mercoledì 11 giugno 2008

Ma la Third Quest esiste?

Ma la Third Quest esiste?
Sono d’accordo con Piccolo Zaccheo sul fatto che, fondamentalmente, non è mai esistito nulla come una First, Second e Third Quest. Ciò che è esistito sono solo lavori storici più o meno accomunati, di volta in volta, da certi metodi, criteri, presupposti. First, Second e Third Quest sono soltanto categorie storiografiche utili a livello introduttivo per un orientamento generale, per cogliere una serie di punti fondamentali, ma spesso inadeguate e inservibili non appena si va un po’ più a fondo.
Personalmente, cerco di evitare il più possibile di impiegare l’etichetta “Third Quest”. L’ho fatto nel post precedente, perché comunque ci sono persone che utilizzano tale etichetta, e, nella misura in cui si dialoga con loro, è possibile ricorrervi. Nonostante ciò, io ritengo che, specialmente nel modo spesso impreciso con cui viene impiegata dagli stessi studiosi, la categoria “Third Quest” sia poco utile se non proprio inservibile.

Che cosa è infatti “Third Quest”, quali sono i punti salienti di questa presunta corrente?

1) Mancanza di interessi teologici. Gli studi sul Gesù storico che vanno sotto l’etichetta di “Second Quest”, pur essendo in sé stessi di tipo storico, nascevano a partire da una prospettiva teologica, quella per cui, a partire da Kaesemann, si va retrospettivamente alla ricerca della dimensione storica racchiusa nel Kerygma. In sostanza, la “Second Quest” aveva un’origine teologico-fondamentale. Al contrario, la “Third Quest”, anche quando è rappresentata da studiosi confessionali e perfino ecclesiastici, non è mossa da alcun interesse teologico, è solo e unicamente pura storia. Questo sembra effettivamente essere il caso dei lavori di autori – solo per fare due o tre nomi - come Sanders, Fredriksen, e anche Meier. Tuttavia vi sono ancora studiosi, come Witherington, Penna, Dunn e Schlosser, che continuano a mantenere una certa prospettiva teologica “retrospettiva”, nella misura in cui si propongono di andare alla ricerca della “cristologia di Gesù” e di individuare la sua autoconsapevolezza (che è appunto un interrogativo tipicamente di origine teologica).

2) Considerazione positiva del Giudaismo del Secondo Tempio. Anche gli autori della Second Quest, ovviamente, interpretavano Gesù in relazione al suo ambiente giudaico, tuttavia questo assolveva non di rado la funzione di “fondo scuro” su cui far risaltare la novità di Gesù. Da questo punto di vista, Sanders ha effettivamente rappresentato un punto di cesura nella storia della ricerca, mettendo fine a tutta una serie di caricature del Giudaismo, e affermando la necessità di guardare al Giudaismo del Secondo tempio come al contesto positivo (e non negativo) grazie al quale (e non contro il quale) comprendere Gesù.

3) Ridimensionamento, riformulazione o abbandono del criterio di dissomiglianza. Questa è semplicemente l’altra faccia della medaglia del punto di cui sopra. La precedente accentuazione del criterio di dissomiglianza (appartiene sicuramente al Gesù storico solo ciò che è dissimile e non derivabile dal Giudaismo del suo tempo e dalla predicazione della chiesa primitiva) come principio a partire dal quale cominciare la ricostruzione del Gesù storico (cf. Norman Perrin), faceva necessariamente apparire Gesù come un essere fondamentalmente eccentrico ed estraneo rispetto al proprio ambiente, così da ottenere, in sostanza, un “Gesù contro il giudaismo” piuttosto che un “Gesù nel giudaismo”. Al contrario, la “Third Quest” si caratterizza per A) un ridimensionamento o abbandono del criterio di dissomiglianza come criterio “guida”, in favore della costruzione di un ipotesi generale che inserisca positivamente Gesù nel giudaismo del suo tempo, e che renda ragione al contempo degli esiti peculiari della sua predicazione (la nascita del proto-cristianesimo), come accade nei lavori di Sanders, Fredriksen, Allison, Wright. B) la riformulazione del criterio di dissomiglianza in un criterio di plausibilità contestuale, attraverso il quale le tradizioni gesuane vengono considerate nella loro conformità al contesto giudaico e, al contempo, nella loro relativa specificità rispetto ad esso (cf. Theissen).

4) Abbandono o ridimensionamento di una considerazione “atomistica” del materiale evangelico. Diversi esponenti della Third Quest non procedono più mediante un’analisi “tradizione per tradizione”, con cui i diversi loghia vengono passati al setaccio dei vari criteri e, laddove possibile, ricondotti alla loro ipotetica forma primitiva. Esempi eclatanti di questo abbandono dell’ “approccio atomistico” sono i lavori di Sanders, Fredriksen, Allison e Wright. Tuttavia un esponente eccellente della Third Quest quale John Paul Meier procede proprio mediante un’analisi a dir poco “pachidermica” dei singoli detti, e – da una prospettiva totalmente diversa - abbiamo il Jesus Seminar con la sua ricerca dei detti e fatti autentici di Gesù (cf. The Five Gospels), o anche un Crossan, il quale imposta il suo lavoro su una scrematura generale di tutto il materiale gesuano attraverso una ben precisa (ma anche molto contestabile) stratificazione delle (assai numerose) fonti, congiuntamente al criterio di molteplice attestazione (con la discutibile implicazione di escludere a-priori tradizioni che potrebbero tranquillamente soddisfare criteri come quello di dissomiglianza o di plausibilità contestuale e quello di imbarazzo,qualora queste siano attestate da una sola fonte indipendente).

5) L’impiego di una vasta gamma di fonti per la ricostruzione del Gesù storico. John Dominic Crossan è certamente l’emblema più eclatante di questa nuova tendenza della ricerca, che, qui in Italia, è stata ben recepita (benché non sulla stessa linea complessiva di Crossan) da Mauro Pesce. Persino in un libro sostanzialmente di orientamento conservatore e di taglio divulgativo come quello di Armand Puig i Tarrech è possibile imbattersi in numerose citazioni dei vangeli di Tommaso, di Pietro ed altri ancora. Il vangelo di Tommaso viene considerato da alcuni autori (vedi Patterson) come addirittura la fonte principale per la ricostruzione del Gesù storico insieme all’ipotetico strato primitivo sapienziale di Q. Da altri, viene semplicemente tenuto in considerazione come possibile fonte di alcune tradizioni indipendenti rispetto a quelle sinottiche. Altri ancora, tuttavia, come Meier, negano che Tommaso, e tutti gli “apocrifi” in genere, possano contenere tradizioni indipendenti di qualche valore per lo studio del Gesù storico.

6) L’impiego delle scienze sociali e antropologiche. Molti autori contemporanei fanno abbondante uso dei metodi e dei risultati delle scienze sociali e antropologiche (fondamentali in tal senso i lavori di autori come Bruce Malina, Richard Rohrbaugh, Denis Duling e del Context Group in genere). Crossan ricorre a piene mani all’antropologia culturale, Theissen e Horsely sono gli esempi migliori e più noti dell’applicazione della sociologia allo studio del Gesù storico, e anche in uno studioso “classico” come Dale Allison possiamo notare il ricorso centrale al paradigma “millenaristico” per interpretare la figura di Gesù. Anche in Italia è arrivato un importante esempio di tale linea della ricerca: il volume “Il nuovo Gesù storico”, a cura di B. Malina, W. Stegemann e G. Theissen, edito da Paideia. Tuttavia molti autori continuano a fare ricerca in modo sostanzialmente indipendente dagli studi sociologici e antropologici, ad es. Sanders, Wright, Meier, Schlosser.

In conclusione, sebbene questi sei punti caratterizzino effettivamente in modo significativo il complesso delle opere sul Gesù storico apparse negli ultimi venti-venticinque anni, tuttavia è evidente che nessuno di essi è effettivamente oggetto di un vero e proprio consenso. Se definiamo la Third Quest - come sarebbe corretto fare a partire da come viene definita da colui che ha inventato l’etichetta stessa, ossia N.T. Wright – in relazione alla tendenza a vedere Gesù positivamente all’interno del Giudaismo del Secondo Tempio, è necessario escludere autori come Crossan, Patterson, Mack, Downing e il Jesus Seminar in genere, per i quali la giudaicità di Gesù è di portata marginale (Crossan) o perfino nulla (Mack).
E, ripeto, escludere questa linea di studiosi dalla corrente “Third Quest” è in effetti corretto e doveroso; peccato però che siano molti tra gli stessi studiosi (e non solo qualche approssimativo divulgatore) a inserire nella Third Quest autori come Crossan e Borg (ma Borg in effetti – come riconosce anche Wright – sotto certi aspetti ci può stare), e dal momento che questa inclusione di Crossan e dello stesso Jesus Seminar nella Third Quest si è fatta tutt’altro che rara, è necessario domandarsi quanto sia effettivamente utile l’impiego di tale etichetta storiografica.
E anche le altre divergenze (soprattutto: ipotesi complessiva VS studio atomistico dei logia; ampio ventaglio di fonti VS limitazione sostanziale ai vangeli canonici; ricorso alle scienze sociali e antropologiche VS impiego del metodo storico-critico “classico”) contribuiscono a rendere ulteriormente approssimativo l’impiego del comun denominatore “Third Quest”.

3 commenti:

massimo-ekpyrosis05 ha detto...

Ho visto che in molti post, compreso quest'ultimo, è usato il termine "conservatore". Che cosa si intende esattamente con questo aggettivo? Ha senso da un punto di vista storiografico?
Un cordiale saluto
Masimo - ekpyrosis05

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Johannes Weiss ha detto...

Naturalmente “conservatore” è un termine decisamente impreciso, la cui valenza è diversa a seconda del contesto in cui è inserito e l’aspetto di cui si parla. Pensa che ho sentito un noto studioso italiano definire conservatore pure J.P. Meier!! Ora, in assoluto Meier non può essere affatto essere definito un conservatore, tuttavia se uno considera aspetti particolari come, ad es., la negazione di qualsiasi valore per la ricostruzione del Gesù storico delle fonti extra-canoniche, persino del vangelo di Tommaso, o il mancato dialogo con le scienze sociali e antropologiche, ecco che si può dare del “conservatore” pure a Meier. Personalmente, nell’ambito dei “Jesus questers” – lasciando da parte il grado in cui ci si lascia coinvolgere dalle più nuove metodologie - credo che si possa definire uno studioso come “conservatore” quando i risultati a cui giunge il suo lavoro storico, rispetto a tutti i diversi punti controversi della materia, presentano una conformità completa o molto alta con il genere di risultati che il teologo fondamentale o il teologo dogmatico gradirebbero ricevere.
In concreto, uno studioso è conservatore in maniera direttamente proporzionale a quante tesi sostiene (e a quanto e come vi insiste) tra quelle seguenti: 1) Le tradizioni sinottiche – ma spesso anche quelle giovannee – vengono considerate tutte o in larga parte autentiche, al punto da poterle assumere come risalenti al Gesù storico senza sottoporle a particolari discussioni critiche. E, inversamente, ci si guarda bene dal dire apertamente che certi detti o narrazioni hanno origine post-pasquale e comunitaria. 2) Gesù ebbe consapevolezza della propria divinità, o, almeno, di un trovarsi in un rapporto con il Dio-Abbà di carattere unico e qualitativamente differente rispetto a quello di chiunque altro. Tale rapporto viene espresso in pochissimi detti in cui Gesù si autodesigna come “il Figlio”. 3) Gesù ebbe coscienza di essere il Messia. 4) Gesù si autodefinì come Figlio dell’uomo, e tutti e tre i tipi di detti sul F.d.U. - giudice escatologico, attività presente, sofferenza(riscatto) morte-risurrezione – risalgono al Gesù storico. 5) Per Gesù il regno di Dio era già totalmente giunto e presente con la sua stessa persona. Egli non annunciò quindi la venuta futura del regno di Dio, oppure lo fece ma concependo tale futuro come indeterminato, nient’affatto imminente. Oppure concepì questo evento escatologico come imminente, esso però non consisteva in nient’altro che nella distruzione di Gerusalemme e del tempio. In sostanza: Gesù non si sbagliò. 6) Gesù ebbe intenzione e coscienza di fondare la chiesa. 7) Gesù fu il fondatore del cristianesimo; egli non fu un ebreo. 8) Gesù rivendicò esplicitamente un’autorità della sua persona superiore a quella di Mosè, e concepì il suo vangelo come superiore alla Legge. 9) Gesù ruppe radicalmente e consapevolmente con una serie di punti chiave della religiosità ebraica, come la sacralità del sabato o le leggi di purità. 10) Gesù ebbe coscienza e l’intenzione programmatica di dare la sua vita come riscatto salvifico.
Ora, non voglio dire che ognuna di queste tesi, singolarmente presa, sia “conservativa”; alcune, qualora vengano presentate in modo sfumato e non massimalista, possono essere storicamente fondate o almeno sostenibili (penso, ad es., alle numero 3,4,8, e, in maniera minimalista anche la 10 e la 2 – divinità a parte). Nella misura però in cui esse vengono invece presentate in modo massimalista e, soprattutto, a seconda di quante di esse vengono sostenute, si può dire che lo studioso sia più o meno conservatore.