giovedì 23 settembre 2010

C'era una volta un teologo...

Un teologo accese una lanterna in pieno giorno, raggiunse la piazza del paese e cominciò a gridare: “Cerco l’uomo! Cerco l’uomo!”. In un baleno, usci e finestre si spalancarono da ogni lato e uno sciame caotico di voci e schiamazzi avvolse il teologo. Dopo qualche istante di sbigottimento, il teologo riprese coraggio, si lucidò gli occhiali e cominciò a guardare un po’ meglio intorno a sé.

Dall’osteria a due passi, un gruppo di persone, tutti intenti a giochicchiare con palloncini colorati, tra cui spiccava un certo Funky Bob, gli si rivolgeva animatamente: “E’ qui, è qui al party che scherza e si sollazza con vino e porchetta insieme a tutti noi!”.

E subito la voce gentile di un omino esile di nome Dominique Croissant, lo corresse affettuosamente: “Dai vecchio Bob, non essere così gretto! Sì, d’accordo, cibo, bere e perfino cure gratis per tutti sono una gran cosa. Ma non banalizziamo: quello che veramente accade qui dentro è molto di più: è una rivoluzione, è un mondo alternativo in cui tutti siamo fratelli. Un mondo proprio come lo vorrebbe il buon Dio”.

BUUURP! Improvvisamente le amichevoli parole di Dominique furono interrotte da un rumore cavernoso, proveniente giusto da due passi più in là, fuori dalla porta dell’osteria, dove stavano due individui dall’aspetto sudicio e poco rassicurante. Uno pisciava contro il muro, l’altro se ne stava acquattato dentro una botte, fischiettando imperturbabile un motivetto, incurante di tutto il trambusto in corso. Il primo rivolse, svogliato, una mezza parola al teologo: “Burp… io mi chiamo Burton Crack. Chi cerchi probabilmente è lui – disse,accennando con un lieve movimento del capo al suo amico nella botte – , o magari no. Ad ogni modo, chissenefrega”.

“Ma piantala, testa parlante! – lo interruppe a sua volta un altro tizio, proveniente dal centro della piazza - Con la farsa di questo tuo evasivo menefreghismo piccolo-borghese, non fai che il gioco dei potenti!” . “Buon giorno, compagno! – si rivolse poi al teologo – Il mio nome è Richard, Richard “il cavallerizzo”, e colui che cerchi è laggiù, in mezzo a quella folla, vedi? Stiamo facendo un’assemblea popolare, c’è tutto il paese… o quasi… perché dobbiamo essere uniti – così lui ci dice -, porre fine ai nostri contenziosi, e capire che solo maturando una vera coscienza di classe contadina saremo in grado di resistere…”.

“Ma resistere a cosa, a chi, buono uomo? Alle tasse, alle angherie dei preti cattivi asserviti ai re, per non parlare del bigottume degli uomini di legge? ” – soggiunse ironicamente un signore elegante e ben educato, seppur con uno stridente accento texano – Ma suvvia, guardati intorno: credi davvero che la vita quaggiù sia peggiore e più intollerabile che altrove? E dove sarebbero poi tutte queste tasse e questa fantomatica folla arrabbiata di cui vai blaterando? Buon uomo, tutto quel che mi riesce di vedere è invece che il grande e il piccolo osservano la stessa legge, frequentano gli stessi bagni comunali, e, quando tempo e impegni lo permettono, salgono sullo stesso autobus per andare alle grandi celebrazioni in città!”.

“Buongiorno! – disse a quel punto l’uomo ben educato, rivolgendosi al teologo -. Il mio nome è Edoardo Parrocchia S. e non ho potuto fare a meno di sentire che stavate cercando qualcuno. Purtroppo non so dirvi dove ora si trovi. Tutto ciò che so, e che ritengo sia possibile sapere con un ragionevole grado di probabilità, è che è stato qui e che si è creato un piccolo seguito a cui promise un grande destino in un qualche “regno” che si sarebbe dovuto manifestare molto presto. Certo era un sognatore, ma non mi risulta in ogni caso che abbia mai avuto grane con nessuno, e, checché ne dicano gli altri, anche l’ultima volta che lo si è visto – presso il tempio giù in città, intento, pare, a ribaltare due o tre tavoli -, dubito che intendesse davvero fare polemiche o creare disordini, piuttosto che dar semplicemente sfogo a qualche impulso del suo spirito utopico. Anche se forse, dopo tutto, quella potrebbe non essere stata la più prudente delle idee…”. “Sempre che abbia fatto veramente qualcosa, nel tempio, Ed!” – lo interruppe una passante di aspetto assai gradevole. “D’accordo, Paula, d’accordo” – replicò lui, sorridendo bonariamente.

Ed ecco che subito gli si avvicinò un uomo delicato e dagli occhi tristi, di nome Dale Jr., o piu semplicemente Junior, che, annuendo, si riallacciò alle parole del gentleman texano: “Sì, l’ho visto anch’io. Era proprio un sognatore e le sue parole di speranza mi hanno incantato. Noi tutti eravamo ricolmi del più alto entusiasmo, ed era come se le sue promesse di beatitudine e di soluzione di ogni male e ingiustizia, di un mondo completamente rinnovato e trasformato, senza più lacrime e lutto, stessero già per materializzarsi davanti a noi. E invece tutto è finito ed ogni cosa è rimasta esattamente quella di prima. E benché tutte quelle speranze non fossero appunto altro che sogni, io credo nondimeno che è proprio in nome di questi sogni, e solo di essi, che valga la pena continuare a vivere”.

“Oh, piantala Dale con questi piagnistei – proruppe vigorosamente un uomo di grossa stazza dalla testa ovale e calva, che avanzava, in abito ecclesiastico, a grandi passi dalla cattedrale -. Ma è possibile che tu sia ancora così imbevuto di quel crasso letteralismo che vede dappertutto la fine del mondo, dello spazio-tempo, e uomini che volano sulle nubi? Su dai, vieni con me, e venite anche Voi – disse rivolendosi al teologo – dentro in chiesa, che ci sediamo nella cappella di San Schweitzer e vi rispiego daccapo la storia della sua fondazione. Sì, perché dovete sapere che la nostra chiesa è nata proprio da quell'uomo che voi cercate, anzi, è veramente la piena, perfetta e insuperabile realizzazione di tutte le sue profezie di redenzione e di giudizio che erroneamente tu, Dale, intendevi in senso cosmico. Ma fidati di me, che so riconoscere una buona metafora quando ne incontro una: lui non parlava d’altro che dell’abbattimento del vecchio tempio giù in città, ormai troppo logoro per poter essere restaurato, e della conseguente erezione della nostra bellissima cattedrale e della nascita del vero popolo di Dio, che io, vescovo Nicola Tommaso il Giusto, ho la grazia di poter guidare”.

Il teologo si fermò a contemplare ammirato la grandiosa maestà della cattedrale, ma dopo poco il suo sguardo non poté fare a meno di spostarsi su di un altro edificio, ancora più monumentale del primo, ma che a differenza di questo non aveva per nulla l’aspetto di un luogo sacro. Era piuttosto un palazzo immenso, composto di quattro enormi piani, e che al tempo stesso sembrava però essere ancora incompiuto, un cantiere aperto, quasi che non potesse smettere di continuare a crescere all’infinito, fino a toccare la cupola del cielo.

D’un tratto, da ognuno dei balconi dei piani del palazzo, si affacciarono quattro omini tutti uguali, magri e dal volto pallido, con enormi paia di occhiali demodé, e tutti portavano sul capo una strana mitra non-papale. “Salve!” – esclamarono in coro, sorridenti e affabili, i sedici omini -. “Io sono Giovanni Paolo il Cattolico” – soggiunsero i primi -; “Io sono Giovanni Paolo il Protestante” – fecero eco i secondi -; “Io sono Giovanni Paolo l’Agnostico” – aggiunsero i terzi; “Io sono Giovanni Paolo l’Ebreo” – dissero infine i quarti. “Siamo chiusi qui dentro da sedici anni in conclave – proseguirono tutti all’unisono – con lo scopo di ricreare in laboratorio l’uomo che anche tu stai cercando. Entra pure se vuoi: al primo piano potrai trovare il suo scheletro, al secondo la sua bocca e qualche suo sputo misto a fango, al terzo ci sono gli elenchi di tutti numeri telefonici che ha chiamato e di quelli che non ha chiamato. Al quarto, poi, i cui lavori sono da poco terminati, potrai udire spezzoni di noiose discussioni legali che ti consentiranno di apprezzare la nostra più certa e straordinaria conclusione: l’uomo che cerchi, non era americano! Ma se vuoi saperne di più, ti consigliamo di accomodarti nell’atrio e aspettare che terminiamo il nostro conclave. Ci metteremo un po’ forse, ma presto o tardi ne usciremo, non temere!”.

A queste ultime parole, il teologo cominciò a sentirsi mancare. Aveva le traveggole e gli pareva di delirare. Vedeva i sedici omini occhialuti guardarlo dall’alto con il loro imperturbabile sorriso, e, girandosi intorno a sé, si accorse che anche tutti gli altri interlocutori precedenti non avevano mai cessato di seguirlo e di sussurrargli i loro discorsi negli orecchi. E, peggio ancora, quanto più in là i suoi occhi si spingevano, e tanta più gente vedeva affluire da ogni direzione, e tutti si sbracciavano e gli gridavano: “E’ qui! E’ qui! Lo puoi trovare da noi!”.

Infine, tutto cominciò ad annebbiarsi e l’ultima cosa che il teologo vide fu la fiamma della sua lanterna spegnersi.

23 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Johannes,
non so in quanti riusciranno ad apprezzare fino in fondo questo post, ma devo dire che mi sono fatto due risate di gusto nel leggerlo.
Interessandomi attualmente nel mio tempo libero di psicologia positiva, mi farebbe piacere se tu provassi a scrivere un post analogo, nel quale il teologo è un po' più ottimista e cerca lo stesso, nonostante la vasta divesità, di guadagnare qualcosa di positivo dalla situazione in cui si ritrova la ricerca sul Gesù storico.
Detto in altro modo: un teologo ottimista secondo te come potrebbe reagire? (Quello dipinto da te tende a rassegnarsi, al pessimismo, ma le cose non devono per forza di cose finire in questo modo).
Il tutto se hai tempo e voglia. Nessuna costrizione.
Ciao, Elijah

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe che l'autore potesse farmi "l'esegesi" del post (ovvero me lo facesse spiegare esplicitando le conoscenze che vengono date per scontate in esso)per chi come me conosce un po' di storici del cristianesimo antico ma quasi nulla dei teologi contemporanei.

Personalmente ritengo che un teologo faccia bene ad aggiornarsi e conoscere gli sviluppi delle origini e della storia del cristianesimo senza però nè pretendere che il discorso teologico debba essere ridotto solo alla scienza storica (nessuna conclusione storica può portare a dire "Gesù è Dio" nè a "Gesù non è Dio" nè risalire a come i discepoli si convinsero di Gesù risorto) nè che possa essere ricavato dalla solo fede (altrimenti si cade nel "sola scriptura" finendo nel creazionismo o nel ricavare da Paolo che è giusto ritenere inferiori le donne e non ribellarsi mai alle autorità). Se vuoi puoi suggerirmi qualche lettura al riguardo.

Ciao.
Michele

Johannes Weiss ha detto...

Grazie Elijah,
so che il post può risultare criptico a molti, ma le tue due risate di gusto sono in ogni caso un compenso più che sufficiente.

Devo però declinare il tuo invito a scrivere una versione alternativa "ottimistica" della storiella: non ne ho il tempo e mi verrebbe certamente meno bene (è un po' come con le canzoni: è relativamente facile scrivere bei pezzi malinconici, arrabbiati o negativi...quando invece c'è da esprimere, in modo non banale, gioia e sensazioni positive, ci riescono solo i Coldplay).

In ogni caso, a mio modesto parere, un teologo inguaribilmente ottimista che si imbattesse nella irriducibile pluralità e contraddittorietà della ricerca sul Gesù storico, potrebbe trarre la seguente lezione:

1) La cristologia non deve rivolgersi alla ricerca su Gesù per trovare il fondamento, il germe delle successive cristologie neotestamentarie ed ecclesiali. Il che significa: NO indagini sul rapporto tra i "Christologische Hoheitstitel" e l'autocoscienza di Gesù, NO ricerca di una cristologia implicita nella predicazione del regno, negli atti di potenza, nel rapporto con la Torah...
Questo genere di interrogativi sono prettamente teologici e non storici (giusto la domanda se Gesù si presentasse pubblicamente - e non "si ritenesse" - come Messia è di ordine storico), e chi è interessato ad essi non troverà infatti grande conforto nello scorrere la letteratura sul Gesù storico.

2) La ricerca sul Gesù storico può però invitare il teologo a porre in modo diverso il discorso della rilevanza teologica della storia di Gesù, considerando la vicenda complessiva di Gesù in relazione al proprio contesto storico, politico, socio-economico, e chiedendosi in che modo gli elementi caratterizzanti di questa vicenda possono assumere valore paradigmatico per le vite dei fedeli cristiani e per gli orientamenti delle chiese.

Se si privilegiano le ricostruzioni di un buon numero di studiosi "mainstream", si può ad esempio affermare che Gesù:
- portasse avanti una prassi di liberazione e reintegrazione nei confronti degli individui oppressi e marginali della sua società;
- adottasse una posizione critica nei confronti dei rappresentanti dello status quo (ad es. vuoi Antipa e la sua aristocrazia terriera secondo alcuni, vuoi il Tempio e l'aristocrazia sacerdotale secondo altri, vuoi tutt'e due).
- rispondesse alle problematiche politiche e socio-economiche del proprio contesto, non perorando una rivoluzione politica o comunque forme di protesta violente, bensì attraverso il mix di una speranza utopica radicale in Dio e di una prassi (su cui sopra) che cerca, in modo sempre parziale e limitato, di attuare tale utopia nel presente.

Penso quindi che un teologo "ottimista" potrebbe reagire ponendo il seguente interrogativo:
"Se guardiamo a questi tre grandi aspetti storicamente molto solidi della vicenda di Gesù, come alla rivelazione piena e definitiva (ancorché contingentemente determinata) di Dio, in che modo ne viene modificata la nostra immagine di Dio e quali orientamenti per la chiesa in generale ed i fedeli in particolare ne conseguono?".

Naturalmente si tratterebbe di una "rilevanza teologica" di ampio raggio, e non concernente il livello più specifico delle affermazioni dogmatiche tradizionali cristologiche e trinitarie, riguardo al quale credo che la ricerca storica su Gesù abbia davvero poco da dire al teologo.

Ma in definitiva, se fossi un teologo ottimista, credo che una buona conclusione sarebbe anche riconoscere che ci sono più cose in cielo e in terra di quanto ne sappiano i ricercatori sul Gesù storico... e anche di quanto ne sapesse Gesù stesso.

Johannes Weiss ha detto...

Ciao Michele

Non so quanto valga la pena di esplicitare i presupposti necessari per comprendere questo post, essendo un po' come se uno si interessasse di politica al fine di comprendere la satira... ma farò comunque del mio meglio per accontentare te e gli eventuali lettori perplessi del mio blog.

Due premesse e poi vado al sodo.
A) Se ti interessa leggere una buona rassegna sulla ricerca recente su Gesù (capace in via collaterale di farti apprezzare le vertiginose profondità di questo post), ti rimando a D. Gowler, What Are They Saying About the Historical Jesus, 2007; e M.A. Powell, Jesus as a Figure in History, 1998 (evitare invece Segalla e Bertalotto).
B) Le rappresentazioni degli studiosi e delle loro posizioni date nel post - e in parte, per ragioni di brevità, anche nell'esegesi che segue - sono volutamente caricaturali.

Ed ora sveliamo tutti gli arcani:

1) Di Robert W. Funk, fondatore del Jesus Seminar, è abbastanza nota la poco morigerata definizione di Gesù come "the proverbial party animal". I palloncini colorati della gente che gli sta intorno sono ovviamente le famigerate palline colorate impiegate dal Seminar per votare l'autenticità dei detti e dei fatti di Gesù riportati nei cinque vangeli (canonici + Tommaso, con quest'ultimo che fa la parte del leone).

2) Burton Mack ha ricostruito un Gesù sul modello dei filosofi cinici, sostanzialmente disinteressato a tutte le questioni politiche e religiose del suo ambiente, e "impegnato" unicamente a smontarne gli assunti culturali attraverso battute laconiche e argute. Il Gesù di Mack non ha alcun obiettivo e alcun programma, e lo si può quindi ben immaginare intento a fischiettare per i fatti suoi dentro una botte.

(...continua sotto...)

Johannes Weiss ha detto...

3) John Dominic Crossan, proponente a sua volta un Gesù contadino di influenza cinica ma decisamente più coinvolto nelle problematiche del suo ambiente, ha definito Gesù "a hippy in a world of yuppies" (e non l'avesse mai fatto!...visto l'ossessività con cui l'affermazione viene strumentalmente citata da Segalla), che annuncia il regno di Dio come utopia egualitaria alternativa alla società patronale romano-palestinese, e che si realizza hic et nunc nella commensalità aperta e nell'accesso non istituzionalmente mediato al sacro (magic & meal).

4)Richard Horsley - non di rado accostato agli esponenti del Jesus Seminar, ma in realtà molto distante e anche polemico nei loro confronti (il loro Gesù cinico, a suo avviso, è un'astorica "talking head") - ha ricostruito un Gesù che porta avanti una rivoluzione sociale egualitaria e pacificatrice all'interno dei villaggi galilei, che consenta ad essi di resistere all'azione disgregatrice dell'oppressione romano-gerosolimitana, nell'attesa che Dio completi il tutto realizzando la rivoluzione politica.

5) Mentre Horsley rappresenta il rapporto tra la popolazione galilea e l'establishment gerosolimitano in termini molto conflittuali (i galilei, eredi delle tradizioni israelitiche del Nord, non avrebbero mai digerito l'annessione politica e l'espansione culturale "giudaita" avvenuta in epoca asmonea), e postula per la Galilea una situazione di forte conflitto sociale con banditismo endemico, all'estremo opposto Ed Parish Sanders è l'avvocato par excellance di un giudaismo unitario e condiviso ("common Judaism") nonché di una Galilea politicamente e socialmente tranquilla.

6) Sanders, da parte sua, ha offerto una ricostruzione di Gesù visto come profeta escatologico della restaurazione d'Israele, pienamente integrato e comprensibile all'interno del giudaismo del suo tempo, e senza conflitti di rilievo con i suoi correligionari (in particolare i farisei).

(...continua sotto...)

Johannes Weiss ha detto...

7) Paula Fredriksen si colloca fedelmente sulla linea di Sanders, con la sola differenza significativa (nel suo ultimo libro) di dubitare della storicità dell'azione nel tempio e della relativa profezia di distruzione/ricostruzione.

7) Anche Dale C. Allison ha proseguito sulla linea di Sanders, approfondendo la predicazione escatologica di Gesù alla luce del fenomeno transculturale del millenarismo.

8) N.T. (Nicholas Thomas) Wright, da qualche anno vescovo di Durham, ha dato una lettura piuttosto apologetica della figura e della predicazione di Gesù, che nominalmente si richiama all'interpretazione apocalittica di Schweitzer, ma che di fatto la svuota dall'interno nella misura in cui afferma che il climax escatologico profetizzato da Gesù (Mc 13,26-27) non sarebbe altro che la distruzione di Gerusalemme quale vendetta divina nei confronti di un Israele impenitente, nazionalista e pro-zelota, e la concomitante liberazione del vero popolo di Dio restaurato (la chiesa).

9) John Paul Meier sta portando avanti da ben 19 anni (nel post dico erroneamente 16) la più pachidermica ricerca su Gesù mai intrapresa, con le migliaia di pagine dei suoi quattro volumoni dedicati rispettivamente alle radici della persona e del problema (lo scheletro), al rapporto con il Battista + annuncio escatogico + miracoli (la bocca e gli sputi misti a fango), alle relazioni con compagni e antagonisti (gli elenchi telefonici), e alla sua halakhà (le discussioni legali) che per Meier è la prova più netta di come l' "american Jesus" del Jesus Seminar non sia e non sarà mai il Gesù storico.
Nel post, la moltiplicazione dei Meier allude all'immagine di un "conclave non papale" composto da un ricercatore cattolico, uno protestante, uno agnostico e uno ebreo, che Meier impiega nel primo volume per rappresentare l'ideale di epoché da qualsiasi pregiudizio filosofico e confessionale a cui si ispira il suo approccio.
Un Meier fatto in quattro, dunque, e moltiplicato per i quattro volumi = sedici Meier.

Ecco, ritengo ora di aver esplicitato tutto l'essenziale. Buona rilettura!
;)

Wright Rulez ha detto...

La rivelazione divina avviene all'interno del continuo storico e spazio-temporale; ne consegue che ogni teologia debba essere fondata necessariamente sulla ricerca storica. Pannenberg docet.

A proposito del racconto, molto divertente (e creativo)! Un urrà per Nicola Tommaso il Giusto ;-)

http://www.christilling.de/pics/SHarris/ntwright4.JPG

Anonimo ha detto...

Giusto per la precisione, il nome completo di Edoardo Parrocchia è Edoardo Parrocchia Levigatrici. Lo dico perchè lui ci tiene!

Waylander

Anonimo ha detto...

A Wright Rulez:
dunque secondo il tuo parere è corretto quello che ho detto nel secondo commento (non ridurre il discorso teologico alla sola scienza storica nè ridurlo alla sola fede)?
Ciao.

Johannes Weiss ha detto...

Grande Way! Grazie per la preziosissima precisazione. :D

E grazie anche anche a Wright Rulez per la spassosa vignetta presa dal blog di Tilling (ce n'è anche un'altra molto carina, in cui N.T. il giustiziere mette K.O. in un colpo solo Crosan e Borg).

Vorrei però rispondere alla tua puntualizzazione pannenberghiana. Pur avendo un particolare affetto per Pannenberg (così come per Moltmann), devo dire che non sono completamente d'accordo con la tua affermazione, che, così com'è, ritengo non sufficientemente precisa.
Di "quale" storia stiamo infatti parlando? Io sono d'accordissimo che la teologia non possa che essere storica, poiché storica è la rivelazione di Dio e storica è la risposta della comunità credente.
Ma questo genere di storia teologicamente imprescindibile è "Geschichte", ossia storia esperita, vissuta, interpretata, narrata e tramandata (e anche un po' mitizzata), in una parola: tradizione.
La storia degli storici è invece "Historie": una ricostruzione artificiale e intrinsecamente ipotetica del passato, attraverso l'applicazione di modelli interpretativi e ricontestualizzazioni delle testimonianze che possono portare ad un risultato anche molto diverso rispetto alla narrazione della "Geschichte".

Ebbene, nei confronti della teologia io credo che questa storia degli storici possa avere al massimo un ruolo supplementare, indubbiamente molto utile nella misura in cui può favorire un'autocoscienza critica della teologia nei confronti della sua stessa narrazione fondativa, ma che non può tuttavia sostituirsi a quest'ultima.

In sintesi: è sulla storia testimoniata che si fonda la teologia, non sulla storia ricostruita.

Wright Rulez ha detto...

Per Michele: In linea di massima direi di sì, ma non nei dettagli (dopotutto, io stesso sono un creazionista e uno strenuo sostenitore del Sola Scriptura, ma questa è tutta un'altra storia)!

Per Johannes: Grazie della precisazione, anche se non so quanto possa essere utile (e reale) la distinzione di Kahler, basata com'è sull'assunzione storico-critica che le tradizioni evengeliche siano state pesantemente mitizzate da coloro che l'hanno tramandata; a mio avviso i recenti sviluppi degli studi sulla tradizione orale rendono questa posizione obsoleta.

Aprendo una parentesi, è a conoscenza della nuova opera di Allison, "Costructing Jesus"? A quanto pare uscirà il primo novembre. Per quanto mi riguarda, attendo l'anno prossimo per il quinto volume del mio favorito sull'apostolo Paolo, che sinceramente non mi emoziona più di tanto. Avrei preferito vederlo saltare direttamente al sesto, sui Vangeli.
Armiamoci di abbondante pazienza...

Johannes Weiss ha detto...

Certo. Gli studi sull'oralità e sulla memoria stanno facendo la parte del leone nella letteratura più recente (ma attenzione, con indirizzi diversi: mi pare ci sia l'asse conservatore Bailey-Dunn, ma anche quello liberale Kelber-Horsley-Draper-Kirk). Purtroppo non ho ancora approfondito il dibattito a sufficienza per poter esprimere un giudizio meditato in proposito. La mia impressione è che la memoria sia intrinsecamente troppo creativa, costruttiva e socialmente determinata, perché sia possibile bypassare l'approccio storico-critico e far rientrare dalla finestra quella convinzione di pacifica affidabilità storica dei vangeli che è stata da lungo tempo cacciata dalla porta.

Ma in ogni caso non era l'affidabilità storica delle tradizioni e narrazioni dei vangeli e di Atti, il punto del mio discorso sul rapporto storia-teologia. Per quanto infatti si reputino affidabili tali narrazioni, esse non cessano nondimeno di essere memoria costruita, e non semplicemente (e naivemente) "ricordata".
Il problema critico perciò resta, anche solo per il fatto che, se si vuole fare storia, tali narrazioni non possono essere considerate semplicemente così come sono, ma devono essere inserite e rilette all'interno del contesto storico a cui la vicenda narrata appartiene (contesto che però non traspare da tali narrazioni se non vagamente e a sprazzi). E già qui ogni speranza di "ritorno all'innocenza" svanisce, perché è proprio questo contesto a rivelarsi a sua volta una grande incognita (la situazione sociale, economica e religiosa della Galilea è tutt'altro che chiara!), e col mutare della cornice putroppo muta anche il dipinto.

Ecco perché ritengo che la "storia ricostruita", la "storia degli storici", non possa offrire un fondamento alla teologia: essa non è infatti che il modellino del passato quale viene ricostruito nel laboratorio dello storico X o dello storico Y. E per quanto vicina questa "storia ricostruita" possa eventualmente essere mantenuta rispetto alla "storia testimoniata", essa non cessa però di divergerne essenzialmente, e non può in alcun modo sostituirvisi.

La fede, e quindi la teologia, si fonda su una "storia interpretata e testimoniata", la quale, pur presupponendo l'irraggiungibile "storia accaduta" (irraggiungibile, perché ciò che si può raggiungere è solo la perennemente ipotetica "storia ricostruita"), è però qualcosa di ulteriore ed irriducibile rispetto ad essa.

[Scusa la verbosità, ma sono riflessioni e chiarificazioni che sto facendo in primis per me stesso. :P ]

P.S. Quanto al libro di Allison, lo sto naturalmente attendendo da molto tempo con il massimo fervore, anche se devo dire che la "svolta metodologica" abbozzata nel suo recente "The Historical Christ & the Theological Jesus" non mi ha convinto troppo.

Wright Rulez ha detto...

Verbosità? Figuriamoci, avrei fatto a pugni per poter leggere la sua dissertazione di 600+ pagine! Comunque, così chiarificata, la sua posizione mi sembra largamente condivisibile.

Riguardo la "svolta metodologica" di Allison, si riferisce al suo abbandono dei critieri di autenticità in favore di una sorta di "visione d'insieme", o a qualcos'altro?

James McGrath ha una recensione (o meglio, una pre-censione?) sul suo blog: http://exploringourmatrix.blogspot.com/2010/09/review-of-dale-allison-constructing.html

Anonimo ha detto...

A WrightRulez: riguardo al "sola scriptura" non intendevo tanto il dare primo piano ai testi sacri rispetto a una tradizione che rischia di sostituirli totalmente ma a eccessi come la "scrittura che si interpreta con se stessa" che fa rendere arbitrario il discorso teologico e "l'inerranza biblica" che finisce per confondere Geschichte e Historie.

Come ti ha fatto notare JohannesWeiss la fede si fonda su una "storia interpretata e testimoniata" che è diversa sia dall'irraggiungibile storia "realmente accaduta" che dalla "storia ricostruita dagli storici e scienziati". Personalmente ritengo che questo discorso valga anche per l'Antico Testamento e il Genesi evitando di fare come certi protestanti che ritengono (facendo errori sia scientifici che teologici) che la terra sia nata 6000 anni fa. In realtà se si conoscono e comprendono bene tutti gli studi sull'evoluzione si scopre che non contrastano per nulla con la narrazione biblica della creazione, e ciò si nota in tutti i teologi che hanno compreso davvero tali teorie. Se vuoi posso suggerirti letture al riguardo magari via mail.

Ciao.
Michele.

Anonimo ha detto...

Mi permetto di dissentire su questa distinzione tra due possibili storie. La storia "ricostruita" non esiste, è sempre una storia tramandata, giacchè alcune fonti sopravvivono invece di altre, vengono interpretate in un modo invece che in un altro, avvenimenti vengono ricordati o dimenticati proprio perchè la storia è intrinsecamente tradizione. Anche quando sembra neutrale, come nello stabilimento delle date, già lo stabilire una data rientra in modelli interpretativi che sono stati tramandati e di cui lo storico spesso non ha sufficiente coscienza. Mi sembra che questa distinzione artificiale da una parte abbia echi neopositivisti dall'altra serva semplicemente a mantenere in un cantuccio ciò che non rientra in categorie interpretative consolidate.
La teologia e la fede sono interessate alla storia tout court poichè in essa si inseriscono e assumono il proprio senso pieno di "prodotto" dell'uomo e di realtà salvifica. Distiguere tra due storie significa cercare di salvare capra e cavoli, permettendo contraddizioni tra la storia tramandata nell'ambito della fede e una storia che dovrebbe essere più oggettiva e vera. Ma non funziona, se la storia della fede è falsa allora per il principio transitivo è falsa anche la fede.

Way

Anonimo ha detto...

A Way: è vero che la "storia ricostruita" è sia strettamente legata a documenti di "storia tramandata" e sia contenente un inevitabile "punto di vista non perfettamente neutrale" che è quello dello storico. Entrambe queste storie non possono provare di aver "fotografato" l'evento storico reale al contrario della visione positivistica che ritiene che la storia ricostruita coincida con quella "reale".

La storia "tramandata" è una storia non "più falsa" di quella ricostruita. Una persona che ha vissuto in prima persona una lunga storia d'amore che però la trascrive solo molti anni dopo la fine di quella storia basandosi solo sul suo ricordo e non sulla ricostruzione oggettiva dei fatti così come la farebbe un investigatore o uno storico estranei alla coppia non comporrebbe una storia "più falsa" di quella che farebbe un investigatore o uno storico, semplicemente sarebbe una storia che usa "criteri di verità" diversi.

Ciao.

Michele

Anonimo ha detto...

A Michele: Ma il punto è proprio questo, è ancora possibile affermare che esiste una storia oggettiva o l'asetticità di cui rivestiamo il mestiere dello storico non è che una maschera, pallida e triste imitazione delle scienze pure, per dare un tono a una scienza troppo umana e troppo relazionale?
Se cominciamo a introdurre criteri come "non più falsa" o "criteri di verità diversi" svuotiamo la storia della sua ambizione primaria, parlarci del reale e quindi del vero.
L'aporia non è sciolta, solo nascosta sotto il tappeto della dialettica.

Waylander

Anonimo ha detto...

A Waylander: infatti da un bel po' di tempo la scienza storica non ha più ambizione di raggiungere "certezze assolute" rivelatesi dogmatiche ma nemmeno ritiene arbitraria ogni ipotesi cadendo nello scetticismo delle "incertezze assolute", la scienza storica ambisce solo a "incertezze relative" dove alcune incertezze fino a nuove interpretazioni più convincenti, sono più probabili di altre.

La scienza storica di oggi non può definirsi nè dogmatica nè scettica ma fallibilista e nè basata sulla oggettività dogmatica nè sulla soggettività arbitraria ma sull'intersoggettività. Non mi sembra di dire nulla che screditi la storia come scienza semplicemente occorre capire che tra una verità assoluta con la V maiuscola e il relativismo completamente anarchico c'è una terza via, quella di una verità con la v minuscola sempre rivedibile in parte ma sempre per motivazioni fondate. ormai nessuno storico se ne fa un dramma e si preoccupa per questo.

Ciao.

Michele

Anonimo ha detto...

A Michele: Ovviamente concordo, lo statuto epistemologico della storia è abbastanza chiaro e condiviso, anche se temo che l'illusione (e la speranza) dell'oggettività rimanga in ogni storico, ben più radicata di quanto una posizione puramente teorica possa rivelare, in fondo è un bias cognitivo.
Ma è appunto dove siamo arrivati che la distinzione fra le due storie diviene assai labile, esse rischiano di essere quasi indistinguibili. Io ad esempio sempre più mi convinco che il Cristo della storia non esista, è una costruzione artificiale dovuta a tutta una serie di meccanismi. Se già la buon'anima della mia mamma, deceduta due anni orsono, è irrecuperabile nella sua complessa interezza, se essa è già qualcosa che una mera biografia non è in grado di recuperare, quanto più è irrrecuperabile un Cristo della storia avulso da un Cristo della tradizione? E soprattutto, quale aspetto diviene, nella parzialità di ogni possibile ricostruzione/tradizione quello più rappresentativo, quello che maggiormente in qualche modo individua la specifità della persona e la descrive più compiutamente?

Waylander

Anonimo ha detto...

A Waylander: la distinzione tra storia ricostruita e storia tramandata rimane perchè, la tradizione "reinterpreta" (ma reinterpretare non vuol dire falsificare, perchè stiamo parlando di una rielaborazione in buona fede) l'evento, evidenziando certi aspetti a discapito d'altri e rileggendo il tutto in base anche a ciò che è accaduto dopo di esso.

Se vogliamo tornare all'esempio della persona che cerca di ricordare il suo partner di vita scomparso, per forza di cose selezionerà e rileggerà tutti i vari fatti in base ai pochi eventi che hanno toccato di più il testimone (ad esempio riterrà che i primi litigi col partner, anche se nel momento in cui li ha vissuti li sentiva negativamente, li rileggerà come momenti necessari allo scopo di una reciproca conoscenza della coppia). Tuttavia è scorretto si parlare di "errori" nel narrare l'evento perchè un errore si fa solo quando c'è possibilità di compiere qualcosa correttamente, cosa che nella storia tramandata non c'è.

La storia ricostruita invece usa tutto un altro procedimento, tentando di arrivare il più vicino possibile alle "cause" che hanno prodotto quelle narrazioni, senza però dire di poter riuscire a "fotografare" davvero quell'evento del passato. Come si vede non si può dire che un metodo porta alla verità più di un altro, al massimo si può dire che gli intenti di quelli che compiono queste due operazioni sono diverse.

Dire che il Gesù della storia ricostruita non esiste mi pare un discorso eccessivo, a meno che non si pretenda una visione estremamente particolareggiata della vita di Gesù, richiesta che per gli altri personaggi minori dell'epoca e del luogo non si fa ma non per questo li si ritiene la loro vita inesistente storicamente. Insomma, dato che gli scopi dei due tipi di storia sono differenti, non si può dire alla leggera se una storia ha più "verità" di un'altra.

Ciao.
Michele

Johannes Weiss ha detto...

Way, il tuo interessante intervento (a cui mi scuso di rispondere in ritardo) mi inquieta... sono quasi tentato di esigere la restituzione del Meier number 3 che ti ho venduto! :DDDDD

Io sono senz’altro d’accordo che anche l’atto con cui lo storico cerca di ri-costruire la storia si inscriva a sua volta in una tradizione, fatta di fonti tramandate e soprattutto di innumerevoli interpretazioni delle stesse. Questo significa semplicemente che anche il fare storia è un atto storico, e la consapevolezza di questo farà sì che lo storico, nell’ereditare il pacchetto delle fonti e delle domande ad esse rivolte, si interroghi criticamente se tali domande si siano appropriate e da conservare, o se sia opportuno abbandonarle e porne di nuove.
Ma non riesco a vedere in che modo la natura storica e tramandata del fare storia dovrebbe rendere questa essenzialmente identica e indistinguibile rispetto alla “storia testimoniata” di una serie di fonti (ad es. il Nuovo Testamento) e della loro ricezione e tradizione da parte di una comunità.

I vangeli canonici ci trasmettono delle storie su Gesù filtrate e rimodellate attraverso le prospettive e le problematiche proprie dei loro autori e dei loro destinatari, le quali non solo possono essere anacronistiche rispetto alle vicende di cui narrano (si pensi alla presenza di cristologie, situazioni comunitarie e conflitti tipici di decenni successivi), ma, anche quando non lo sono, offrono comunque un’inquadratura del tutto parziale e limitata di tali vicende, e che non offrono lumi, o non ne offrono a sufficienza, a molti degli interrogativi che lo storico ha l’esigenza di porre.
Stando così le cose, lo storico non solo deve filtrare queste testimonianze eliminando gli aspetti anacronistici o che si devono palesemente agli interessi delle sue fonti, ma si trova anche a dover decostruire queste narrazioni per ricostruirne artificialmente una propria, in cui le informazioni tramandate dalle fonti sono riviste e riposizionate entro un modello di contesto storico-politico-sociale-economico-religioso che non è dato dalle fonti stesse.

(...continua...)

Johannes Weiss ha detto...

Qualche semplice esempio per essere più chiari. L’urbanizzazione della Galilea condotta da Antipa (ricostruzione di Sefforis e fondazione di Tiberiade) aveva avuto un impatto negativo (sfruttamento dei villaggi per il mantenimento di un’aristocrazia e di una burocrazia percepite con ostilità) oppure positivo (occupazione nei cantieri, mercati per i prodotti locali) per la popolazione rurale? Il rapporto dei Galilei verso Gerusalemme e il Tempio era di riconoscimento pacifico della sua centralità simbolica, oppure esistevano tradizionali attriti e diffidenze? Qual era la presenza dei farisei in Galilea, quale il loro peso politico e la loro influenza sociale?
A seconda di come si risponde a queste domande - e i vangeli da soli non bastano a farlo, ma si deve ricorere a Flavio Giuseppe, alle ricerche archeologiche, e infine a modelli per interpretare il complesso dei dati - è evidente che l’immagine di Gesù cambia considerevolmente.

Sicché la situazione è la seguente: da un lato abbiamo le “storie testimoniate” di Gesù che troviamo nei vangeli canonici, le quali sono certamente fondative per la fede, ma che, prese di per sé, non sono in grado di offrire un profilo storico adeguato della figura e della vicenda di Gesù; dall’altro abbiamo le “storie ricostruite” degli storici, le quali hanno il pregio di offrire una conoscenza storica adeguata, ma che presentano il doppio svantaggio (dal punto di vista teologico) di poterlo fare solo decostruendo le “storie testimoniate” e di offrire in cambio delle ricostruzioni necessariamente ipotetiche e sempre falsificabili.
In sintesi: le storie dei vangeli non bastano allo storico, e le storie degli storici non bastano al credente.

(...continua...)

Johannes Weiss ha detto...

Io trovo che questa dicotomia tra “storia testimoniata” (che costituisce l’oggetto diretto dell’atto di fede, e più in generale la tradizione e l’identità di una comunità/istituzione religiosa) e “storia ricostruita” (oggetto della nostra curiosità intellettuale e benefico antidoto agli eccessi ideologici e alle tendenze all'auto-assolutizzazione di cui le istituzioni religiose - e non solo, ovviamente - sono tentate), sembra semplicemente ineludibile.

E non credo che sia opportuno a questo riguardo tirare in ballo la questione della “verità”, rispetto alla quale il “vero” ricercato dallo storico non è che un lontano parente. La storia di Gesù che troviamo nel vangelo di Giovanni (per prendere il caso più lampante, ma lo stesso vale, essenzialmente, anche per i sinottici e per la storia della comunità cristiana in Atti) è “vera”? Evidentemente, al di là di alcune memorie storiche incastonate qua e là, nel suo complesso si tratta di una testimonianza inaccettabile per lo storico.
Ma la verità dello storico - ossia: un’approssimazione probabilistica a quanto accadde in un dato tempo e luogo - è anche la verità tout court? O la verità è una questione infinitamente più grande che se anche si intreccia con la storia (come cristiani e filosofi ben ritengono) ne resta però sempre trascendente (pace Hegel)? Ma in questo caso io non credo proprio che sia possibile far valere la proprietà transitiva: la verità tout court (quella che interessa il credente) e la verità dello storico sono cose profondamente diverse, e pertanto impossibilitate a validarsi o smentirsi reciprocamente.