Quando ho iniziato a confrontarmi con l'intricata questione dei detti sinottici sul Figlio dell'uomo, ero dell'opinione che ad essere nel giusto fosse, sostanzialmente, la "scuola" che sosteneva l'autenticità dei detti apocalittici sulla venuta futura del F.d.U., e l'origine secondaria e comunitaria di tutti gli altri (F.d.U. sofferente, F.d.U. che ha autorità nel presente). In sostanza, si trattava di dare ragione ad autori come Bultmann, Tödt, Fuller, Higgins, Yarbro Collins, Becker. In realtà non ero così convinto che Gesù veramente attendesse il F.d.U. come se si trattasse di un personaggio celeste che avrebbe portato la salvezza definitiva (da questo punto di vista, avrebbero ragione i Vielhauer e i Conzelmann ad osservare che la "soteriologia" del Regno - già presente - propria di Gesù, non ammette spazio per un ulteriore figura di redentore futuro), e pensavo quindi che avesse ragione Becker a sostenere che, più che una figura vera e propria, "Figlio dell'uomo" era impiegato da Gesù come "simbolo" per indicare il giudizio (Becker si riferisce in particolare a Lc 12,8 e Lc 17,26-30).
Ora, la tesi di Becker non ha smesso di convincermi. Tuttavia ho cominciato a inquadrarla entro una più ampia tesi - di tradizione inglese - che guarda al Figlio dell'uomo nei detti di Gesù come ad un simbolo corporativo (conformemente allo stretto legame tra "uno come un figlio d'uomo" e il "popolo dei santi dell'Altissimo" in Daniele; vedi anche quello tra il F.d.U. come "eletto" e gli "eletti" in 1Enoch) con cui Gesù poteva esprimere il destino, di sofferenza prima e di giustificazione e conferimento del potere poi, che attendeva lui e il suo gruppo. Ciò mi ha condotto alle seguenti conclusioni:
Ora, la tesi di Becker non ha smesso di convincermi. Tuttavia ho cominciato a inquadrarla entro una più ampia tesi - di tradizione inglese - che guarda al Figlio dell'uomo nei detti di Gesù come ad un simbolo corporativo (conformemente allo stretto legame tra "uno come un figlio d'uomo" e il "popolo dei santi dell'Altissimo" in Daniele; vedi anche quello tra il F.d.U. come "eletto" e gli "eletti" in 1Enoch) con cui Gesù poteva esprimere il destino, di sofferenza prima e di giustificazione e conferimento del potere poi, che attendeva lui e il suo gruppo. Ciò mi ha condotto alle seguenti conclusioni:
1) la possibile autenticità di Mc 9,31: "Il Figlio dell'uomo è consegnato nelle mani degli uomini, e lo uccideranno, e ucciso, dopo tre giorni risorgerà" (difendibile del resto anche per altre vie: Maurice Casey pensa che "F.d.U." fosse solo un'espressione generica, che nulla aveva a che fare con la visione di Daniele, ma difende nondimeno con forza l'autenticità del detto).
Esso esprimerebbe, appunto, il destino di sofferenza e di tribolazione (cf. Mt 11,12: il regno soffre violenza; Mc 10,38: Gesù e discepoli devono ricevere un "battesimo" e bere un "calice" (della morte); Mc 8,35: seguire Gesù può significare perdere la vita; Lc 12,49,50: Gesù porta un fuoco sulla terra ed è angustiato finché non riceve un "battesimo"; Thom. 82: essere vicini a Gesù, è essere vicini al fuoco...ma chi sceglie di stargli lontano, si allontana oltre che dal fuoco, anche dal Regno) che attende Gesù e il suo gruppo, prima che Dio li vendichi (come i santi dell'Altissimo) conferendo loro il regno e il giudizio (Lc 12,32: il piccolo gregge riceverà il regno; Lc 22,28.30: i discepoli siederanno su troni - cf. i troni in Dn 7 - a giudicare le 12 tribù di Israele).
2) La visione del F.d.U. che viene sulle nubi non era intesa da Gesù letteralmente: egli si riallacciava all'immagine danielica come simbolo per esprimere il destino del suo gruppo. Il "venire sulle nubi" non è anzitutto un discendere dalla terra al cielo, bensì un ascendere verso il trono alla destra di Dio, il che è a sua volta il simbolo visionario per indicare il conferimento del regno e del giudizio al proprio gruppo, nell'ambito di una escatologia di restaurazione d'Israele.
Ciò mi induce, molto a malincuore, a dar ragione - ma solo su questo preciso punto! - a N.T. Wright che nei suoi libri argomenta in continuazione che né Gesù né i suoi uditori si sarebbero mai sognati di concepire qualcosa di così "crassamente letteralistico" come un essere celeste che scende sulla terra cavalcando le nuvole: essi sapevano invece riconoscere una buona metafora, quando ne vedevano una. Specifico però che su tutto il resto Wright ha rigorosamente torto.
Ciò mi induce, molto a malincuore, a dar ragione - ma solo su questo preciso punto! - a N.T. Wright che nei suoi libri argomenta in continuazione che né Gesù né i suoi uditori si sarebbero mai sognati di concepire qualcosa di così "crassamente letteralistico" come un essere celeste che scende sulla terra cavalcando le nuvole: essi sapevano invece riconoscere una buona metafora, quando ne vedevano una. Specifico però che su tutto il resto Wright ha rigorosamente torto.
3) Contrariamente a proponenti di questa interpretazione "corporativa" del F.d.U., come Morna Hooker, non sono però convinto che si possano salvare i detti sull' "autorità del F.d.U. nel presente: Mc 2,10 (il F.d.U. ha potere di perdonare i peccati sulla terra) e Mc 2,28 (il F.d.U. è signore del sabato). Ritengo che qui ci sia lo "zampino" della comunità primitiva. Ma non è questa la sede per argomentarlo.
Qual è il punto forte di questa tesi? Beh, se il Figlio dell’uomo non è altro che un simbolo per indicare la consegna del Regno e del giudizio da parte di Dio al gruppo di Gesù, allora i detti sul F.d.U. si armonizzano alla perfezione con i detti sul Regno: i due principali filoni della tradizione sinottica che, tuttavia, non comparendo praticamente mai insieme, avevano indotto qualcuno (Philipp Vielhauer) a pensare che soltanto uno dovesse essere originario e l’altro (quello del F.d.U.) secondario. Ma, come si vede, quello di Vielhauer è un aut-aut mal posto: Figlio dell’uomo e Regno di Dio sono le due facce della stessa medaglia (con il Figlio dell’uomo che rappresentava, forse, la “cifra” centrale dell’auto-identità del gruppo di Gesù).
Seguono ora le due citazioni (una cortissima e una lunghissima) che mi hanno instradato verso questa tesi.
R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, p. 143
“Mi sento quindi vicino a M.D. Hooker, The Son of Man in Mark, London, 1967, pp. 174-198, che aggiunge all’espressione una dimensione corporativa (cfr. l’identificazione danielica tra il figlio dell’uomo e il popolo dei santi dell’Altissimo): Gesù si presenterebbe come il nucleo della comunità dei giusti ed eletti, e in quanto tale lascia aperta la strada a chi è pronto ad unirsi a lui”
DALE C. ALLISON Jr., Jesus of Nazareth. Millenarian Prophet, Fortress, Minneapolis, 1998, pp. 65-66
“L’interpretazione collettiva del “Figlio dell’uomo” nella tradizione su Gesù era un tempo popolare presso gli esegeti britannici (ad es. J.R. Coates, A.T. Cadoux, T.W. Manson, C.J. Cadoux, C.H. Dodd, il tardo Vincent Taylor) ma ha perso credito negli ultimi tempi (sebbene Morna Hooker e C.F.D. Moule l’abbiano ancora promossa). Essa merita di essere riesaminata:
1) Se Gesù non utilizzò “il Figlio dell’uomo” come un auto-designazione esclusiva, si spiegherebbe perché, al di fuori della tradizione su Gesù, il termine non divenne mai un titolo cristologico.
2) In generale, molti detti su Gesù hanno in vista ciò che Gerd Theissen chiama Gruppenmessianismus; vedi il suo articolo “Gruppenmessianismus: Überlegungen zum Ursprung der Kirche im Jüngerkreis Jesu”, Jahrbuch für Biblische Theologie 7 (1992), pp. 101-23. E il Giudaismo conosceva un tale “messianismo di gruppo”; vedi Hartmut Stegemann, “Some Remarks to 1QSa, to 1QSb, and to Qumran Messianism”, RevQ 65-68 (1996), pp. 479-505, e Annette Steudel, “The Eternal Reign of the People of God – Collective Exprectations in Qumran Texts (4Q246 and 1QM)”, RevQ 65-68 (1996), pp. 507-25.
3) In Daniele 7 “uno come un figlio d’uomo” può essere identificato con i santi dell’Altissimo, e alcuni esegeti pre-moderni lo leggevano in questo modo; vedi Maurice Casey, Son of Man: The Interpretation and Influence of Daniel 7 (London: SPCK, 1979, pp. 51-98.
4) Se “il Figlio dell’uomo” per Gesù significava i santi degli ultimi giorni, allora possiamo comprendere perché, in un testo come Q 12,8-9, Gesù è strettamente associato con il “Figlio dell’uomo” e tuttavia i due non sembrano essere identici.
5) L’interpretazione collettiva spiega perché alcuni interpreti siano riusciti a trovare in molti testi sul “Figlio dell’uomo” un senso generico.
6) Questa interpretazione chiarifica inoltre il misterioso Mc 9,12b; vedi il mio articolo “Q 12:51-53 and Mk 9:9-11 and the Messianic Woes”.
7) 1Tess 4,15-17 è strettamente imparentato con Mc 9,1; 13, 24-27, e Mt 24,30-31. Ma laddove nei testi sinottici è il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi, in Paolo sono il Signore Gesù e i santi, sia risorti che vivi. Il che significa che in 1Tess 4,15-17 i santi non attendono che Gesù venga sulla terra, bensì lo raggiungono sulle nuvole. Ciò ha senso se la tradizione primitiva prevedeva la venuta del Figlio dell’uomo come la venuta dei santi.
8) Il “troni” (plurale) di Dn 7,9 può essere meglio compreso come riferimento ai troni di Dio e dell’ “uno come un figlio d’uomo”. Ciò ha importanza, in quanto Q 22,30, che potrebbe risalire a Gesù, probabilmente allude a Daniele 7 e colloca una collettività (i seguaci di Gesù in Luca, i dodici in Matteo) su “troni”. In altre parole, il testo può essere interpretato come se significhi che i discepoli avranno il ruolo dell’ “uno come un figlio d’uomo” (cfr. Ap 20,4).
9) In Lc 12,32, che può risalire anch’esso a Gesù, ai discepoli di Gesù viene detto che essi riceveranno il regno. In Dn 7,14 il figlio dell’uomo riceve il regno, come avviene per i santi nei versi 18 e 27. Di nuovo, è possibile comprendere il detto nel senso che il “resto” che circonda Gesù adempie il ruolo della figura in Daniele.
6) Questa interpretazione chiarifica inoltre il misterioso Mc 9,12b; vedi il mio articolo “Q 12:51-53 and Mk 9:9-11 and the Messianic Woes”.
7) 1Tess 4,15-17 è strettamente imparentato con Mc 9,1; 13, 24-27, e Mt 24,30-31. Ma laddove nei testi sinottici è il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi, in Paolo sono il Signore Gesù e i santi, sia risorti che vivi. Il che significa che in 1Tess 4,15-17 i santi non attendono che Gesù venga sulla terra, bensì lo raggiungono sulle nuvole. Ciò ha senso se la tradizione primitiva prevedeva la venuta del Figlio dell’uomo come la venuta dei santi.
8) Il “troni” (plurale) di Dn 7,9 può essere meglio compreso come riferimento ai troni di Dio e dell’ “uno come un figlio d’uomo”. Ciò ha importanza, in quanto Q 22,30, che potrebbe risalire a Gesù, probabilmente allude a Daniele 7 e colloca una collettività (i seguaci di Gesù in Luca, i dodici in Matteo) su “troni”. In altre parole, il testo può essere interpretato come se significhi che i discepoli avranno il ruolo dell’ “uno come un figlio d’uomo” (cfr. Ap 20,4).
9) In Lc 12,32, che può risalire anch’esso a Gesù, ai discepoli di Gesù viene detto che essi riceveranno il regno. In Dn 7,14 il figlio dell’uomo riceve il regno, come avviene per i santi nei versi 18 e 27. Di nuovo, è possibile comprendere il detto nel senso che il “resto” che circonda Gesù adempie il ruolo della figura in Daniele.
10) Come T.W. Manson osservò molto tempo addietro, c’è una sorprendente corrispondenza “tra le predizioni del Figlio dell’uomo e le richieste fatte da Gesù ai discepoli. Sempre e di nuovo viene impresso loro che il discepolato è sinonimo di sacrificio e sofferenza, e della croce stessa. Questo suggerisce che ciò Gesù aveva in mente era che lui e i suoi seguaci insieme dovessero condividere quel destino che egli descrive come la passione del Figlio dell’uomo, il Resto che salva attraverso il servizio e l’auto-sacrificio” (The Teaching of Jesus, 2d ed. Cambridge: Cambridge University Press, 1935, p. 231).
P.S. giugno 2009: questo post non rappresenta più la mia posizione sul problema del Figlio dell'uomo, che si caratterizza ora come un "misto" tra quelle - tra loro tutte diverse - di J. Becker, A. Yarbro Collins, J. Dunn e B. Chilton... ma non dico di più!