venerdì 11 febbraio 2011

Banning Bannus! Lo storico e l'immaginazione, secondo James Charlesworth

Trovo imbarazzante che uno dei più rinomati studiosi di origini cristiane e giudaismo del secondo tempio, possa scrivere un articolo di pura fantasia, destinato a comparire in un’imponente e accreditata opera di riferimento.

Purtroppo questo è il caso dell’articolo dell’esimio prof. James H. Charlesworth “John the Baptizer and the Dead Sea Scrolls”, pubblicato nell’opera in tre volumi da lui stesso edita: The Bible and the Dead Sea Scrolls (Baylor University Press, 2006, vol. III, pp. 1-35).

Charlesworth comincia con il notare “six striking similarities” che accomunano il Battista e gli uomini di Qumran (l’Autore considera precisamente i qumraniti, e non gli Esseni in generale): 1) la prossimità geografica; 2) la comune valorizzazione di Isaia 40,3; 3) L’interesse per le purificazioni rituali in collegamento con una precedente purificazione dal peccato; 4) L’enfasi sul giudizio imminente e la condanna delle autorità religiose gerosolimitane (questo secondo aspetto, non certo lampante nel caso del Battista, viene argomentato con un mero rimando all’opera di Paul Hollenbach – altro studioso a cui notoriamente la fantasia non fa difetto); 5) L’ascetismo e il celibato; 6) l’uso dell’espressione “razza di vipere”.

Dopo ciò, il passo successivo di Charlesworth è valutare le innegabili divergenze: 1) il battesimo di Giovanni era praticato una volta soltanto, laddove le immersioni qumraniche erano quotidiane; 2) Giovanni esercitava una missione finalizzata al pentimento di Israele, mentre i qumraniti – con la loro teologia dualista, determinista ed esclusivista – consideravano come massa dannata tutti gli outsiders alla Yahad; 3) contrariamente a Qumran, alla comunità del Battista (??? – sic!) si accedeva in modo immediato ed essa non contemplava gerarchie interne, punizioni ed espulsioni.

Stabiliti pro & cons circa un legame tra il Battista e Qumran, Charlesworth passa a contestare, in modo non certo irresistibile, gli argomenti espressi da Joan Taylor contro tale collegamento, accusandola di valutare i paralleli attraverso una metodologia troppo rigida, ristretta e ovviamente… positivista! (immancabile babau di tutti i biblisti conservatori).

Se dunque i paralleli significativi ci sono, e non è pertanto possibile negare l’esistenza di un rapporto tra il Battista e Qumran, l’altrettanto evidente presenza delle divergenze, conduce Charlesworth all’inevitabile (?) conclusione che Giovanni fu a Qumran per un certo periodo, ma successivamente se ne distaccò.

A questo punto, sgomberato il terreno da ogni riserva positivista e fattosi scudo dell’opinione di Joseph Fitzmyer, secondo cui l’idea di un Battista con trascorsi a Qumran è una “plausibile hypothesis, one that I cannot prove, and one that cannot be disproved” - Charlesworth si sente finalmente autorizzato a sciogliere le briglia della sua fantasia, e, con un coup de théatre, passa direttamente a porre un quesito ardito… al quale ancora nessuno è riuscito a dare una risposta:

che cosa mai spinse Giovanni a lasciare Qumran?

Ed è qui che, tutto d’un tratto, i cieli si spalancano e il lettore vede discendere un deus ex machina sull'articolo:

Adding historical imagination to what we have been told about the Baptizer by Josephus and the Evangelists, it is clear…”.

E’ chiaro cosa?…

E' chiaro che nel corso dei due anni di noviziato qumranico, Giovanni, forte della sua discendenza sacerdotale aronita, avrebbe in un primo tempo gioito nel declamare passaggi del rituale di rinnovamento dell’alleanza come 1QS 1,21-25 (“Abbiamo operato iniquamente … abbiamo peccato … noi e i nostri padri prima di noi …”), che tanto gli avrebbero ricordato le parole udite pronunciare da bambino al babbo Zaccaria durante i suoi turni nel tempio.

E più ancora il giovane Giovanni si sarebbe infervorato nel recitare benedizioni come 1QS 2,1-4 (“… e i sacerdoti benediranno tutti gli uomini della parte di Dio che perfetti camminano in tutte le sue vie e diranno: Vi benedica con ogni bene, e vi guardi da ogni male, … alzi su di voi il volto della sua grazia … “), nelle quali avrebbe certamente stimato come incluso anche il suo caro babbo Zaccaria.

Ma questo idillio era troppo bello per durare. Già a partire dalle righe immediatamente successive il suo cuore avrebbe cominciato a turbarsi. In 1QS 2,4c-10 si dice infatti che: “E i leviti malediranno tutti gli uomini della parte di Belial. Prenderanno la parola e diranno: Sia tu maledetto per tutte le tue empie opere colpevoli … Non abbia Dio misericordia quando lo invochi, né ti perdoni quando espii le tue colpe …”. Queste parole erano troppo dure per un “uomo buono” (così Flavio Giuseppe) come Giovanni: pronunciarle significava per lui maledire il babbo Zaccaria e tutte le persone che aveva amato.

Così, a poco a poco, la voce con cui Giovanni declamava queste maledizioni durante le riunioni dei Molti, cominciò a farsi sempre più bassa e impercettibile, finché un bel giorno il Maskil si accorse che egli non si associava più ai Molti nel pronunciare l’ “Amen, amen” conclusivo.

E qui il destino di Giovanni fu segnato per sempre. Tutto d’un tratto, da Figlio della Luce che era, egli si trovò ad essere un Figlio delle Tenebre, e venne espulso dalla comunità. E questo significò per Giovanni venire a trovarsi in una impasse esistenziale insolubile: da un lato, egli aveva rotto radicalmente con il comune mondo giudaico da cui proveniva, acquisendo una nuova identità sociale; dall’altro, questa identità acquisita non aveva più possibilità di esprimersi. E nemmeno poteva pensare di tornare indietro al mondo che aveva lasciato, oppure di andare in cerca di nuove identità rivolgendosi ad altri gruppi: da homo religiosus qual era, infatti, egli continuava a sentirsi vincolato a quei voti che solennemente aveva intrapreso di fronte a Dio, entrando a Qumran.

In poche parole: Giovanni si trovava bloccato in uno stato di liminalità permanente.

E con questo viene finalmente svelato l'arcano delle bizzarre notizie evangeliche sulla dieta e l'abbigliamento di Giovanni. Poveraccio! Sentendosi ancora vincolato ai giuramenti fatti allorché era entrato nella Yahad, egli non poteva accettare di ricevere né cibo né vestiti da chiunque non fosse un Figlio della Luce (e questo nonostante la causa della sua espulsione fosse stata proprio l’incapacità di accettare il dualismo determinista di Figli della Luce/Figli delle Tenebre), i quali da parte loro si guardavano però bene dall’andarlo a trovare, lasciandolo ben volentieri da solo a morire di fame.

E così il povero Giovanni Senzaterra si trovò a doversi cibare e vestire con quel che gli riusciva di trovare in natura: locuste, miele selvatico, pelo di cammello.

Fortuna volle che egli venisse poi raggiunto da una potente chiamata profetica, che lo trasformò di colpo in un leader carismatico capace di incendiare le folle con i suoi appelli al pentimento e le sue invettive, nelle quali si faceva peraltro ben sentire il vecchio vizietto qumranico di maledire gli altri ebrei (“razza di vipere”), anche se nel caso di Giovanni tali gentilezze non erano gratuite, bensì riservate a coloro che liberamente rifiutavano il suo messaggio. In ogni caso, attingendo alla propria amara esperienza, il nuovo Battista profeta avrebbe iconoclasticamente spronato "those who came to him to break free of the usual social categories" ossia "to abandon their proud claim to be children of Abraham"; sebbene, per conto suo, egli ancora non riuscisse ad accettare la più piccola cosa da un Figlio delle Tenebre.

Dopo questa scorpacciata di “historical imagination”, il lettore sente che la sua pancia è già abbastanza piena, e guarda con fiducia alle ultime tre pagine dell’articolo, consolandosi al pensiero che tutto sia già stato detto, e ci siano solo da tirare le somme.

Ma ecco che proprio nelle ultime venti righe prima della conclusione Charlesworth tira la stoccata finale:

“There is a possible sequel to this attractive scenario”

Aaaargh… si teme il peggio,

e il peggio arriva con il nome di BANNUS.

“As with the Baptizer, Bannus may also have once been a member of the Qumran Community but left it, or was expelled from it”.

Ebbene sì, ecco un altro povero ossesso costretto dai suoi stessi voti a indossare solo quello che trova sugli alberi e a mangiare solo quel che cresce da sé , nonché ad immergersi senza posa nell’acqua fredda.

A questo punto il lettore ha già preparato il cappio al collo, nel leggere che

“Bannus is not only a name, it is a description”.

Sì, questa è la fine. Lo sta per dire, lo sta per dire:

Bannus means… Banned!

Dillo, James, avanti: spara senza pietà!

E invece no.

Con un sussulto di sobrietà, Charlesworth si limita ad osservare che Bannus deriva probabilmente da bnn’h, ossia “bather”, il che è a dire, in pratica, “baptizer”.

Pericolo scampato. Grazie, Jim.

Le righe che ancora rimangono offrono solo un conciso riepilogo di quanto esposto nelle precedenti trenta pagine, nel quale Charlesworth si premura di ribadire al lettore – se non fosse abbastanza chiaro -, che:

“The historian must attempt some synthesis and use SOME historical imagination that accounts for all the relevant data”.


Al lettore del volume 3 di The Bible and the Dead Sea Scrolls, il compito di giudicare se questa “recensione” sia una parodia dell’articolo di Charlesworth, o se è l’articolo di Charlesworth ad essere una parodia degli studi storici.

Sono io ad aver mancato di rispetto ad un grande studioso? O è un grande studioso ad aver preso in giro i suoi lettori, propinando loro trenta pagine di “immaginazione”?

_________


Per comodità dei lettori, offro di seguito un sommario dell’articolo di Charlesworth.

Immaginiamo che Giovanni provenisse effettivamente da famiglia sacerdotale (almeno questo in fin dei conti sono disposti ad accettarlo in molti) e che suo padre si chiamasse effettivamente Zaccaria. Immaginiamo che Lc 1,80 anziché essere una “cerniera” redazionale che si congiunge a 3,1 , contenga un ricordo storico. Immaginiamo che, nel deserto, Giovanni sia stato proprio a Qumran. Immaginiamo che lì abbia ricevuto un’iniziazione completa. Immaginiamo che gioì nel pronunciare le benedizioni del Rotolo della Comunità, e che, nel farlo, egli pensasse sicuramente di benedire di fatto anche papà Zaccaria. Immaginiamo però che il suo affetto per papà Zaccaria e per le altre persone che aveva amato gli impedì di digerire le maledizioni del Rotolo della Comunità. Immaginiamo che a poco a poco, durante le riunioni, smise di pronunciarle. Immaginiamo che sia stato beccato ed espulso. Immaginiamo che sebbene egli ripudiasse il dualismo deterministico (non ci sono Figli delle Tenebre), continuò nondimeno a sentirsi vincolato a quei giuramenti che lo supponevano (non si accetta nulla da un Figlio delle Tenebre). Immaginiamo che fu questa schiavitù a obbligare Giovanni a cibarsi di locuste e miele selvatico e a vestirsi di pelo di cammello. Immaginiamo tutto questo, ed ecco che abbiamo di fronte a noi una plausibile spiegazione di come Giovanni abbia potuto abbandonare quella comunità di Qumran nella quale abbiamo immaginato egli fosse entrato. Il tutto soddisfa per giunta il criterio di "plausibilità contestuale immaginaria", in quanto possiamo immaginare che un fenomeno identico si sia verificato nel caso di Banno.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Johannes, credo che sia quasi doveroso scrivere qualcosa sul metodo di ricerca (la storia del metodo e i vari metodi esistenti). Un po' di tempo fa mi è capitato casualmente un libro tra le mani (mentre vagabondavo per la biblioteca) di Simonetta Bisi dal titolo "Le forme del conoscere. I dati nella ricerca empirica". Ciò che mi ha incuriosito di tale opera sono i primi tre capitoli, che trattano proprio il problema del metodo nelle scienze in generale. La Bisi riassume in poche pagine il percorso che ha subito il metodo di ricerca dal positivismo (Comte) al neopositismo (Circolo di Vienna) per finire al postpositivismo (Popper, Kuhn, Feyerabend e Lakatos). Nel terzo capitolo la Bisi passa alle alternative dell'approccio positivista. La figura di riferimento è Max Weber, il quale propone un metodo comprensivo, che consiste nella comprensione dell'atteggiamento umano mediante l'interpretazione. La Bisi parla poi (prendendo in considerazione per lo più il campo della sociologia) dell'interpretativismo, del costruttivismo, dell'interazionismo simbolico, dell'etnometodologia e della Grounded Theory.
Beh, quello che mi stava a cuore di segnalare è che l'approccio positivista non è effettivamente l'unico. Esiste anche l'interpretativismo come possibile alternativa.
Fare un po' di luce sui vari metodi di ricerca che si possono adottare o che sono stati adottati in ambito storico, sarebbe utile a tutti per una comprensione maggiore di quanto detto da Jim e per capire un po' meglio in generale la storia e il suo metodo/i suoi metodi di ricerca. Potresti scrivere un post al riguardo, se hai voglia e tempo.
Ciao, Elijah Six

Anonimo ha detto...

Sono di nuovo io... :)
Guardando cosa c'è online, per farsi un'idea generale si può dare un'occhiata qua (in tedesco): "http://de.wikipedia.org/wiki/Theorie_der_Geschichte" (Teoria della storia). Si parla tra le varie cose anche del "diritto della fantasia storica" (das Recht der historischen Phantasie), posizione difesa da determinati esponenti della scuola delle Annales (contro l'approccio positivista).
Non sarebbe male nemmeno dare un'occhiata alla storia della storia (giusto per capire quali discussioni sul metodo ci sono state e ci sono e quali cambiamenti sono avvenuti nel corso del tempo): "http://de.wikipedia.org/wiki/Geschichte_der_Geschichtswissenschaft".
Ciao, Elijah Six

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Johannes,
scrivo per confermare (dopo un'attenta lettura dell'articolo che riassumi) che le cose stanno proprio come le descrivi.
Credo anch'io che sia doveroso scrivere qualcosa sul metodo di ricerca e quindi aggiungo una postilla che fara' sobbalzare il nostro Elijah sulla sua sedia.
Il tuo commento a Charlesworth e la mia lettura sempre piu' intensa, in questi giorni, del lavoro di Luz su Matteo, mi stanno sempre piu' convincendo che per questi autori (e non solo per loro) il metodo storico-critico venga piegato a diventare niente piu' che una nuova versione dell'allegorizzazione tradizionale. Il piano storico che starebbe "dietro" al testo diventa un fondale, creato dall'immaginazione (come dice onestamente Charlesworth), su cui torna conveniente proiettare alcune idee teologiche che sono ritenute importanti e che possono quindi giovarsi dell'autorita' conferita dal fatto di essere "storiche" (un'autorita' che oggi nessuno riconosce piu' ai frutti del metodo allegorico).
Charlesworth ci tiene a reinscrivere nella vicenda biografica del Battista la vecchia opposizione fra gudaismo legalista e cristianesimo misericordioso. Luz (in modo molto piu' sofisticato, non c'e' dubbio) crea una comunita' matteana, nella cui "storia" puo' vedere la sua idea dei rapporti fra giudaismo e cristianesimo.
Ciao

Talità ha detto...

Ciao Johannes,
vorrei dedicare a Charlesworth l'attacco di una vecchia canzone dei Pulp che conosco solo io: "I am not Jesus though I have the same initials"..

Sono d'accordo sulla bizzarrìa dell'approccio di J.C., che nel caso specifico appare per nulla scientifico (e scusa la rima) - nonostante gli interessanti contributi di Elijah e Bazzana.
Mi torna in mente, a questo riguardo, una recente "polemica" riguardo all'apostasia di

Riguardo invece alla tua seguente domanda:
<<...O è un grande studioso ad aver preso per il culo i suoi lettori, propinando loro trenta pagine di “immaginazione”?>>. Direi che una vera "presa per il culo" vorrebbe l'autore omettere la premessa che di fantasia si tratti, cosa che invece J.C. sembra specificare chiaramente.
Al contrario, mi sono sempre stupito (e lamentato) un poco di Ehrman che nel suo antipatico lavoro "Pietro, Paolo e Maria Maddalena" è riuscito a scrivere interi capitoli sulla Maddalena (!) senza premettere che al massimo si può spendere una paginetta sull'argomento e tutto il resto è paccottiglia da rotocalco. Quella sì, e te l'ho sempre scritto, è una presa per i fondelli.. Ma con Ehrman sei stato un pò più tenero che con J.C. .. :-)

ciao!

Talità ha detto...

scusami, completo il post precedente: apostasia di Klaus Berger, il quale si dice insoddisfatto del "metodo", e abbandona la compagnìa per un approccio mistico - che porterebbe ad un comprensione (ed una "conoscenza") più estesa e completa del Gesù storico.
Nel forum l'hai sderenato, ma ora forse il suo atteggiamento si può mettere in relazione all'approccio di altri studiosi.
Che poi sia una legittima proposta scientifica o un banale atteggimento "reazionario" non so dire.
Per quel che mi riguarda, senza scomodare Khun e Feyerabend (come correttamente ha fatto Elijah) che secondo me hanno ragione da vendere, mi ha convinto il Nobel per la Fisica Anderson che in un semplice articoletto ("More is Different") ha dimostrato (!) scientificamente come il riduzionismo sia un approccio parziale, necessario ma non sufficiente. E se questo è valido per le cosiddette scienze esatte, mi aspetto che per la "conoscenza" del Gesù storico questo possa essere valido all'ennessima potenza.

Johannes Weiss ha detto...

Caro Giovanni,

mi conforta che anche tu abbia avuto le mie stesse sensazioni nel leggere l’articolo di Charlesworth.
Non mi sono sentito di tirare in ballo la vecchia contrapposizione – evidentemente dura a morire – giudaismo legalista Vs cristianesimo misericordioso, perché non posso pensare che uno come Charlesworth, che ha fatto così tanto per arricchire la nostra comprensione del giudaismo del secondo tempio, prodigandosi anche per una migliore comprensione di Gesù “within Judaism” – possa poi ricadere in un stereotipo del genere. Preferisco pensare bene… sarà stata una svista accidentale…

Non saprei invece dire se retaggi di questa concezione stereotipa abbiano influenzato la visione di Luz della comunità matteana. Mi pare infatti che la sua posizione sul rapporto di tale comunità con il giudaismo sinagogale (ossia: conflitto consumatosi di recente e conclusosi in una separazione definitiva), sia ragionevole e non pregiudiziale. In effetti, io preferisco la tesi di Saldarini (comunità matteana “sconfitta”, deviante, già avviata verso una riorganizzazione – ma non ancora estromessa), ma Luz stesso riconosce in una nota che, in fin dei conti, la differenza tra lui e Saldarini è una questione di sfumature.

Volevo infine ringraziarti per avermi rimandato al tuo articolo sul battesimo nel romanzo pseudoclementino, che ho trovato estremamente interessante e stimolante (in particolare mi intriga la questione del legame tra impurità e possessione demoniaca).
Non ho ancora scritto nulla sull’argomento “Gesù e la purità” (risposta, assai tardiva, alla tua domanda nei commenti del precedente post), che però è sicuramente una questione che intendo approfondire, vertendo le mie “ricerche” attuali su quella che io credo essere una sostanziale continuità tra Gesù e il Battista.

Johannes Weiss ha detto...

Caro Talità

Con te invece sono in disaccordo su tutto! ;)

Cominciamo dalla cosa più importante: i Pulp!
Ma chi ti credi d’essere? Guarda che io ascoltavo Jarvis Cocker quando tu ancora stavi ad attaccare le pezze del Vasco sul tuo giubbino in jeans.
Riportando quella frase, poi, mi hai toccato il cuore: trattasi infatti di una delle citazioni preferite della mia ragazza (che, peraltro, reputa da sempre Jarvis uno degli uomini più sexy del mondo, insieme forse a Niles Crane di Frasier e – ultimamente – Sheldon di Big Bang Theory), la quale mi ha iniettato il virus dei Pulp parecchi anni or sono.

Ma passiamo alle quisquiglie.
Purtroppo non posso concedere a Charlesworth l’attenuante da te invocata. Egli non presenta affatto la sua tesi come un semplice lavoro di fantasia (parla infatti di “immaginazione storica”, che dovrebbe, almeno in teoria, essere cosa diversa dalla fantasia), bensì la propone come una soluzione plausibile ad un preciso problema storico.
Non credo inoltre di essere stato troppo rigido con Charlesworth rispetto al giudizio che ho riservato a Ehrman. Devi infatti considerare la evidente diversità delle pubblicazioni. Nel caso di Ehrman abbiamo a che fare con un libro divulgativo che si rivolge ad un pubblico non specialistico. Nel caso di Charlesworth vale l’opposto: The Bible and the Dead Sea Scrolls è un’opera che raccoglie saggi di specialisti sulle principali questioni relative ai Rotoli del Mar Morto, e che si propone quindi come reference work di livello scientifico. Considera di nuovo Barney Gumble: una cosa è ruttare al bar, un’altra in consiglio comunale!
In ogni caso, non mi sembra che Ehrman si conceda chissà quali voli di fantasia nel libro in questione. E’ vero che dedica diversi capitoli a Maria Maddalena, ma sai bene che gran parte di questo spazio è dedicato a rettificare alcune errate convinzioni popolari, ad illustrare l’importanza della Maddalena in una certa letteratura extra-canonica, e a fornire le informazioni utili per inquadrare la “Maddalena storica” nel contesto del movimento di Gesù e della situazione femminile nella società del tempo.
Anche quando cerca di ampliare un po’ le scarne informazioni storiche disponibili (che egli riconosce peraltro chiaramente come tali), lo fa con delle deduzioni ragionevoli (ossia con una immaginazione storica responsabile) e non con dei voli gratuiti di fantasia. Egli immagina ad esempio che la Maddalena fosse una donna facoltosa, sulla base della funzione di servizio che Luca attribuisce alle donne che seguivano Gesù (nonché sul fatto che Maria sia menzionata insieme a Giovanna moglie di Cusa). Oppure suppone che Maria, come le altre donne nel movimento di Gesù, avesse trovato liberante il messaggio apocalittico gesuano, e che in questo senso fosse lei stessa una “ebrea apocalittica”.
Che le si condivida o meno (nel secondo caso, c’è una certa psicologizzazione), queste affermazioni implicano un grado di immaginazione modesto, in quanto sono dedotte direttamente a partire da dati storicamente plausibili e certo non “peregrini” (l’impatto sociale del messaggio escatologico di Gesù, la presenza all’interno del suo movimento di donne che esercitavano una importante funzione di sostegno economico). Nulla di ciò vale per il saggio di Charlesworth, il quale, a partire da una serie di affinità per nulla conclusive, si costruisce un problema del tutto immaginario (perché Giovanni lasciò Qumran?), a cui offre una risposta del tutto immaginaria (perché era troppo buono e affezionato ai suoi familiari per accettare il dualismo esclusivista dei qumraniti).

La differenza tra i due casi è evidente, e di conseguenza lo è pure il giudizio.

Johannes Weiss ha detto...

Caro Elijah

Ti avevo già risposto diversi giorni fa, ma a quanto pare i commenti si cancellano da soli... boh... Ad ogni modo, ti ri-rispondo.

Penso che questioni di epistemologia e metodologia della ricerca storica meritino attenzione ben aldilà dell’obiettivo di capire quest’uscita di Charlesworth (nella quale non credo ci siano grandi profondità da sondare...). Il tuo intervento comunque mi stimola ad approfondire meglio (ma non in questo blog, o comunque non ora) una materia di cui ho una conoscenza limitata.

Vorrei comunque precisare che ciò che trovo inaccettabile nell’articolo di Charlesworth non è che faccia ricorso all’immaginazione (alla quale riconosco anzi un ruolo imprescindibile nella costruzione delle ipotesi storiche), ma che lo faccia in modo così indisciplinato.
Che senso può mai avere costruire una teoria che risponda ad un problema sorto entro uno scenario che è già di per sé totalmente ipotetico e immaginario? Non conosco le posizioni della Annales-Schule, ma per me questa è fiction, non storia.

Si rammenti che il punto di partenza per associare Giovanni a Qumran è dato da Lc 1,80 – che è un collegamento redazionale – e dal richiamo ad Is 40,3 in Mc 1,3 , il quale di per sé ci testimonia solo di come Giovanni venisse inquadrato biblicamente dall’evangelista, o dalla tradizione a lui precedente (solo in Gv 1,23 – a cui non a caso Charlesworth si appoggia nel suo articolo – la citazione isaiana viene messa in bocca al Battista). Sicché il parallelo nel comune riferimento a Is 40,3 non è tra Qumran e Giovanni, ma tra Qumran e la tradizione evangelica (un altro caso, sempre “isaiano”: il parallelo tra 4Q521 e Mt 11,4-5//Lc 7,22).

L’argomento della prossimità geografica, poi, è incredibilmente approssimativo, perché: A) Giovanni battezzava più a nord, e probabilmente soprattutto sul lato del Giordano in Perea; B) Giovanni si muoveva parecchio (Lc 3,3 parla di tutta la regione del Giordano, e il Vangelo di Giovanni ricorda una sua attività a Ennon vicino a Salim – si dibatte se da localizzare in Samaria o nella Decapoli); C) deserto e Giordano erano patrimonio comune del passato leggendario e delle speranze escatologiche giudaiche (vedi Teuda, l'Egiziano), e non un’esclusiva di Qumran; D) quand’anche in un certo momento, durante i suoi spostamenti, Giovanni si fosse avvicinato molto a Qumran, non se n’è può comunque concludere nulla (io abito a dieci metri da una chiesa in cui non sono mai entrato una volta!).

Insomma, le ragioni per connettere Giovanni a Qumran sono manifestamente fragili, soprattutto se confrontate con l’evidenza mastodontica dell’incompatibilità tra la predicazione di pentimento di Giovanni e l’esclusivismo determinista dei Rotoli. Il fatto stesso che tutti coloro che sostengono il collegamento, sono costretti a qualificare Giovanni come ex-qumranita o come esseno dissidente, è indicativo.
A mio avviso ipotizzare gratuitamente che Giovanni abbia fatto qualcosa di cui non abbiamo alcuna notizia, ma che in ogni caso si sarebbe poi lasciato alle spalle, significa solo offrire materiale per il rasoio di Occam.

Se poi vogliamo addirittura metterci a speculare sulle cause che portarono all’uscita di Giovanni da Qumran, allora dissertiamo pure anche sui motivi che indussero Gesù a disdire il suo abbonamento al teatro di Sefforis (forse rimase offeso da una commedia in cui venivano canzonati i rudi contadini di Nazaret…chissà!)

Talità ha detto...

Per prima cosa, d'ora in poi accetto critiche musicali solo dalla tua fidanzata. Che evidentemente ti fa anche lavare i piatti ;-)
Anzi ti presto il mio giubbotto con le toppe degli Who (scusa se non c'è Vasco) così mentre ti fai un giro - io e la tua ragazza parliamo di zio Jarvis sorseggiando un drink :-D

Liquidato quindi l'argomento principale, possiamo pure parlare dei rutti di Ehrman. Dare spessore ad un personaggio come quello della Maddalena secondo me non significa aiutare la divulgazione. Significa solo insegnare a ruttare a chi non sa neppure parlare. La cattiva musica, anche se suonata in una bettola, rimane cattiva musica - peggio ancora se suonata da chi sa farne di buona!
Ma non voglio inquinare il blog andando OT (e annoiando tutti).
Senza entrare nel merito del lavoro di J.C., quoto lo spunto di Elijah e caldeggio un approfondimento sul valore e sul significato dei dati nella ricerca empirica, in modo da rileggere (forse) in maniera più generosa certi approcci apparentemente poco ortodossi. Klaus Berger docet?
Ciao!

Anonimo ha detto...

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