giovedì 23 settembre 2010

C'era una volta un teologo...

Un teologo accese una lanterna in pieno giorno, raggiunse la piazza del paese e cominciò a gridare: “Cerco l’uomo! Cerco l’uomo!”. In un baleno, usci e finestre si spalancarono da ogni lato e uno sciame caotico di voci e schiamazzi avvolse il teologo. Dopo qualche istante di sbigottimento, il teologo riprese coraggio, si lucidò gli occhiali e cominciò a guardare un po’ meglio intorno a sé.

Dall’osteria a due passi, un gruppo di persone, tutti intenti a giochicchiare con palloncini colorati, tra cui spiccava un certo Funky Bob, gli si rivolgeva animatamente: “E’ qui, è qui al party che scherza e si sollazza con vino e porchetta insieme a tutti noi!”.

E subito la voce gentile di un omino esile di nome Dominique Croissant, lo corresse affettuosamente: “Dai vecchio Bob, non essere così gretto! Sì, d’accordo, cibo, bere e perfino cure gratis per tutti sono una gran cosa. Ma non banalizziamo: quello che veramente accade qui dentro è molto di più: è una rivoluzione, è un mondo alternativo in cui tutti siamo fratelli. Un mondo proprio come lo vorrebbe il buon Dio”.

BUUURP! Improvvisamente le amichevoli parole di Dominique furono interrotte da un rumore cavernoso, proveniente giusto da due passi più in là, fuori dalla porta dell’osteria, dove stavano due individui dall’aspetto sudicio e poco rassicurante. Uno pisciava contro il muro, l’altro se ne stava acquattato dentro una botte, fischiettando imperturbabile un motivetto, incurante di tutto il trambusto in corso. Il primo rivolse, svogliato, una mezza parola al teologo: “Burp… io mi chiamo Burton Crack. Chi cerchi probabilmente è lui – disse,accennando con un lieve movimento del capo al suo amico nella botte – , o magari no. Ad ogni modo, chissenefrega”.

“Ma piantala, testa parlante! – lo interruppe a sua volta un altro tizio, proveniente dal centro della piazza - Con la farsa di questo tuo evasivo menefreghismo piccolo-borghese, non fai che il gioco dei potenti!” . “Buon giorno, compagno! – si rivolse poi al teologo – Il mio nome è Richard, Richard “il cavallerizzo”, e colui che cerchi è laggiù, in mezzo a quella folla, vedi? Stiamo facendo un’assemblea popolare, c’è tutto il paese… o quasi… perché dobbiamo essere uniti – così lui ci dice -, porre fine ai nostri contenziosi, e capire che solo maturando una vera coscienza di classe contadina saremo in grado di resistere…”.

“Ma resistere a cosa, a chi, buono uomo? Alle tasse, alle angherie dei preti cattivi asserviti ai re, per non parlare del bigottume degli uomini di legge? ” – soggiunse ironicamente un signore elegante e ben educato, seppur con uno stridente accento texano – Ma suvvia, guardati intorno: credi davvero che la vita quaggiù sia peggiore e più intollerabile che altrove? E dove sarebbero poi tutte queste tasse e questa fantomatica folla arrabbiata di cui vai blaterando? Buon uomo, tutto quel che mi riesce di vedere è invece che il grande e il piccolo osservano la stessa legge, frequentano gli stessi bagni comunali, e, quando tempo e impegni lo permettono, salgono sullo stesso autobus per andare alle grandi celebrazioni in città!”.

“Buongiorno! – disse a quel punto l’uomo ben educato, rivolgendosi al teologo -. Il mio nome è Edoardo Parrocchia S. e non ho potuto fare a meno di sentire che stavate cercando qualcuno. Purtroppo non so dirvi dove ora si trovi. Tutto ciò che so, e che ritengo sia possibile sapere con un ragionevole grado di probabilità, è che è stato qui e che si è creato un piccolo seguito a cui promise un grande destino in un qualche “regno” che si sarebbe dovuto manifestare molto presto. Certo era un sognatore, ma non mi risulta in ogni caso che abbia mai avuto grane con nessuno, e, checché ne dicano gli altri, anche l’ultima volta che lo si è visto – presso il tempio giù in città, intento, pare, a ribaltare due o tre tavoli -, dubito che intendesse davvero fare polemiche o creare disordini, piuttosto che dar semplicemente sfogo a qualche impulso del suo spirito utopico. Anche se forse, dopo tutto, quella potrebbe non essere stata la più prudente delle idee…”. “Sempre che abbia fatto veramente qualcosa, nel tempio, Ed!” – lo interruppe una passante di aspetto assai gradevole. “D’accordo, Paula, d’accordo” – replicò lui, sorridendo bonariamente.

Ed ecco che subito gli si avvicinò un uomo delicato e dagli occhi tristi, di nome Dale Jr., o piu semplicemente Junior, che, annuendo, si riallacciò alle parole del gentleman texano: “Sì, l’ho visto anch’io. Era proprio un sognatore e le sue parole di speranza mi hanno incantato. Noi tutti eravamo ricolmi del più alto entusiasmo, ed era come se le sue promesse di beatitudine e di soluzione di ogni male e ingiustizia, di un mondo completamente rinnovato e trasformato, senza più lacrime e lutto, stessero già per materializzarsi davanti a noi. E invece tutto è finito ed ogni cosa è rimasta esattamente quella di prima. E benché tutte quelle speranze non fossero appunto altro che sogni, io credo nondimeno che è proprio in nome di questi sogni, e solo di essi, che valga la pena continuare a vivere”.

“Oh, piantala Dale con questi piagnistei – proruppe vigorosamente un uomo di grossa stazza dalla testa ovale e calva, che avanzava, in abito ecclesiastico, a grandi passi dalla cattedrale -. Ma è possibile che tu sia ancora così imbevuto di quel crasso letteralismo che vede dappertutto la fine del mondo, dello spazio-tempo, e uomini che volano sulle nubi? Su dai, vieni con me, e venite anche Voi – disse rivolendosi al teologo – dentro in chiesa, che ci sediamo nella cappella di San Schweitzer e vi rispiego daccapo la storia della sua fondazione. Sì, perché dovete sapere che la nostra chiesa è nata proprio da quell'uomo che voi cercate, anzi, è veramente la piena, perfetta e insuperabile realizzazione di tutte le sue profezie di redenzione e di giudizio che erroneamente tu, Dale, intendevi in senso cosmico. Ma fidati di me, che so riconoscere una buona metafora quando ne incontro una: lui non parlava d’altro che dell’abbattimento del vecchio tempio giù in città, ormai troppo logoro per poter essere restaurato, e della conseguente erezione della nostra bellissima cattedrale e della nascita del vero popolo di Dio, che io, vescovo Nicola Tommaso il Giusto, ho la grazia di poter guidare”.

Il teologo si fermò a contemplare ammirato la grandiosa maestà della cattedrale, ma dopo poco il suo sguardo non poté fare a meno di spostarsi su di un altro edificio, ancora più monumentale del primo, ma che a differenza di questo non aveva per nulla l’aspetto di un luogo sacro. Era piuttosto un palazzo immenso, composto di quattro enormi piani, e che al tempo stesso sembrava però essere ancora incompiuto, un cantiere aperto, quasi che non potesse smettere di continuare a crescere all’infinito, fino a toccare la cupola del cielo.

D’un tratto, da ognuno dei balconi dei piani del palazzo, si affacciarono quattro omini tutti uguali, magri e dal volto pallido, con enormi paia di occhiali demodé, e tutti portavano sul capo una strana mitra non-papale. “Salve!” – esclamarono in coro, sorridenti e affabili, i sedici omini -. “Io sono Giovanni Paolo il Cattolico” – soggiunsero i primi -; “Io sono Giovanni Paolo il Protestante” – fecero eco i secondi -; “Io sono Giovanni Paolo l’Agnostico” – aggiunsero i terzi; “Io sono Giovanni Paolo l’Ebreo” – dissero infine i quarti. “Siamo chiusi qui dentro da sedici anni in conclave – proseguirono tutti all’unisono – con lo scopo di ricreare in laboratorio l’uomo che anche tu stai cercando. Entra pure se vuoi: al primo piano potrai trovare il suo scheletro, al secondo la sua bocca e qualche suo sputo misto a fango, al terzo ci sono gli elenchi di tutti numeri telefonici che ha chiamato e di quelli che non ha chiamato. Al quarto, poi, i cui lavori sono da poco terminati, potrai udire spezzoni di noiose discussioni legali che ti consentiranno di apprezzare la nostra più certa e straordinaria conclusione: l’uomo che cerchi, non era americano! Ma se vuoi saperne di più, ti consigliamo di accomodarti nell’atrio e aspettare che terminiamo il nostro conclave. Ci metteremo un po’ forse, ma presto o tardi ne usciremo, non temere!”.

A queste ultime parole, il teologo cominciò a sentirsi mancare. Aveva le traveggole e gli pareva di delirare. Vedeva i sedici omini occhialuti guardarlo dall’alto con il loro imperturbabile sorriso, e, girandosi intorno a sé, si accorse che anche tutti gli altri interlocutori precedenti non avevano mai cessato di seguirlo e di sussurrargli i loro discorsi negli orecchi. E, peggio ancora, quanto più in là i suoi occhi si spingevano, e tanta più gente vedeva affluire da ogni direzione, e tutti si sbracciavano e gli gridavano: “E’ qui! E’ qui! Lo puoi trovare da noi!”.

Infine, tutto cominciò ad annebbiarsi e l’ultima cosa che il teologo vide fu la fiamma della sua lanterna spegnersi.

venerdì 17 settembre 2010

Eins, Zwei, Drei – A chi serve la sistematizzazione della ricerca su Gesù?

Se c’è una cosa nel mondo degli studi sul Gesù storico che mi riesce difficile comprendere, è l’intramontabile mania storiografica di periodizzare e sistematizzare la storia della ricerca.

Illuminante da questo punto di vista è il nuovo libro di Giuseppe Segalla La ricerca del Gesù storico (Queriniana), che riprende il diffuso schema First/Old Quest – No Quest - Second/New Quest – Third Quest, incentrandolo non più diacronicamente sulla successione di “fasi” quanto piuttosto sull’individuazione di paradigmi metodologici ed epistemologici che possono ripresentarsi in epoche diverse.

Essi sarebbero essenzialmente tre: 1) il paradigma illuministico (prima ricerca); 2) il paradigma kerygmatico (nuova ricerca); 3) il paradigma giudaico postmoderno (terza ricerca), a cui Segalla aggiunge una fase cronologica di transizione tra il paradigma illuministico e quello kerygmatico (corrispondente al cosiddetto periodo di “no quest”).

Il primo di essi sarebbe rappresentativo oltre che delle opere pionieristiche di Reimarus e Strauss e delle vite di Gesù “liberali”, anche dalla reazione escatologica a queste ultime da parte di Weiss e Schweitzer. E non solo: seguendo forse James Dunn (cfr. La memoria di Gesù vol. 1, pp. 69-74), Segalla include in questo paradigma anche le recenti interpretazioni sociologiche di Gesù da parte di Horsley, Theissen e Herzog e quelle antropologiche di Crossan, Pesce e Aguirre, in quanto appunto esempi di “neoliberalismo sociale”.

Il paradigma kerygmatico invece comprende i due movimenti inversi e complementari succedutisi nell’ambito della teologia kerygmatica: uno di fuga dalla storia (Kähler, Bultmann e la sua ripresa recente da parte di Luke Timothy Johnson) e uno di ritorno alla storia, notoriamente rappresentato dai lavori dei discepoli di Bultmann (Käsemann, Bornkamm, Robinson), ma anche da quello recentissimo dello studioso giapponese Takashi Onuki (Jesus. Geschichte und Gegenwart, Neukirchener Verlag, 2006).

Da ultimo, vi sarebbe il grande paradigma giudaico postmoderno della Third Quest, che secondo l’Autore, presenta una chiara e distintiva identità a livello storiografico, come pure metodologico e teologico.

Dal punto di vista storiografico, questo paradigma sarebbe caratterizzato dal riconoscimento dell’impossibilità di un atteggiamento puramente oggettivo dello storico verso il suo oggetto (oggettività che non può dunque più essere rivendicata dallo storico non credente rispetto a quello credente, anzi); visione pluralista e non più monolitica del giudaismo del tempo di Gesù; approccio olistico (detti e fatti) e abbandono della trattazione analitica delle singole tradizioni su Gesù in favore di una visione complessiva della sua figura e vicenda (Segalla nota però che questo non è il caso di Meier).

Dal punto di vista metodologico, il nuovo paradigma si caratterizza per il ricorso ad una più ampia gamma di fonti sia indirette (scritti di Qumran, Nag Hammadi, letteratura intertestamentaria) che dirette (vangeli extra-canonici, i quali però vengono però ritenuti da Segalla, sulla scia di Meier, storicamente non affidabili o ininfluenti), per il ripensamento dei tradizionali criteri di autenticità e per l’apporto dei metodi sociologici, antropologici e letterari. Infine, dal punto di vista teologico, il paradigma della Terza Ricerca si caratterizza per la distinzione ma al tempo stesso per il legame e l’inseparabilità tra metodo storico e metodo teologico, dal momento che la fede è parte integrante delle testimonianze storiche su Gesù e che l’indagine storica aiuta a comprendere lo sviluppo della fede cristologica.

Segalla resta invece un po’ sul vago quando si tratta di illustrare non le caratteristiche bensì i concreti esponenti di questo paradigma. Non certo gli studiosi afferenti il Jesus Seminar, che vengono invece inquadrati come una ripresa della Prima Ricerca, con influssi della Seconda. Senza dubbio rappresentativi sono invece Sanders e Charlesworth, come pure Meier, la cui opera viene esplicitamente giudicata la migliore della Terza Ricerca, nonostante il fatto che il suo approccio analitico sia diametralmente opposto alla “visione d’insieme” (alla Sanders) che dovrebbe essere tipica della Terza Ricerca. Probabilmente Segalla include tra gli esponenti del paradigma anche Puig i Tarrech e Pagola, come pure Dunn e Bauckham, sebbene a proposito di questi ultimi egli sia incerto se si debba parlare di un “secondo versante della Terza Ricerca” o di un vero e proprio quarto paradigma.

Ora, uno può essere più o meno d’accordo o in disaccordo con questa rappresentazione storiografica della ricerca proposta da Segalla e che con le caratteristiche che egli ravvisa nei vari paradigmi elencati (e, limitandomi anche solo a quello della presunta Terza Ricerca, io dubito che si possano effettivamente ravvisare tutte quelle convergenze a livello storiografico, metodologico e teologico che Segalla ritiene di aver individuato). Ma quello che io mi chiedo è, quand’anche la si accetti, che cosa se ne guadagna? Qual è la sua utilità? La mia opinione è che essa non conduca ad altro che ad una serie di etichette notevolmente astratte che non solo non apportano alcun insight positivo, ma addirittura rischiano di risultare equivoche e fuorvianti.

Cosa ho guadagnato quando ho messo in uno stesso pentolone illuminista e liberale (o neo-liberale) Reimarus, Strauss, Renan, Weiss, Schweitzer, Theissen, Horsley e Crossan, e in un altro pentolone postmoderno Sanders, Meier, Puig i Tarrech, Dunn e Bauckham? Questi accomunamenti aiutano a comprendere meglio le posizioni degli studiosi in questione? O piuttosto sono realizzati ad un livello di astrazione tale da rappresentare poco o nulla di esse, o, peggio ancora, da indurre il lettore non specializzato a giudizi privi di reale fondamento?

Francamente non mi riesce proprio di capire come si possa pretendere di dare un contributo positivo di conoscenza, quando si sussumono 230 anni di ricerca e centinaia di studiosi in tre grandi barattoli. Penso che si possa fare della buona storiografia rinunciando a grandi generalizzazioni e limitandosi a fare accostamenti, individuare filoni e tracciare tendenze nella misura in cui ciò si rivela effettivamente significativo. L’identificazione di modelli e paradigmi può essere utile solo entro un certo grado di astrazione, oltrepassato il quale si ha solo il flatus vocis.

Nel complesso, l’impressione che mi sono fatto di questa schematizzazione della ricerca (consapevolmente didattica) offerta da Segalla, è che altro non sia che un prontuario ad uso di teologi che non hanno o il tempo o la voglia di cimentarsi con la estrema varietà, pluralità e contraddittorietà di approcci e risultati che caratterizzano ineludibilmente il panorama della ricerca. Siccome una ricognizione della ricerca per quello che realmente è, risulterebbe di fatto inutilizzabile per il teologo, si cerca allora di confezionargli una fantomatica Terza Ricerca che presenti una tanto chiara quanto inesistente identità a livello di assunti storiografici, metodologie e rapporto epistemologico con la fede, così che il teologo è soddisfatto e può cominciare a costruirci sopra.