Un'altra cosa estremamente interessante e contestabile Cantalamessa ce la dice nel suo intervento del 12-05-2007 al Festival della filosofia Roma, che lo ha visto partecipare come relatore insieme ad una grandissima studiosa americana, Paula Fredriksen, e ad un paio di presunti “esperti” nostrani, alquanto improvvisati (per non dirne peggio … ): Paolo Flores d’Arcais ed Eugenio Scalfari.
Questo intervento – per certi aspetti anche ben fatto – presenta diverse cosucce su cui ci sarebbe da ridire: ad esempio, sono abbastanza inorridito dal modo intollerabilmente superficiale e semplificante con cui il biblista francescano accosta i proponenti di un “Gesù cinico” alla “filosofia” New Age.
Mi riesce infatti molto difficile immaginare che cosa mai possa avere di new-age un Gesù fortemente sociale e politico come quello che ha ricostruito John Dominic Crossan!!!
Forse solo Marcus J. Borg col suo insistere (soprattutto nel suo libro “Jesus: A New Vision”) su Gesù come “uomo dello spirito”, può portare a qualche associazione in tal senso … ma anche in questo caso sarebbe ingiusto liquidare il Gesù di Borg come “New-age”, anzitutto perché fondamentalmente Borg non fa altro che sviluppare le tesi di G. Vermes su Gesù quale “jewish mystic”, ma soprattutto perché anche il Gesù di Borg ha connotazioni fortemente politiche e sociali (e non credo che ciò si possa accordare molto con il New-Age).
Insomma, certe semplificazioni un (ex)studioso come Cantalamessa se le dovrebbe proprio risparmiare.
Ma il punto veramente “caldo” del suo intervento è quando, pochi passi prima, Cantalamessa afferma:
“La mia convinzione è che, se si nega o si prescinde dalla fede in Dio non si elimina solo la divinità, o il cosiddetto Cristo della fede, ma anche il Gesú storico tout court, non si salva neppure l’uomo Gesú. Nessuno può contestare storicamente che il Gesú dei vangeli vive e opera in continuo in riferimento al Padre celeste, che prega e insegna a pregare, che fonda tutto sulla fede in Dio. Se si elimina questa dimensione dal Gesú dei vangeli non resta di lui assolutamente niente.
Ma se Dio non esiste, Gesú non è che uno dei tanti illusi che ha pregato, adorato, parlato con la propria ombra o la proiezione della propria essenza, per dirla con Feuerbach. E come si spiega allora che la vita di quest’uomo “ha cambiato il mondo”?”
Di fronte ad affermazioni del genere io resto francamente un po’ sconcertato. Ma perché mai chi volesse indagare il Gesù storico prescindendo dal Cristo della fede, dovrebbe essere condannato a veder svanire dalle proprie mani l’oggetto della sua ricerca? Perché, allorchè si cerca di distinguere l’immagine di fede degli evangelisti dall’impulso storico che le ha determinate, non dovrebbe restare nulla dell’uomo Gesù?
Cosa ci sta dicendo Cantalamessa: che uno storico per accostarsi alla figura di Gesù deve necessariamente fare una professione di fede cristologica? O che dovrebbe ammettere che Dio esiste, pena il far precipitare la figura di Gesù nell’assurdo? Ma perché??? Il noto predicatore pontificio sarebbe forse disposto a concedere l’autenticità della rivelazione coranica, allorché intendesse accostarsi dal punto di vista storico a Maometto?
Io resto veramente allibito di fronte a frasi del genere.
Non posso concepire che un uomo intellettualmente dotato (assai più di me!!) come Cantalamessa pensi una cosa del genere. Alla fine mi viene da pensare, che, semplicemente, l’esegeta francescano sta facendo una ENORME confusione di piani: un conto è infatti dire che lo storico deve entrare in un rapporto di “simpatia” con la fede giudaica di Gesù e con la fede cristologica dei suoi discepoli; un altro è sostenere che egli le debba sottoscrivere!!!
Se Cantalamessa intendeva dire la prima cosa, allora sono d’accordo. Che si debba entrare in un rapporto di “simpatia” con la fede giudaica di Gesù e le sue visioni teologiche sul Padre e sul Regno, è qualcosa di veramente ovvio. Si tratta semplicemente di rispettare l’oggetto dell’indagine storica per quello che è.
E, in senso un po’ diverso, lo stesso si può dire anche nei confronti della fede cristologica depositata nei testi neotestamentari: lo storico non deve accostarsi alla teologia degli evangelisti come a qualcosa di radicalmente fuorviante e corrotto rispetto alla figura di Gesù. Bensì, deve penetrare tali testimonianze di fede, cercando di capire, per quanto è possibile, quale è stato il punto originario a partire dal quale esse hanno cominciato il loro sviluppo.
In sostanza, Cantalamessa intendeva forse presentare la tesi di James Dunn (a lui estremamente caro) secondo cui il Gesù a cui lo storico può avere accesso non è tanto un immaginario e neutrale “Gesù storico”, bensì il “Gesù ricordato”, che cominciò ad impressionare la memoria dei suoi discepoli sin dal tempo del loro ministero itinerante al suo seguito. In poche parole, secondo Dunn, possiamo nel migliore dei casi soltanto arrivare a vedere Gesù con gli “occhi” con cui lo videro i suoi primi discepoli.
Se Dunn abbia ragione o no, non starò qui a discuterlo, anche perché dovrei sinceramente dedicarci un po’ di tempo, di lettura e di riflessione. In ogni caso si tratta però di qualcosa di completamente diverso dal concetto che p. Cantalamessa ha voluto propinarci al Festival della Filosofia di Roma, ossia che prescindendo dalla fede in Dio, non è possibile indagare il Gesù storico: questo io – Johannes Weiss, colui che non intende saltare il “grande e brutto fossato” – lo rifiuto categoricamente con tutte le mie forze.
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