lunedì 20 dicembre 2010

Gesù, la purità rituale, i peccatori. Un triangolo, un cliché

I due ultimi libri di Giorgio Jossa mi lasciano abbastanza insoddisfatto su molti punti sui quali vorrei soffermarmi, ma non ne ho purtroppo il tempo. Mi concedo giusto qualche osservazione a partire da un’affermazione che Jossa fa di passaggio nel suo Gesù. Storia di un uomo, allorché tratta delle presunte “libertà” che Gesù si prende nei confronti della legge mosaica, e nella fattispecie delle norme di purità.

A pag. 94 si legge: “Gesù ha mostrato scarsa attenzione a queste norme. Già lo stare a tavola con i pubblicani e i peccatori, trattandosi di persone probabilmente impure, doveva porre inevitabilmente anche problemi di purità”. Questo ragionamento purtroppo è completamente inficiato da una confusione fondamentale.

Jonathan Klawans (Impurity and Sin in Ancient Judaism, 2000) ha illustrato molto bene come in tutta una serie di opere bibliche ed intertestamentarie (Levitico, Numeri, Ezra, Nehemia, Rotolo del Tempio, Documento di Damasco, Libro dei Giubilei) siano chiaramente distinguibili, e permangono come tali, due diverse forme di impurità: una impurità rituale legata agli ambiti naturali della sessualità, della nascita e della morte; e una impurità morale causata da “abomini” come l’idolatria, l’omicidio e peccati sessuali.

Nel primo caso si tratta di una impurità non-peccaminosa, bensì inevitabile e perfino doverosa, che si propaga per contatto, ma in modo non-permanente e facilmente removibile, e che ha come effetto l’esclusione temporanea dal santuario o, in certi casi, dalla comunità. Nel secondo caso, si tratta di un’impurità peccaminosa, non trasmettibile e per nulla incompatibile con l’accesso al tempio (ma capace di contaminarlo moralmente – e non ritualmente –, anche a distanza, come pure la terra d’Israele in genere, fino a determinare l’esilio), e rimovibile non mediante abluzioni, ma solo con la punizione (che può essere la morte) e l’espiazione.

Una fusione di queste due distinte forme di impurità, sembra essere stata tipica solo della comunità di Qumran, nella quale il peccato era considerato causa di impurità rituale e, viceversa, l’impurità rituale peccaminosa. All’opposto dei qumraniti, i successivi maestri tannaitici svilupparono ulteriormente la distinzione biblica in quella che Klawans definisce una “compartimentalizzazione” delle due impurità.

Tornando a Jossa, il problema nella sua affermazione è la mancata realizzazione del fatto che, di per sé, il frequentare un peccatore non comprometteva affatto la purità rituale. In linea generale, Gesù non avrebbe dovuto compiere alcuna pratica di purificazione per il fatto di essere entrato in contatto con un ladro o un pubblicano, come pure con un pagano (le preoccupazioni che diversi scritti hanno per i gentili come fonte d’impurità riguardano infatti la sfera morale: la loro idolatria, le loro perversioni sessuali). E tantomeno Gesù, venendo in contatto con costoro, avrebbe compromesso la sua purità morale, dal momento che questa era una realtà individuale e non-trasferibile, e che oltretutto egli si associava a loro non certo per approvarne le azioni, bensì per correggerle così da reintegrare quelle “pecore perdute” nell’Israele in-via-di-restaurazione.

Né si può assumere gratuitamente che i “peccatori”, per il solo fatto di essere tali, fossero automaticamente irriguardosi delle basilari norme di purità rituale. Cosa impedisce di pensare che un peccatore come Zaccheo non ci tenesse ad immergersi dopo aver avuto rapporti sessuali? O per quale ragione si dovrebbe assumere che un peccatore se ne infischiasse della kashrut e banchettasse a base di porco e coniglio? E in ogni caso, quand’anche questi peccatori fossero stata gente che se ne fregava completamente della purità rituale (o che, nel caso del prostitute, non potessero farci niente), per riguadagnare la purità perduta nell’accostarsi a loro, Gesù non avrebbe dovuto perdere che pochissimo tempo e fatica (il fatto che i vangeli non ci dipingano un Gesù nell’atto di immergersi è perfettamente spiegabile con l’assoluta banalità e non-memorabilità di tale pratica).

In conclusione: i contatti che Gesù ebbe con i “peccatori” - avessero o meno conseguenze per la sua purità rituale (ma non certo per il loro essere “peccatori”) - non costituiscono in alcun modo un argomento per stabilire quale opinione e atteggiamento egli avesse rispetto alle norme bibliche di purità. Parlare a questo riguardo di "prese di libertà" è completamente fuori luogo, dal momento che la Torah non prescrive affatto di non contrarre impurità, ma solo come purificarsene una volta contratte. Non è detto che associandosi ad un peccatore egli si contaminasse ritualmente, e anche se ciò fosse accaduto (come pure è probabile), egli avrebbe facilmente saputo riacquistare lo stato di purità, sicché tutto ciò che se ne potrebbe concludere è solo che la preoccupazione per la purità rituale non era per lui un'ossessione tale da impedirgli di cercare di convertire un peccatore. Il che è ben poca cosa.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Tutte queste enfasi su presunte "prese di libertà" che compierebbe Gesù nei confronti della Torah mi danno sempre il sospetto che serpeggi un pregiudizio diffuso da vari teologi del passato, ovvero la visione che al tempo di Gesù il giudaismo (come se ce ne fosse uno solo dominante) era nella sua essenza una religione basata su un legalismo esteriore dovuto all'infinita distanza tra Dio e l'uomo tale da rendere impossibile che qualcuno potesse avere la possibilità di interpretare delle norme dando la precedenza allo spirito piuttosto che alla lettera, sul particolarismo che affermava la superiorità d'Israele su tutti gli altri popoli.

Al contrario sempre secondo queste vecchie tradizioni teologiche Gesù era colui che affermava in modo rivoluzionario che almeno la sua persona avesse una comunanza con Dio (se non una vera e propria natura divina) tale che potesse considerare con autorità le leggi dando superiorità allo spirito rispetto alla lettera della legge (e che dunque Dio si doveva considerare qualcosa di molto più vicino e personale di quanto il giudaismo avrebbe pensato) e affermava di predicare un universalismo dove tutti gli uomini senza distinzione di popolo erano figli dello stesso Dio (e questo anche senza allargarsi a ritenere che Gesù volesse fondare un giudaismo riformato aperto anche ai pagani, con tutto il problema del "verus Israel" al riguardo).

Mi sembrava di capire che nel mondo storico questo schema fosse stato confutato perchè ritenuto risalente ai tempi in cui la forma di giudaismo vincente e quella di cristianesimo vincente si sono trovati davanti e hanno iniziato a prendere le distanze da essi, magari tu puoi darmi qualche studio storico che mostra come queste divisioni particolarismo-universalismo, legalismo-spirito rapporto con un Dio lontanissimo - rapporto con un Dio paterno e personale non sono le migliori categorie per descrivere il rapporto tra i giudaismi dominanti e il Gesù storico.

Ciao.
Michele

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Johannes,
complimenti per il bellissimo post, che analizza la questione in modo davvero preciso. Purtroppo, Jossa tende spesso ad usare categorie datate come queste e i risultati non sono buoni.
Sarei un po' piu' scettico di te nell'utilizzo del lavoro di Klawans, perche' mi sembra che alla fine ricada nello stesso errore (ma magari non l'ho letto con la dovuta attenzione).
Una piccola integrazione: se penso al romanzo pseudo-clementino, io ci vedo la stessa articolazione che tu applichi a Gesu', ma che li' e' usata per descrivere Pietro che evangelizza i pagani. Lui lo deve fare perche' questa e' la sua missione, ma e' ovvio che cosi' si contamina e deve, quindi, lavarsi regolarmente ogni giorno per purificarsi. La cosa e' descritta senza drammi e senza enfasi particolare, ma forse e' evidenziata proprio perche', ad una data piu' tarda, alcune condizioni esterne erano mutate.
Un saluto.

Johannes Weiss ha detto...

Grazie, Giovanni.
Sarei molto interessato a leggere i passi pseudo-clementini a cui alludi. Siccome non ho tanta confidenza con i Riconoscimenti e le Omelie (ho presente solo un passo in cui Pietro riferisce di come non sia possibile mangiare con gentili che non si siano ancora purificati attraverso il battesimo), mi daresti qualche riferimento? Grazie!

Quanto al lavoro di Klawans - premettendo che non sono molto attrezzato per per esprimere giudizi critici in questa materia -, personalmente l'ho trovato chiaro e utile, ma in ogni caso la distinzione chiave per questo post (impurità rituale-impurità morale), mi sembra sostanzialmente riconosciuta anche da altri studiosi, magari attraverso una terminologia diversa (come D.P. Wright, che parla di impurità tollerate e impurità proibite).

Infine, già che ci sono riporto un altro passo di Joachim Gnilka (altro studioso notoriamente "datato"), in cui la confusione percepibile nell'affermazione di Jossa, appare in modo ancora più nitido.

"Condividendo la mensa con peccatori e pubblicani fu pronto a trascurare le prescrizioni di purità. Indubbiamente nei suoi rapporti con questi uomini accadeva che si contaminasse in senso rituale, cosa che in verità egli mise in conto" (J. Gnilka, Gesù di Nazaret, Brescia, Paideia, 1993, p. 280).

Come già notato nel post, non si capisce perché al fine di mangiare con questi individui che egli poteva stimare essere possibilmente o probabilmente in stato di impurità rituale, Gesù avrebbe dovuto trascurare le prescrizioni delle leggi di purità...

Anonimo ha detto...

A Johannes Weiss e magari anche a Giovanni: sapreste farmi conoscere quindi qualche studio riguardo al superamento o perlomeno al ridimensionamenento di queste antitesi riguardanti non solo la purità e impurità rituale, ma più in generale riguardanti il particolarismo-universalismo, legalismo-spirito e Dio lontanissimo - Dio paterno e personale?

Inoltre volevo sapere che giudizio in generale date degli studi di Jossa, di cui ho appena notato che possiede anche un sito web ufficiale e varie recensioni online in inglese di sue opere.

Ciao.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro JW,
scusami se rispondo cosi' in ritardo, ma credo che la miglior cosa da fare sia darti il titolo di una cosa che ho scritto alcuni anni fa sul tema delle abluzioni pseudo-clementine. Mi vergogno un po', ma credo sia il modo piu' spiccio di darti tutti i riferimenti.
Si tratta di "Il battesimo nel romanzo pseudo-clementino: contributo alla storia religiosa giudeo-cristiana", in Annali di studi religiosi 4 (2004), 391-418.
Li' svolgevo un ragionamento in parte opposto a quello di Klawans, guardando a Qumran come paradigma, ma penso che il parallelo pseudo-clementino ti possa essere utile per inquadrare il Gesu' storico come hai fatto nel post.
E' davvero un'idea interessante: hai gia' scritto qualcosa?
Auguri