venerdì 29 maggio 2009
Crossan come padre spirituale
martedì 26 maggio 2009
J. Moltmann e l'incubo del predicatore
Ho grande rispetto per i metodi scientifici con i quali i miei colleghi studiosi di NT indagano i testi, mi permetto tuttavia di porre degli interrogativi teologici. (...)
Come andrebbero i testi del NT, qualora si vogliano leggere nel senso dei loro autori e nel senso di ciò di cui essi parlano. In tal caso, da oggetti della ricerca essi diventerebbero soggetti del discorso e noi diventeremmo in primo luogo “uditori della parola”.
Che cosa infatti vogliono dirci i testi del NT? Essi vogliono annunciarci il vangelo di Gesù Cristo, vogliono raccontarci e comunicarci il Vangelo per risvegliare la fede. Naturalmente si possono esaminare i drammi storici di Shakespeare anche dal punto di vista storico-critico per quanto riguarda la storia dei re a cui sono dedicati. Ma si può poi comprenderne la drammaticità?
Per chiarire la cosa in modo un po’ forte ricorro ad un incubo. Mi immagino di salire sul pulpito di una chiesa per annunciare il vangelo e, se possibile, per suscitare la fede. Non ci sono però uditori delle mie parole. Sui banchi siede uno storico che analizza criticamente i fatti di cui io parlo, uno psicologo che analizza la mia psiche così come la rivelo attraverso il mio discorso, un antropologo culturale che osserva il mio stile personale, poi un sociologo che indaga la classe sociale di appartenenza della quale mi considera un rappresentante, e così via. Tutti analizzano me e quello che io voglio dire, ed ecco la cosa peggiore: nessuno mi contraddice, nessuno vuole discutere con me quello che io ho detto.
(dalla lectio magistralis Comprendi quello che leggi?, testo inedito scritto da J. Moltmann per il Festival della teologia, tradotto e letto da Daria Dibitonto)
sabato 23 maggio 2009
Der Weg(-gegangenheit) Jürgen Moltmanns. Abwesenheit in messianischen Dimensionen
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martedì 5 maggio 2009
Romano Penna: "Il cristianesimo? Un anacronismo...nato due volte"
Paolo infatti non sa, non conosce affatto cosa sia il “cristianesimo”: egli un giudeo, che crede in Cristo e vive in Cristo, certo, ma pur sempre un giudeo. L’emergere del cristianesimo come fenomeno religioso dotato di una propria identità specifica, tale da distinguersi come altro rispetto al giudaismo (o ai giudaismi), sarebbe avvenuta molto più tardi. Il cristianesimo dunque non nasce come una religione, sebbene certamente lo diventerà (Penna ironizza sul IV secolo: “fatidico e forse fatale”): “Ma, in origine, Gesù non ha voluto fondare una religione e Paolo tanto meno”.
Dopo questa precisazione – finalizzata ad un impiego consapevole e critico di un linguaggio che, per quanto giustificabile per esigenze di comodità, non corrisponde però a quello delle origini – Penna ha presentato la sua tesi personale (mutuata da L. Cerfaux) sulla nascita del cristianesimo, secondo cui: “Il cristianesimo è nato due volte, e non una soltanto: è nato una volta con Gesù di Nazaret ed è nato una volta con la fede pasquale”.
Il fascino della novità: Gesù alla scuola del Battista
E a quanto pare Gesù doveva essere sensibile alle “novità”, dal momento che egli stesso fu tra coloro che si misero al seguito di Giovanni, divenendone discepolo. In un secondo momento, tuttavia, Gesù si mise, per così dire, “in proprio”, in quanto aveva da annunciare qualcosa che non trovava posto nel messaggio del Battista: la regalità di Dio, una regalità hic et nunc all’insegna non tanto del giudizio di condanna – come si esprimeva invece Giovanni – quanto dell’offerta di grazia e dell’accoglienza verso i poveri, sia in senso sociale che etico (i “poveri in spirito”, Mt 5,3).
Gesù dunque emerse dal movimento battista con una propria originalità che ben presto lo impose all’attenzione del più ampio ambiente giudaico. Tuttavia, prima di soffermarsi sulla sua “originalità”, è bene comprendere quanto integralmente egli appartenesse a tale ambiente. Se infatti è vero che, come riporta il Vangelo di Giovanni, il Logos si è fatto carne, sarebbe però opportuno precisare ulteriormente: non solo carne, ma giudeo, israelita! L’ebraicità di Gesù è un dato fondamentale, non solo in senso etnico, ma anche culturale: egli pensa con le categorie di Israele, vive la fede di Israele. Come riporta un documento della Santa Sede per il dialogo con gli ebrei uscito negli anni ’80: “Gesù è ebreo e lo è per sempre”. “Non è tradizionale esprimersi in questi termini – sottolinea Penna – ma è giusto, assolutamente giusto”.
Itineranza, Legge, Regno:originalità di un ebreo singolare
Un'altra grande originalità di Gesù risiede nel suo particolare rapporto con la Legge mosaica. Non che egli ne dichiari la caducità (come farà invece Paolo), tuttavia con il suo comportamento concreto l’ha in certo modo relativizzata in funzione del bene dell’uomo: laddove questo si scontra con la formulazione del precetto, è il precetto a dover venir meno, come si vede negli atteggiamenti che Gesù assume sulle questioni del sabato e delle regole di purità levitiche. In poche parole, rimarca con enfasi Penna: “Gesù era un uomo libero”.
Il terzo aspetto di originalità consiste nella centratura dell’annuncio di Gesù sull’idea del regno di Dio, non tanto coniugata al futuro e in senso spaziale (alla stregua cioè di un dominio “politico”), bensì nella sua valenza dinamica, che denota l’agire salvifico di Dio nel momento presente, e soprattutto – il che è ancora più singolare – in connessione organica alla persona di colui (Gesù stesso) che lo rende realmente presente nell’annuncio ai poveri, nell’accoglienza e nella condivisione con gli emarginati, nelle guarigioni dei malati: “il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21).
Tutti questi elementi mostrano in modo chiaro come l’ebreo Gesù “spiccasse” all’interno del suo ambiente, e per certi aspetti (come nel caso del rapporto con la Legge, o una certa critica al tempio negli ultimi giorni della sua vita) non esitasse ad andare persino “controcorrente”, il che, in definitiva fu la ragione che lo condusse a “non morire tranquillamente nel suo letto”.
La rivoluzione di Pasqua. Secondo inizio del cristianesimo
Un punto, questo, sul quale Penna ha voluto offrire una puntuale chiarificazione: propriamente parlando, la risurrezione di Gesù non è un evento storico. Bisogna infatti distinguere tra ciò che è storico e ciò che reale: non tutto ciò che è reale è anche storico, ossia documentabile storiograficamente, anzi l’ambito del reale è di gran lunga più vasto e comprensivo della “fetta” di cose ed eventi che sono documentabili e ricostruibili dallo storico.
Ebbene, la risurrezione di Gesù è certamente un evento reale, e tuttavia non suscettibile di documentazione storica, poiché tutto ciò che lo storico riesce a stringere tra le sue mani sono gli annunci di coloro che tale evento, unico e inaudito, hanno sperimentato nella fede, mentre non abbiamo nessuna documentazione specifica del risorgere di Gesù.
Nondimeno – ribadisce Penna – bisogna pure che qualcosa si sia verificato, affinché quella sorta di “armata Brancaleone” (sic) dei discepoli, dispersa e annichilita in seguito alla morte del maestro, ribaltasse completamente la propria situazione, e la stessa sua comprensione di Gesù, divenendo l’instancabile portatrice di un annuncio scandaloso e incomprensibile per molti loro fratelli ebrei: che Dio abbia costituito Messia un crocifisso, un maledetto, e che lo abbia fatto risorgere come singolo, mentre la storia è ancora in corso, laddove le attese giudaiche dominanti guardavano ad un Messia potente e vittorioso e ad una risurrezione generale alla fine dei tempi.
Una fede nata al plurale e che genera pensiero
Una pluralità di “ritratti di Gesù il Cristo” che attesta la profondità inesauribile dell’evento con cui Dio ha pienamente manifestato sé stesso, e che al tempo stesso sancisce la dignità e l’imprescindibilità del pensiero, della razionalità e dell’ermeneutica, nell’accostarsi al Mistero. E di ciò il massimo esempio è proprio Paolo, che come ebbe a scrivere Albert Schweitzer, “assicurò per sempre nel cristianesimo il diritto di pensare”.
Egli non fu infatti un mero ripetitore del messaggio cristiano, bensì un suo profondo e originale rielaboratore, che mise al centro della sua vita e di quella delle “sue” chiese, nient’altro che la figura personale di Gesù crocifisso e risorto, dando ampio spazio all’ “impatto antropologico” della adesione a tale figura attraverso la giustificazione per sola fede, anziché per le opere della Legge, opponendosi così alla tentazione giudeo-cristiana - sempre presente - di far coesistere entrambe.
“Io ho sempre auspicato – ha concluso Penna, quasi volendo offrire un augurio e un invito a tutti i presenti - che quest’anno paolino portasse finalmente a scoprire che ciò che è più originale nel cristianesimo sono i dati pre-morali, non quelli morali: la grazia di Dio, la morte e risuscitazione di Gesù Cristo, la fede nuda in lui, questi sono tutti dati pre-morali che, a differenza dell’etica, non hanno corrispondenze da nessuna parte. E proprio Paolo ci proietta in questa direzione, in una gratuità totale, per cui non la legge ci salva, ma Gesù Cristo e la fede in Lui”.