Pubblichiamo di seguito la sintesi di una recente conferenza tenuta da mons. Romano Penna (docente di Esegesi del NT e di Origini Cristiane alla Pont. Univ. Lateranense) sul tema della nascita del cristianesimo.
[...] Penna ha esordito cercando di sgomberare immediatamente il campo da un grande equivoco: quando parliamo di “cristianesimo” e “cristiani”, riferendoci a Gesù, Paolo e la Chiesa primitiva, stiamo in realtà utilizzando un linguaggio essenzialmente anacronistico, frutto della proiezione delle nostre categorie culturali sul passato.
Paolo infatti non sa, non conosce affatto cosa sia il “cristianesimo”: egli un giudeo, che crede in Cristo e vive in Cristo, certo, ma pur sempre un giudeo. L’emergere del cristianesimo come fenomeno religioso dotato di una propria identità specifica, tale da distinguersi come altro rispetto al giudaismo (o ai giudaismi), sarebbe avvenuta molto più tardi. Il cristianesimo dunque non nasce come una religione, sebbene certamente lo diventerà (Penna ironizza sul IV secolo: “fatidico e forse fatale”): “Ma, in origine, Gesù non ha voluto fondare una religione e Paolo tanto meno”.
Dopo questa precisazione – finalizzata ad un impiego consapevole e critico di un linguaggio che, per quanto giustificabile per esigenze di comodità, non corrisponde però a quello delle origini – Penna ha presentato la sua tesi personale (mutuata da L. Cerfaux) sulla nascita del cristianesimo, secondo cui: “Il cristianesimo è nato due volte, e non una soltanto: è nato una volta con Gesù di Nazaret ed è nato una volta con la fede pasquale”.
Il fascino della novità: Gesù alla scuola del Battista
Paolo infatti non sa, non conosce affatto cosa sia il “cristianesimo”: egli un giudeo, che crede in Cristo e vive in Cristo, certo, ma pur sempre un giudeo. L’emergere del cristianesimo come fenomeno religioso dotato di una propria identità specifica, tale da distinguersi come altro rispetto al giudaismo (o ai giudaismi), sarebbe avvenuta molto più tardi. Il cristianesimo dunque non nasce come una religione, sebbene certamente lo diventerà (Penna ironizza sul IV secolo: “fatidico e forse fatale”): “Ma, in origine, Gesù non ha voluto fondare una religione e Paolo tanto meno”.
Dopo questa precisazione – finalizzata ad un impiego consapevole e critico di un linguaggio che, per quanto giustificabile per esigenze di comodità, non corrisponde però a quello delle origini – Penna ha presentato la sua tesi personale (mutuata da L. Cerfaux) sulla nascita del cristianesimo, secondo cui: “Il cristianesimo è nato due volte, e non una soltanto: è nato una volta con Gesù di Nazaret ed è nato una volta con la fede pasquale”.
Il fascino della novità: Gesù alla scuola del Battista
Anzitutto con Gesù, dunque. E tuttavia, a ben vedere – precisa Penna –, la vera novità nel panorama della Palestina dei primi decenni del I sec. d.C. era rappresentata da un’altra figura, quella di Giovanni il Battista. Questi, pur essendo figlio di sacerdote, fece la “strana” scelta di non seguire le orme paterne nel servire al tempio di Gerusalemme, e fondò invece un proprio movimento, al centro del quale stava un peculiare rito di remissione dei peccati incentrato sull’immersione in acqua a seguito di un processo di conversione etica; un rito che non era affatto previsto dalla Torah, e collideva anzi con i consueti meccanismi di espiazione vigenti nel tempio gerosolimitano.
E a quanto pare Gesù doveva essere sensibile alle “novità”, dal momento che egli stesso fu tra coloro che si misero al seguito di Giovanni, divenendone discepolo. In un secondo momento, tuttavia, Gesù si mise, per così dire, “in proprio”, in quanto aveva da annunciare qualcosa che non trovava posto nel messaggio del Battista: la regalità di Dio, una regalità hic et nunc all’insegna non tanto del giudizio di condanna – come si esprimeva invece Giovanni – quanto dell’offerta di grazia e dell’accoglienza verso i poveri, sia in senso sociale che etico (i “poveri in spirito”, Mt 5,3).
Gesù dunque emerse dal movimento battista con una propria originalità che ben presto lo impose all’attenzione del più ampio ambiente giudaico. Tuttavia, prima di soffermarsi sulla sua “originalità”, è bene comprendere quanto integralmente egli appartenesse a tale ambiente. Se infatti è vero che, come riporta il Vangelo di Giovanni, il Logos si è fatto carne, sarebbe però opportuno precisare ulteriormente: non solo carne, ma giudeo, israelita! L’ebraicità di Gesù è un dato fondamentale, non solo in senso etnico, ma anche culturale: egli pensa con le categorie di Israele, vive la fede di Israele. Come riporta un documento della Santa Sede per il dialogo con gli ebrei uscito negli anni ’80: “Gesù è ebreo e lo è per sempre”. “Non è tradizionale esprimersi in questi termini – sottolinea Penna – ma è giusto, assolutamente giusto”.
Itineranza, Legge, Regno:originalità di un ebreo singolare
E a quanto pare Gesù doveva essere sensibile alle “novità”, dal momento che egli stesso fu tra coloro che si misero al seguito di Giovanni, divenendone discepolo. In un secondo momento, tuttavia, Gesù si mise, per così dire, “in proprio”, in quanto aveva da annunciare qualcosa che non trovava posto nel messaggio del Battista: la regalità di Dio, una regalità hic et nunc all’insegna non tanto del giudizio di condanna – come si esprimeva invece Giovanni – quanto dell’offerta di grazia e dell’accoglienza verso i poveri, sia in senso sociale che etico (i “poveri in spirito”, Mt 5,3).
Gesù dunque emerse dal movimento battista con una propria originalità che ben presto lo impose all’attenzione del più ampio ambiente giudaico. Tuttavia, prima di soffermarsi sulla sua “originalità”, è bene comprendere quanto integralmente egli appartenesse a tale ambiente. Se infatti è vero che, come riporta il Vangelo di Giovanni, il Logos si è fatto carne, sarebbe però opportuno precisare ulteriormente: non solo carne, ma giudeo, israelita! L’ebraicità di Gesù è un dato fondamentale, non solo in senso etnico, ma anche culturale: egli pensa con le categorie di Israele, vive la fede di Israele. Come riporta un documento della Santa Sede per il dialogo con gli ebrei uscito negli anni ’80: “Gesù è ebreo e lo è per sempre”. “Non è tradizionale esprimersi in questi termini – sottolinea Penna – ma è giusto, assolutamente giusto”.
Itineranza, Legge, Regno:originalità di un ebreo singolare
Naturalmente, però, riconoscere l’integrale ebraicità di Gesù non implica affatto che la sua figura risulti totalmente immersa nel giudaismo dell’epoca fino a perdersi di vista. Al contrario, nel quadro di Israele, Gesù spicca per diversi motivi di originalità. Anzitutto un’originalità, per così dire, “sociologica”: egli, insieme ai suoi discepoli, conduce un’esistenza da itinerante, in continuo movimento, laddove i maestri del tempo erano tutti “stanziali”. Questo aspetto di itineranza ha indotto alcuni studiosi (ad es. Crossan) a proporre analogie con i filosofi cinici ampiamente diffusi nel mondo ellenistico, un’analogia suggestiva, anche se in definitiva non adeguata dal punto di vista del contenuto dei rispettivi messaggi.
Un'altra grande originalità di Gesù risiede nel suo particolare rapporto con la Legge mosaica. Non che egli ne dichiari la caducità (come farà invece Paolo), tuttavia con il suo comportamento concreto l’ha in certo modo relativizzata in funzione del bene dell’uomo: laddove questo si scontra con la formulazione del precetto, è il precetto a dover venir meno, come si vede negli atteggiamenti che Gesù assume sulle questioni del sabato e delle regole di purità levitiche. In poche parole, rimarca con enfasi Penna: “Gesù era un uomo libero”.
Il terzo aspetto di originalità consiste nella centratura dell’annuncio di Gesù sull’idea del regno di Dio, non tanto coniugata al futuro e in senso spaziale (alla stregua cioè di un dominio “politico”), bensì nella sua valenza dinamica, che denota l’agire salvifico di Dio nel momento presente, e soprattutto – il che è ancora più singolare – in connessione organica alla persona di colui (Gesù stesso) che lo rende realmente presente nell’annuncio ai poveri, nell’accoglienza e nella condivisione con gli emarginati, nelle guarigioni dei malati: “il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21).
Tutti questi elementi mostrano in modo chiaro come l’ebreo Gesù “spiccasse” all’interno del suo ambiente, e per certi aspetti (come nel caso del rapporto con la Legge, o una certa critica al tempio negli ultimi giorni della sua vita) non esitasse ad andare persino “controcorrente”, il che, in definitiva fu la ragione che lo condusse a “non morire tranquillamente nel suo letto”.
La rivoluzione di Pasqua. Secondo inizio del cristianesimo
Un'altra grande originalità di Gesù risiede nel suo particolare rapporto con la Legge mosaica. Non che egli ne dichiari la caducità (come farà invece Paolo), tuttavia con il suo comportamento concreto l’ha in certo modo relativizzata in funzione del bene dell’uomo: laddove questo si scontra con la formulazione del precetto, è il precetto a dover venir meno, come si vede negli atteggiamenti che Gesù assume sulle questioni del sabato e delle regole di purità levitiche. In poche parole, rimarca con enfasi Penna: “Gesù era un uomo libero”.
Il terzo aspetto di originalità consiste nella centratura dell’annuncio di Gesù sull’idea del regno di Dio, non tanto coniugata al futuro e in senso spaziale (alla stregua cioè di un dominio “politico”), bensì nella sua valenza dinamica, che denota l’agire salvifico di Dio nel momento presente, e soprattutto – il che è ancora più singolare – in connessione organica alla persona di colui (Gesù stesso) che lo rende realmente presente nell’annuncio ai poveri, nell’accoglienza e nella condivisione con gli emarginati, nelle guarigioni dei malati: “il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21).
Tutti questi elementi mostrano in modo chiaro come l’ebreo Gesù “spiccasse” all’interno del suo ambiente, e per certi aspetti (come nel caso del rapporto con la Legge, o una certa critica al tempio negli ultimi giorni della sua vita) non esitasse ad andare persino “controcorrente”, il che, in definitiva fu la ragione che lo condusse a “non morire tranquillamente nel suo letto”.
La rivoluzione di Pasqua. Secondo inizio del cristianesimo
Ma da solo, questo “primo inizio” consistente nella novità di Gesù di Nazaret, non sarebbe stato sufficiente alla nascita del cristianesimo. Occorreva un ulteriore “secondo inizio”. E questo è ciò che si ha nella “rivoluzione” del “terzo giorno”, ossia con la fede di un gruppo di discepoli e discepole che credono e annunciano che Dio ha risuscitato Gesù, rivendicando colui che gli uomini hanno umiliato.
Un punto, questo, sul quale Penna ha voluto offrire una puntuale chiarificazione: propriamente parlando, la risurrezione di Gesù non è un evento storico. Bisogna infatti distinguere tra ciò che è storico e ciò che reale: non tutto ciò che è reale è anche storico, ossia documentabile storiograficamente, anzi l’ambito del reale è di gran lunga più vasto e comprensivo della “fetta” di cose ed eventi che sono documentabili e ricostruibili dallo storico.
Ebbene, la risurrezione di Gesù è certamente un evento reale, e tuttavia non suscettibile di documentazione storica, poiché tutto ciò che lo storico riesce a stringere tra le sue mani sono gli annunci di coloro che tale evento, unico e inaudito, hanno sperimentato nella fede, mentre non abbiamo nessuna documentazione specifica del risorgere di Gesù.
Nondimeno – ribadisce Penna – bisogna pure che qualcosa si sia verificato, affinché quella sorta di “armata Brancaleone” (sic) dei discepoli, dispersa e annichilita in seguito alla morte del maestro, ribaltasse completamente la propria situazione, e la stessa sua comprensione di Gesù, divenendo l’instancabile portatrice di un annuncio scandaloso e incomprensibile per molti loro fratelli ebrei: che Dio abbia costituito Messia un crocifisso, un maledetto, e che lo abbia fatto risorgere come singolo, mentre la storia è ancora in corso, laddove le attese giudaiche dominanti guardavano ad un Messia potente e vittorioso e ad una risurrezione generale alla fine dei tempi.
Una fede nata al plurale e che genera pensiero
Un punto, questo, sul quale Penna ha voluto offrire una puntuale chiarificazione: propriamente parlando, la risurrezione di Gesù non è un evento storico. Bisogna infatti distinguere tra ciò che è storico e ciò che reale: non tutto ciò che è reale è anche storico, ossia documentabile storiograficamente, anzi l’ambito del reale è di gran lunga più vasto e comprensivo della “fetta” di cose ed eventi che sono documentabili e ricostruibili dallo storico.
Ebbene, la risurrezione di Gesù è certamente un evento reale, e tuttavia non suscettibile di documentazione storica, poiché tutto ciò che lo storico riesce a stringere tra le sue mani sono gli annunci di coloro che tale evento, unico e inaudito, hanno sperimentato nella fede, mentre non abbiamo nessuna documentazione specifica del risorgere di Gesù.
Nondimeno – ribadisce Penna – bisogna pure che qualcosa si sia verificato, affinché quella sorta di “armata Brancaleone” (sic) dei discepoli, dispersa e annichilita in seguito alla morte del maestro, ribaltasse completamente la propria situazione, e la stessa sua comprensione di Gesù, divenendo l’instancabile portatrice di un annuncio scandaloso e incomprensibile per molti loro fratelli ebrei: che Dio abbia costituito Messia un crocifisso, un maledetto, e che lo abbia fatto risorgere come singolo, mentre la storia è ancora in corso, laddove le attese giudaiche dominanti guardavano ad un Messia potente e vittorioso e ad una risurrezione generale alla fine dei tempi.
Una fede nata al plurale e che genera pensiero
Questo – conclude Penna – è il “secondo inizio” del cristianesimo, che porta alla nascita di una fede per certi aspetti nuova, che prima d’allora i discepoli non possedevano, e che sin dal primo momento cominciò ad esprimersi in una pluralità irriducibile di forme. Come l’Essere di Aristotele, così anche Cristo “si dice in molti modi”: ed ecco allora la cristologia giudeo-cristiana, quella paolina, quella della lettera agli Ebrei, quella dell’Apocalisse, quelle tra loro differenti dei quattro vangeli.
Una pluralità di “ritratti di Gesù il Cristo” che attesta la profondità inesauribile dell’evento con cui Dio ha pienamente manifestato sé stesso, e che al tempo stesso sancisce la dignità e l’imprescindibilità del pensiero, della razionalità e dell’ermeneutica, nell’accostarsi al Mistero. E di ciò il massimo esempio è proprio Paolo, che come ebbe a scrivere Albert Schweitzer, “assicurò per sempre nel cristianesimo il diritto di pensare”.
Egli non fu infatti un mero ripetitore del messaggio cristiano, bensì un suo profondo e originale rielaboratore, che mise al centro della sua vita e di quella delle “sue” chiese, nient’altro che la figura personale di Gesù crocifisso e risorto, dando ampio spazio all’ “impatto antropologico” della adesione a tale figura attraverso la giustificazione per sola fede, anziché per le opere della Legge, opponendosi così alla tentazione giudeo-cristiana - sempre presente - di far coesistere entrambe.
“Io ho sempre auspicato – ha concluso Penna, quasi volendo offrire un augurio e un invito a tutti i presenti - che quest’anno paolino portasse finalmente a scoprire che ciò che è più originale nel cristianesimo sono i dati pre-morali, non quelli morali: la grazia di Dio, la morte e risuscitazione di Gesù Cristo, la fede nuda in lui, questi sono tutti dati pre-morali che, a differenza dell’etica, non hanno corrispondenze da nessuna parte. E proprio Paolo ci proietta in questa direzione, in una gratuità totale, per cui non la legge ci salva, ma Gesù Cristo e la fede in Lui”.
Una pluralità di “ritratti di Gesù il Cristo” che attesta la profondità inesauribile dell’evento con cui Dio ha pienamente manifestato sé stesso, e che al tempo stesso sancisce la dignità e l’imprescindibilità del pensiero, della razionalità e dell’ermeneutica, nell’accostarsi al Mistero. E di ciò il massimo esempio è proprio Paolo, che come ebbe a scrivere Albert Schweitzer, “assicurò per sempre nel cristianesimo il diritto di pensare”.
Egli non fu infatti un mero ripetitore del messaggio cristiano, bensì un suo profondo e originale rielaboratore, che mise al centro della sua vita e di quella delle “sue” chiese, nient’altro che la figura personale di Gesù crocifisso e risorto, dando ampio spazio all’ “impatto antropologico” della adesione a tale figura attraverso la giustificazione per sola fede, anziché per le opere della Legge, opponendosi così alla tentazione giudeo-cristiana - sempre presente - di far coesistere entrambe.
“Io ho sempre auspicato – ha concluso Penna, quasi volendo offrire un augurio e un invito a tutti i presenti - che quest’anno paolino portasse finalmente a scoprire che ciò che è più originale nel cristianesimo sono i dati pre-morali, non quelli morali: la grazia di Dio, la morte e risuscitazione di Gesù Cristo, la fede nuda in lui, questi sono tutti dati pre-morali che, a differenza dell’etica, non hanno corrispondenze da nessuna parte. E proprio Paolo ci proietta in questa direzione, in una gratuità totale, per cui non la legge ci salva, ma Gesù Cristo e la fede in Lui”.
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