Il grande Dale Allison, ha affrontato in un recente articolo (The Continuity between John and Jesus, JSHJ, 2003; 1: 6-27) il tema della continuità tra Gesù e Giovanni il Battista, una questione abbastanza importante, soprattutto in considerazione del fatto che certe presentazioni di un Gesù non-escatologico (come quella di Crossan) devono supporre – per poter funzionare – proprio una forte cesura tra Gesù e il suo “mentore”. Ma senza arrivare alle tesi di Crossan circa un vero e proprio “ripudio” da parte di Gesù della visione del proprio maestro, Allison fa notare che anche laddove la continuità tra Gesù e il Battista viene affermata (Theissen, Meier, Merklein, Becker etc.) si insiste sempre molto su un certo “contrasto” tra le due figure, un contrasto funzionale a mettere in luce la specifica “originalità” di Gesù. Allison prende come “test” ciò che scrive Theissen nel suo ottimo manuale sul Gesù storico: “Gesù sembra aver posto più enfasi sulla offerta della salvezza (anche ai peccatori), in connessione con la predicazione della ‘basileia’”.
Ora, Allison – pur senza voler negare la possibilità che tale spostamento d’accento si sia effettivamente verificato – si chiede: ma questo contrasto tra un Gesù come predicatore di salvezza (con il giudizio sullo sfondo) e il Battista come predicatore del giudizio (con la salvezza sullo sfondo) è poi una cosa davvero così certa e assodata? Che con Gesù in primo piano stia la salvezza, e in secondo il giudizio, può anche star bene. Ma cosa sappiamo veramente, invece, del Battista? Abbiamo sufficienti elementi a disposizione per poter concludere con sicurezza che egli era solo ed esclusivamente un predicatore dell’imminente ira divina? Allison sottolinea che ciò di cui disponiamo, in fin dei conti, si limita a qualche breve sommario e ad una manciata di detti. Ma – si chiede l’esegeta della Pittsburgh University – “come sappiamo che tali frasi rappresentano in modo adeguato la totalità di tutto ciò che egli aveva da dire? A meno che non fosse incredibilmente noioso o fosse simile a Gesù, figlio di Anania, il quale , secondo Giuseppe Flavio (Guerra 6.301-302,) ripeteva in continuazione sempre il medesimo ritornello, il Battista deve aver detto molto di più di quei pochi pronunciamenti che le nostre fonti hanno preservato”.
“Se – continua Allison – Giovanni parlò qualche volta, o perfino spesso, di “regno di Dio”, non abbiamo motivo di pensare che il nostro ridotto numero di fonti abbreviate avrebbe dovuto per forza prenderne nota. Non dovrebbe quindi un sobrio giudizio storico ammettere che semplicemente non possiamo sapere se Giovanni ha mai parlato di “regno di Dio” o che cosa intendesse esattamente, qualora l’abbia fatto? (…) Non dovremmo evitare prudentemente un’opinione in materia? Come possiamo giustificare il fatto di stabilire un equazione tra il silenzio testuale di Giovanni con un silenzio storico e poi procedere a sottolineare l’originalità di Gesù?”
Penso che Allison – con questa uscita un po’ inusuale – non abbia affatto tutti i torti. Effettivamente, la sottolineatura che comunemente si fa sull’originalità della predicazione di Gesù rispetto a quella del Battista, è un po’ troppo calcata rispetto a quanto permetta l’esiguità delle fonti disponibili. Più sobriamente, bisognerebbe cercare di esprimersi in questi termini: “per quel poco che ci è dato sapere di Giovanni il Battista, sembrerebbe che, rispetto a lui, in Gesù il tema del giudizio, pur importante, passa in secondo piano rispetto all’annuncio salvifico della basileia: tuttavia non possiamo sapere con certezza che un tale aspetto non fosse presente anche nella predicazione di Giovanni”.
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