domenica 6 aprile 2008

Chi erano i "peccatori"? Riflessioni in margine al volume di James Dunn

Ho notato che James Dunn, nel suo poderoso “Gli albori del cristianesimo. Il Gesù ricordato”, si riallaccia a Jeremias nel sostenere che i “peccatori” a cui Gesù si rivolgeva erano persone che venivano così denigrate da parte dei farisei, e quindi, probabilmente, semplice gente comune che non intendeva vivere secondo le norme dell’osservanza farisaica, e nient’affatto quindi – come ha sostenuto Sanders – gli empi.
Vediamo un po’ la questione da più vicino.

TESI DI JEREMIAS

I “peccatori” a cui Gesù offre la partecipazione al regno di Dio sono i gli ‘amme ha ‘ares, ossia il “popolo della terra”, la gente comune, semplice e non istruita, che non aveva possibilità di adeguare la propria vita alle speciali regole e osservanze farisaiche

ANTITESI DI SANDERS

I “peccatori” sono i veri propri empi, coloro che cioè vivevano abitualmente e impenitentemente in aperto contrasto alla Legge di Mosè (cf. Gesù e il giudaismo, p. 226-276): è a costoro che Gesù avrebbe assicurato la partecipazione al regno di Dio (oltretutto, secondo Sanders, senza richiedere alcun tipo di conversione o penitenza).

SINTESI: RIPRESA DI JEREMIAS DA PARTE DI DUNN

Per Dunn, Jeremias ha visto giusto, ma non ha argomentato bene. Di per sé Sanders avrebbe ragione quando specifica che, in sé stesse, le denominazioni peccatori e ‘amme ha ‘ares, denotano gruppi di persone differenti, e non sono quindi intercambiabili. Sanders però non avrebbe fatto i conti con la valenza altamente polemica del termine “peccatori” nel contesto del giudaismo dell’epoca, caratterizzato com’era da forti divisioni tra fazioni che portavano avanti differenti visioni del giudaismo stesso.
“ ‘Peccatori’ – scrive Dunn - non era un termine assoluto (…). Nel vocabolario delle fazioni, ‘peccatore’ era diventato un termine spregiativo (…), una parola che esprimeva disapprovazione vituperevole e disprezzo per chi appartenesse ad un’altra fazione”.
Alcuni passi nel libro dei Maccabei, nel corpus enochico, negli scritti di Qumran e nei Salmi di Salomone forniscono testimonianze di quest’utilizzo del termine “peccatori” in chiave polemica, al fine di screditare gli avversari del proprio gruppo, ossia di tutti coloro che praticavano un “giudaismo differente” da quello della fazione a cui apparteneva lo scrivente.
Ed è sempre in questa accezione polemica che – secondo Dunn – il termine compare nella tradizione evangelica, ad esempio nell’antitesi tra “giusti” e “peccatori” (Mc 2,17) o nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 15,7).
In conclusione, secondo Dunn, Gesù allorché si autodefiniva inviato ai peccatori/malati, esprimeva la sua autoconsapevolezza della propria missione profetica avvalendosi proprio di quelle categorie con cui i farisei lo criticavano. Ossia: i farisei criticavano Gesù per il fatto di accompagnarsi a coloro che dai farisei erano considerati (secondo la visione Jeremias-Dunn) “peccatori”, ossia la gente comune che non riteneva necessario o possibile impostare la propria vita secondo la pietà e le norme farisaiche. Costoro sarebbero i peccatori/malati, e Gesù farebbe propria tale distinzione in giusti/sani (farisei) e peccatori/malati (gente comune), rivendicando di essere inviato proprio a coloro che i farisei allontanavano da sé.

OBIEZIONI

Perché mai Gesù, dovrebbe far propria la Weltanschauung farisaica, con la sua (presunta) rigida divisione: “noi = giusti” , “tutti gli altri = peccatori”?
A mio avviso, Dunn, per sostenere la sua posizione deve necessariamente postulare una di queste due cose:

A. Gesù si autoconcepisce come inviato alle “pecore perdute dei farisei” (gli ‘amme ha ‘ares) [e non solo nel contesto polemico riportato in Mc 2,16-17, ma come prassi programmatica del proprio ministero, cf. la “voce popolare” di Gesù come “mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” Mt 11,7] in quanto egli stesso è un fariseo: egli si muove all’interno di tali categorie, perché sono anche le sue. Con la differenza che egli, per qualche ragione (magari dovuta alla eccezionalità del momento presente, nell’imminenza del climax escatologico) ritiene di dover chiamare e radunare proprio coloro da cui normalmente bisognerebbe stare alla larga: quella razza di “peccatori” che sono la gente comune.

B. Gesù non condivide affatto le categorie farisaiche, ma è costretto a conformarvisi, dal momento che i farisei influenzano in modo determinante la vita religiosa e sociale di tutta la nazione israelita, Galilea compresa. Essi hanno l’effettivo potere di porre in stato di marginalità tutti coloro che non sono disposti ad intraprendere la loro pietà e a seguire le loro norme particolari. Dal momento quindi che le “pecore perdute dei farisei” coincidono punto per punto con le “pecore perdute di Israele”, Gesù deve per forza concepire la propria missione come destinata alla grande massa di gente comune che è stata tagliata fuori dalla vita sociale e religiosa palestinese, a causa del propria negligenza nell’osservare la prassi farisaica.

Ma, evidentemente, Dunn non ritiene affatto nè che Gesù sia un fariseo (nemmeno un fariseo riformatore) né che condivida e sottoscriva le categorie farisaiche “giusti=farisei” e “peccatori= gente comune”.
Quindi bisogna necessariamente che Dunn postuli che nella Galilea degli anni ’20 e ’30 non solo c’era la presenza farisaica (il che viene peraltro contestato da alcuni), ma che tale presenza era di rilevanza tale da esercitare un’influenza normativa e determinante in tutto l’ambito sociale e religioso.
Solo se i farisei erano così potenti e influenti da determinare la marginalizzazione come “peccatori” di chi non osservava la loro pietà, ha senso identificare i “peccatori”, a cui Gesù destinava preferenzialmente la propria missione profetica di restaurazione di Israele, con il “popolo della terra”, la gente comune.
Questo scenario, all’insegna della dominanza religiosa-culturale-sociale dei farisei è però del tutto inverosimile.

1. Come scrive E.P. Sanders: “nessun piccolo gruppo di bigotti superpii e supercolti poteva in qualunque modo escludere di fatto dalla vita religiosa e sociale coloro che non si conformavano ai loro modelli”.
2. I farisei oltretutto – come ha mostrato, tra gli altri, Anthony Saldarini - erano per l’appunto solo un piccolo gruppo in mezzo ai tanti, che non aveva diretto accesso alle leve del potere politico. Si trattava per lo più di un gruppo formato da retainers, ossia “persone addette ai servizi” che costituivano una sorta di burocrazia colta, incaricata di esercitare una serie di uffici e mansioni alle dipendenze delle classi dominanti. Essi cercavano di estendere la loro influenza sia verso l’alto, cercando di guadagnare alla propria causa le classi dominanti, sia verso il basso, in direzione della popolazione comune, tra la quale in effetti – come ci informa Giuseppe Flavio – essi godevano di una certa stima. Ad ogni modo, a parte qualche significativa eccezione, essi non erano nel complesso parte della classe dominante e dirigente.
3. Se i farisei fossero poi effettivamente presenti in quegli anni in Galilea, o meno, è questione attualmente assai dibattuta. Comunque stessero le cose, penso proprio che si possano sottoscrivere le seguenti considerazioni di Anthony Saldarini: “Sostenere che i farisei fossero presenti in Galilea non significa affermare che la dirigessero o fossero anche solo una delle forze al potere. (…) Se i farisei erano presenti in Galilea, non facevano parte della classe dominante, né della dirigenza tradizionale galilaica: costituivano un gruppo sociale riconosciuto e organizzato, ma solo uno fra i tanti della società palestinese”.

Una volta che si è compreso tutto questo l’identificazione dei “peccatori” con “tutti coloro che non osservavano la pietà farisaica”, sostenuta da Dunn, diventa fortemente problematica. Essa non rende affatto ragione della specificità del ministero di Gesù, anzi la rende assai poco comprensibile.
Perché mai egli avrebbe dovuto impostare il proprio ministero secondo le categorie farisaiche, andando alla ricerca di coloro che secondo i farisei erano “malati”, ma che per la stragrande maggioranza del giudaismo erano invece assolutamente “sani”? Questi presunti “malati” che si rifiutavano di adottare la prassi farisaica non avevano proprio alcun bisogno di un medico che andasse in loro soccorso: non erano affatto emarginati, né religiosamente né socialmente! Una minoranza che non detiene le leve del potere non è in alcun modo in grado di marginalizzare nessuno!
Perché mai Gesù avrebbe dovuto considerarsi inviato alle “pecore perdute dei farisei”?

CONCLUSIONE

In conclusione, ritengo che la riproposizione da parte di Dunn della tesi di Jeremias sull’identità tra “peccatori” e “gente comune” o “non-farisei”, sia da respingere nettamente.
I “peccatori” che Gesù invitava all’ingresso nel regno di Dio, nell’Israele escatologico restaurato, non erano la gente comune che non osservava la pietà farisaica, bensì coloro che erano realmente emarginati dalla vita religiosa e sociale palestinese a causa del loro ripudio pratico della Legge di Mosè: gli empi.
Su questo Sanders è completamente nel giusto; più discutibile è invece l’altra sua grande tesi: che Gesù avrebbe offerto a costoro il Regno in modo completamente gratuito, prescindendo completamente da qualsiasi dinamica di conversione. Ma questa è un’altra questione.

APPENDICE

Infine, si potrebbe forse contestare l’idea stessa secondo cui i farisei stabilissero degli steccati così netti e invalicabili tra di essi e il resto della popolazione giudaica. A ben vedere ciò è in palese contraddizione con l’affermazione di Giuseppe Flavio secondo cui i farisei godevano di una certa stima tra la popolazione: ora, una volta che si assume che gran parte della popolazione non aveva evidentemente né l’istruzione, né le possibilità economiche e le condizioni di vita adatte per permettersi il “lusso” di adottare la prassi farisaica, viene proprio da domandarsi in che modo i farisei avrebbero potuto godere di stima tra una popolazione così poco permeabile alle loro pratiche, qualora questi fossero stati degli inflessibili bacchettoni!
Diverse fonti (Atti 5,33-40; Giuseppe Flavio e il trattato Sanhedrin della Mishnà) suggeriscono al contrario che i farisei fossero noti per una certa “clemenza” e “flessibilità” (al contrario dei sadducei). Se nei vangeli essi si dimostrano così rigidi e bacchettoni ciò lo si deve forse (oltre che ad una certa tendenza all’esagerazione dovuta ai contrasti che intercorrevano tra i farisei e la chiesa primitiva negli anni successivi al 70), ad una certa “vicinanza” o “affinità” con cui i farisei percepivano la figura di Gesù: essi polemizzavano con Gesù, proprio perché, per certi aspetti, lo sentivano vicino a loro.
Sia il movimento farisaico sia quello di Gesù condividevano una certa affinità quanto ad aspettative escatologiche e per il fatto che entrambi si rivolgevano direttamente al popolo. Proprio perché erano in parte vicini (e rivali), le stravaganze del movimento di Gesù (che si rivolgeva non solo alla gente comune, ma anche agli empi, che non teneva in gran conto le leggi di purità) risultavano ancora più irritanti agli occhi dei farisei.

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