sarebbe stata una cattiva idea... vatti a fidare dei teologi e dei loro festival.
In compenso, ho avuto modo di scambiare due paroline con Rosino Gibellini (il mitico direttore editoriale della Queriniana, oltre che grande storico della teologia del XX secolo) il quale mi ha bisbigliato che la traduzione di un certo "quarto volumone" di una nota opera che voi, miei cari lettori, ben conoscete... uscirà entro il 2009, più o meno a Natale...

Quanto alla lectio di Moltmann, era molto interessante, vertendo sul rapporto tra esegesi storica e lettura teologica del NT. Nei prossimi giorni magari pubblicherò degli estratti (o magari tutte le 30mila battute!...gulp...).

martedì 5 maggio 2009

Romano Penna: "Il cristianesimo? Un anacronismo...nato due volte"

Pubblichiamo di seguito la sintesi di una recente conferenza tenuta da mons. Romano Penna (docente di Esegesi del NT e di Origini Cristiane alla Pont. Univ. Lateranense) sul tema della nascita del cristianesimo.
[...] Penna ha esordito cercando di sgomberare immediatamente il campo da un grande equivoco: quando parliamo di “cristianesimo” e “cristiani”, riferendoci a Gesù, Paolo e la Chiesa primitiva, stiamo in realtà utilizzando un linguaggio essenzialmente anacronistico, frutto della proiezione delle nostre categorie culturali sul passato.
Paolo infatti non sa, non conosce affatto cosa sia il “cristianesimo”: egli un giudeo, che crede in Cristo e vive in Cristo, certo, ma pur sempre un giudeo. L’emergere del cristianesimo come fenomeno religioso dotato di una propria identità specifica, tale da distinguersi come altro rispetto al giudaismo (o ai giudaismi), sarebbe avvenuta molto più tardi. Il cristianesimo dunque non nasce come una religione, sebbene certamente lo diventerà (Penna ironizza sul IV secolo: “fatidico e forse fatale”): “Ma, in origine, Gesù non ha voluto fondare una religione e Paolo tanto meno”.
Dopo questa precisazione – finalizzata ad un impiego consapevole e critico di un linguaggio che, per quanto giustificabile per esigenze di comodità, non corrisponde però a quello delle origini – Penna ha presentato la sua tesi personale (mutuata da L. Cerfaux) sulla nascita del cristianesimo, secondo cui: “Il cristianesimo è nato due volte, e non una soltanto: è nato una volta con Gesù di Nazaret ed è nato una volta con la fede pasquale”.

Il fascino della novità: Gesù alla scuola del Battista
Anzitutto con Gesù, dunque. E tuttavia, a ben vedere – precisa Penna –, la vera novità nel panorama della Palestina dei primi decenni del I sec. d.C. era rappresentata da un’altra figura, quella di Giovanni il Battista. Questi, pur essendo figlio di sacerdote, fece la “strana” scelta di non seguire le orme paterne nel servire al tempio di Gerusalemme, e fondò invece un proprio movimento, al centro del quale stava un peculiare rito di remissione dei peccati incentrato sull’immersione in acqua a seguito di un processo di conversione etica; un rito che non era affatto previsto dalla Torah, e collideva anzi con i consueti meccanismi di espiazione vigenti nel tempio gerosolimitano.
E a quanto pare Gesù doveva essere sensibile alle “novità”, dal momento che egli stesso fu tra coloro che si misero al seguito di Giovanni, divenendone discepolo. In un secondo momento, tuttavia, Gesù si mise, per così dire, “in proprio”, in quanto aveva da annunciare qualcosa che non trovava posto nel messaggio del Battista: la regalità di Dio, una regalità hic et nunc all’insegna non tanto del giudizio di condanna – come si esprimeva invece Giovanni – quanto dell’offerta di grazia e dell’accoglienza verso i poveri, sia in senso sociale che etico (i “poveri in spirito”, Mt 5,3).
Gesù dunque emerse dal movimento battista con una propria originalità che ben presto lo impose all’attenzione del più ampio ambiente giudaico. Tuttavia, prima di soffermarsi sulla sua “originalità”, è bene comprendere quanto integralmente egli appartenesse a tale ambiente. Se infatti è vero che, come riporta il Vangelo di Giovanni, il Logos si è fatto carne, sarebbe però opportuno precisare ulteriormente: non solo carne, ma giudeo, israelita! L’ebraicità di Gesù è un dato fondamentale, non solo in senso etnico, ma anche culturale: egli pensa con le categorie di Israele, vive la fede di Israele. Come riporta un documento della Santa Sede per il dialogo con gli ebrei uscito negli anni ’80: “Gesù è ebreo e lo è per sempre”. “Non è tradizionale esprimersi in questi termini – sottolinea Penna – ma è giusto, assolutamente giusto”.

Itineranza, Legge, Regno:originalità di un ebreo singolare
Naturalmente, però, riconoscere l’integrale ebraicità di Gesù non implica affatto che la sua figura risulti totalmente immersa nel giudaismo dell’epoca fino a perdersi di vista. Al contrario, nel quadro di Israele, Gesù spicca per diversi motivi di originalità. Anzitutto un’originalità, per così dire, “sociologica”: egli, insieme ai suoi discepoli, conduce un’esistenza da itinerante, in continuo movimento, laddove i maestri del tempo erano tutti “stanziali”. Questo aspetto di itineranza ha indotto alcuni studiosi (ad es. Crossan) a proporre analogie con i filosofi cinici ampiamente diffusi nel mondo ellenistico, un’analogia suggestiva, anche se in definitiva non adeguata dal punto di vista del contenuto dei rispettivi messaggi.
Un'altra grande originalità di Gesù risiede nel suo particolare rapporto con la Legge mosaica. Non che egli ne dichiari la caducità (come farà invece Paolo), tuttavia con il suo comportamento concreto l’ha in certo modo relativizzata in funzione del bene dell’uomo: laddove questo si scontra con la formulazione del precetto, è il precetto a dover venir meno, come si vede negli atteggiamenti che Gesù assume sulle questioni del sabato e delle regole di purità levitiche. In poche parole, rimarca con enfasi Penna: “Gesù era un uomo libero”.
Il terzo aspetto di originalità consiste nella centratura dell’annuncio di Gesù sull’idea del regno di Dio, non tanto coniugata al futuro e in senso spaziale (alla stregua cioè di un dominio “politico”), bensì nella sua valenza dinamica, che denota l’agire salvifico di Dio nel momento presente, e soprattutto – il che è ancora più singolare – in connessione organica alla persona di colui (Gesù stesso) che lo rende realmente presente nell’annuncio ai poveri, nell’accoglienza e nella condivisione con gli emarginati, nelle guarigioni dei malati: “il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21).
Tutti questi elementi mostrano in modo chiaro come l’ebreo Gesù “spiccasse” all’interno del suo ambiente, e per certi aspetti (come nel caso del rapporto con la Legge, o una certa critica al tempio negli ultimi giorni della sua vita) non esitasse ad andare persino “controcorrente”, il che, in definitiva fu la ragione che lo condusse a “non morire tranquillamente nel suo letto”.

La rivoluzione di Pasqua. Secondo inizio del cristianesimo
Ma da solo, questo “primo inizio” consistente nella novità di Gesù di Nazaret, non sarebbe stato sufficiente alla nascita del cristianesimo. Occorreva un ulteriore “secondo inizio”. E questo è ciò che si ha nella “rivoluzione” del “terzo giorno”, ossia con la fede di un gruppo di discepoli e discepole che credono e annunciano che Dio ha risuscitato Gesù, rivendicando colui che gli uomini hanno umiliato.
Un punto, questo, sul quale Penna ha voluto offrire una puntuale chiarificazione: propriamente parlando, la risurrezione di Gesù non è un evento storico. Bisogna infatti distinguere tra ciò che è storico e ciò che reale: non tutto ciò che è reale è anche storico, ossia documentabile storiograficamente, anzi l’ambito del reale è di gran lunga più vasto e comprensivo della “fetta” di cose ed eventi che sono documentabili e ricostruibili dallo storico.
Ebbene, la risurrezione di Gesù è certamente un evento reale, e tuttavia non suscettibile di documentazione storica, poiché tutto ciò che lo storico riesce a stringere tra le sue mani sono gli annunci di coloro che tale evento, unico e inaudito, hanno sperimentato nella fede, mentre non abbiamo nessuna documentazione specifica del risorgere di Gesù.
Nondimeno – ribadisce Penna – bisogna pure che qualcosa si sia verificato, affinché quella sorta di “armata Brancaleone” (sic) dei discepoli, dispersa e annichilita in seguito alla morte del maestro, ribaltasse completamente la propria situazione, e la stessa sua comprensione di Gesù, divenendo l’instancabile portatrice di un annuncio scandaloso e incomprensibile per molti loro fratelli ebrei: che Dio abbia costituito Messia un crocifisso, un maledetto, e che lo abbia fatto risorgere come singolo, mentre la storia è ancora in corso, laddove le attese giudaiche dominanti guardavano ad un Messia potente e vittorioso e ad una risurrezione generale alla fine dei tempi.

Una fede nata al plurale e che genera pensiero
Questo – conclude Penna – è il “secondo inizio” del cristianesimo, che porta alla nascita di una fede per certi aspetti nuova, che prima d’allora i discepoli non possedevano, e che sin dal primo momento cominciò ad esprimersi in una pluralità irriducibile di forme. Come l’Essere di Aristotele, così anche Cristo “si dice in molti modi”: ed ecco allora la cristologia giudeo-cristiana, quella paolina, quella della lettera agli Ebrei, quella dell’Apocalisse, quelle tra loro differenti dei quattro vangeli.
Una pluralità di “ritratti di Gesù il Cristo” che attesta la profondità inesauribile dell’evento con cui Dio ha pienamente manifestato sé stesso, e che al tempo stesso sancisce la dignità e l’imprescindibilità del pensiero, della razionalità e dell’ermeneutica, nell’accostarsi al Mistero. E di ciò il massimo esempio è proprio Paolo, che come ebbe a scrivere Albert Schweitzer, “assicurò per sempre nel cristianesimo il diritto di pensare”.
Egli non fu infatti un mero ripetitore del messaggio cristiano, bensì un suo profondo e originale rielaboratore, che mise al centro della sua vita e di quella delle “sue” chiese, nient’altro che la figura personale di Gesù crocifisso e risorto, dando ampio spazio all’ “impatto antropologico” della adesione a tale figura attraverso la giustificazione per sola fede, anziché per le opere della Legge, opponendosi così alla tentazione giudeo-cristiana - sempre presente - di far coesistere entrambe.
Io ho sempre auspicato – ha concluso Penna, quasi volendo offrire un augurio e un invito a tutti i presenti - che quest’anno paolino portasse finalmente a scoprire che ciò che è più originale nel cristianesimo sono i dati pre-morali, non quelli morali: la grazia di Dio, la morte e risuscitazione di Gesù Cristo, la fede nuda in lui, questi sono tutti dati pre-morali che, a differenza dell’etica, non hanno corrispondenze da nessuna parte. E proprio Paolo ci proietta in questa direzione, in una gratuità totale, per cui non la legge ci salva, ma Gesù Cristo e la fede in Lui”.

mercoledì 1 aprile 2009

Semplicemente m-e-m-o-r-a-b-i-l-e !!!

The Jesus of the Jesus Seminar is a talking doll with a questionable repertoire of thirty-one sayings. Pull a string and he blesses the poor.

Joseph Hoffman, fondatore del nuovissimo "Jesus-Project".
Saprà fare di meglio?

venerdì 20 febbraio 2009

An Ode to Traditionsgeschichte

So, tradition history, we cannot do without you!
Come back, sources! Come back, strata! Come back, sifting!
Come back, that sensible and constructive sceptisism which recognises that the first-century world of the documents is not identical with the twentyfirst-century world of those who study the documents.

(David Catchpole, Jesus People. The Historical Jesus and the Beginnings of Community, Darton, Longman and Todd/Baker Academic, London/Grand Rapids, 2006, p. 57.