martedì 8 luglio 2008

Hazon Gabriel: le possibili implicazioni del messia che muore e risorge per lo studio del Gesù storico

A quanto pare, la notizia dell’Hazon Gabriel e del suo messia morente e risorgente (secondo l’interpretazione offerta da Israel Knohl. Cf. "’By three days, live’: Messiahs, Resurrection, and Ascent to Heaven in Hazon Gabriel” in The Journal of Religion, 88:147-158, April 2008) comincia a fare rumore.
Io, purtroppo, sono assolutamente lontano dal disporre dei mezzi per pronunciarmi sulla correttezza della tesi di Knohl.
In attesa che il dibattito accademico faccia progressi, mi limito pertanto a qualche ipotetica considerazione a partire dalla eventualità che effettivamente la stele in questione ci abbia messo di fronte all’esistenza, tra le varie concezioni messianiche del giudaismo del secondo tempio, anche di una linea di pensiero che attribuisce al messia un destino di morte e risurrezione. Quali sarebbero le implicazioni di tutto questo?

A me pare, anzitutto, che tale testimonianza costituirebbe una ulteriore conferma di come fosse nel giusto quella linea di studiosi che - a partire da Schweitzer, e, passando per Jeremias e Ben Meyer, giunge fino ad Allison – facevano della cosiddetta “tribolazione escatologica” un elemento centrale della predicazione di Gesù (linea rinnovata di recente dal volume di Brant Pitre, Jesus, the Tribulation and the End of the Exile, Mohr Siebeck, Tubingen, 2005).
Ca va sans dire che un detto quale Mc 9,31 ("Il Figlio dell`uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà"), solitamente interpretato come vaticinium ex eventu, riappare ora in una luce completamente nuova: lo storico infatti disporrebbe ora, grazie all’Hazon Gabriel, di un’analogia più che sufficiente per poter guardare al logion citato come ad un’attestazione di un particolare schema escatologico-messianico presente tra le varie concezioni del giudaismo del tempo di Gesù, e nulla vieta che esso possa esser stato fatto proprio dallo stesso Gesù, prima ancora che dai suoi discepoli a seguito degli eventi pasquali.
Insomma, sarebbe storicamente molto plausibile che Gesù - venendo a contatto con l’humus da cui è sorto l’Hazon Gabriel, oltre che, in modo più fondamentale, riallacciandosi alla visione danielica del Figlio dell’uomo e del popolo dei santi dell’Altissimo, ad esso connesso, che passa dalla persecuzione al trionfo – avesse pensato il suo ministero nell’ottica di una già iniziata tribolazione escatologica (cf. Q 16,16 ; Q 12,51-53) destinata a trovare risoluzione in tempo brevissimo con la venuta del Regno di Dio in potenza (Mc 9,1 – dove, come suggerisce Jeremias, gli “alcuni qui presenti” che non gusteranno la morte non sono discepoli particolarmente longevi, bensì discepoli sopravvissuti alla tribolazione; il che fa di questo logion un detto di incoraggiamento).
Al banchetto del Regno, alcuni (quelli di cui parla Mc 9,1) sarebbero giunti passando indenni attraverso la tribolazione; altri invece (tra cui forse, a giudicare anche da Mc 14,25 , Gesù stesso) vi avrebbero presenziato mediante un miracoloso intervento di Dio, quello, appunto, di cui si parla in Mc 9,31 e in Hazon Gabriel.

Un risvolto leggermente più "scomodo" (ma, in fin dei conti, nemmeno troppo, io credo) per chi si muove entro l’ottica della fede cristiana è invece che l’annuncio pasquale (ferme restando la salda attestazione delle apparizioni del Risorto e la intrinseca "non giudicabilità" da parte dello storico della realtà del loro oggetto) sembrerebbe essere una prevedibile e quasi doverosa (alla luce della autenticità di un detto quale Mc 9,31) interpretazione da parte dei discepoli della vicenda del loro leader, ricalcante un già esistente “schema” giudaico di messia sofferente e risuscitato.

In un post precedente, avevo parlato dell’esperienze pasquali come evento “dissonante” rispetto alle aspettative escatologiche dei discepoli, che verosimilmente si aspettavano la restaurazione di Israele, l’affermazione definitiva del regno di Dio (con loro stessi nel ruolo di rappresentanti e giudici), il giudizio universale e, concomitantemente la risurrezione generale dei morti. Non rientrava invece nel loro orizzonte mentale invece la possibilità che a risorgere fosse uno soltanto, il loro leader. Le cose cambierebbero di parecchio tuttavia se si potesse ritenere ragionevolmente possibile che tra le concezioni escatologiche di Gesù e dei suoi discepoli ci fosse pure quella di un messia il cui trionfo passa per la morte e la risurrezione dopo tre giorni, e che l’influenza di tale concezione sarebbe testimoniata in un detto come quello di Mc 10,31. In questo caso, le esperienze pasquali non sarebbero affatto qualcosa di “dissonante”, anzi, sarebbero precisamente ciò che ci si sarebbe dovuti aspettare.

Comunque, se anche le cose stessero così, non sarebbe troppo grave: qualunque fossero le particolari aspettative escatologiche pre-pasquali dei discepoli, l’attestazione delle apparizioni pasquali conserva la sua forza, e chi vuole pertanto continuare a vedere in tale attestazione il frutto di una reale e singolarissima esperienza dei discepoli, piuttosto che di una semplice operazione “ermeneutica” nei confronti del destino del loro leader alla luce delle concezioni escatologiche che egli stesso aveva instillato in loro, non si può affatto dire che lo faccia contro l’evidenza delle testimonianze.

In fin dei conti, la tesi di Knohl condurrebbe soltanto ad aggiungere un tassello in più alla nostra considerazione del cristianesimo delle origini come fenomeno da inquadrarsi positivamente all'interno del variegato spettro del giudaismo(i) del secondo tempio, guardando - molto theissenianamente - anche all'annuncio pasquale nell'ottica della plausibilità contestuale, piuttosto che in quella della discontinuità.

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