Mi riallaccio volentieri ad un post su Paulus 2.0 (che a sua volta rimanda al blog di Loren Rosson) in cui si segnalano i libri di Pieter Craffert (2008) e Dale Allison (2010), come indicatori delle attuali tendenze nella ricerca sul Gesù storico.
Secondo Rosson le due opere manifestano affinità a prima vista sorprendenti, dal momento che l'una delinea la figura di uno sciamano, l'altra del classico profeta apocalittico (e tuttavia se, come è stato sostenuto, sciamani erano anche i "descenders to the chariots" degli scritti "hekhalot", e se questi rappresentano a loro volta uno sviluppo della letteratura apocalittica - ecco che la sorpresa è già ridimensionata).
A mio modesto giudizio gli approcci (e i risultati) dei due studiosi restano notevolmente differenti (Craffert ambisce addirittura a segnare una svolta storiografica), sebbene io stesso riconosca una significativa convergenza nel comune abbandono - per strade diverse - della pretesa di poter autenticare singoli detti o fatti di Gesù.
Qui vorrei però dire la mia sul confronto tra la tipologia sociale dello sciamano e quella del profeta apocalittico. Una volta riconosciuto quello che è chiaramente il maggior punto di contatto tra di esse - le esperienze di rivelazione e di accesso al mondo celeste -, la mia impressione è però che lo sciamano sia una figura decisamente più “statica” del profeta.
Lo sciamano agisce infatti – nelle sue varie funzioni di guaritore, rivelatore, custode/innovatore del patrimonio culturale – nei confronti e a beneficio di una comunità, il cui riconoscimento è la condizione di possibilità del suo stesso ruolo.
Secondo Rosson le due opere manifestano affinità a prima vista sorprendenti, dal momento che l'una delinea la figura di uno sciamano, l'altra del classico profeta apocalittico (e tuttavia se, come è stato sostenuto, sciamani erano anche i "descenders to the chariots" degli scritti "hekhalot", e se questi rappresentano a loro volta uno sviluppo della letteratura apocalittica - ecco che la sorpresa è già ridimensionata).
A mio modesto giudizio gli approcci (e i risultati) dei due studiosi restano notevolmente differenti (Craffert ambisce addirittura a segnare una svolta storiografica), sebbene io stesso riconosca una significativa convergenza nel comune abbandono - per strade diverse - della pretesa di poter autenticare singoli detti o fatti di Gesù.
Qui vorrei però dire la mia sul confronto tra la tipologia sociale dello sciamano e quella del profeta apocalittico. Una volta riconosciuto quello che è chiaramente il maggior punto di contatto tra di esse - le esperienze di rivelazione e di accesso al mondo celeste -, la mia impressione è però che lo sciamano sia una figura decisamente più “statica” del profeta.
Lo sciamano agisce infatti – nelle sue varie funzioni di guaritore, rivelatore, custode/innovatore del patrimonio culturale – nei confronti e a beneficio di una comunità, il cui riconoscimento è la condizione di possibilità del suo stesso ruolo.
Questa “integrazione” non mi sembra invece essere così essenziale del profeta, il quale non di rado appare come una figura dai tratti conflittuali (e non è certo un caso che la dimensione conflittuale della vicenda di Gesù non riceva pressoché alcuna attenzione nel libro di Craffert).
Comunque stiano le cose in astratto, nel caso di Gesù penso che il suo stile di vita itinerante, il suo ruolo di outsider e la sua stigmatizzazione come deviante non s’inquadrino benissimo entro il modello sciamanico. Ritengo perciò preferibile vedere in Gesù il leader profetico (con venature sciamaniche, se si vuole) di un movimento, piuttosto che il broker celeste di una specifica comunità.
Comunque stiano le cose in astratto, nel caso di Gesù penso che il suo stile di vita itinerante, il suo ruolo di outsider e la sua stigmatizzazione come deviante non s’inquadrino benissimo entro il modello sciamanico. Ritengo perciò preferibile vedere in Gesù il leader profetico (con venature sciamaniche, se si vuole) di un movimento, piuttosto che il broker celeste di una specifica comunità.