sabato 20 giugno 2009

Ernst Käsemann und das Problem des Bratwurst-Jesu


Ormai è divenuto d’uso comune mettere in guardia da un impiego esagerato del criterio di discontinuità o doppia dissomiglianza. Ma in che cosa consisterebbe quest’uso esagerato? Ernst Käsemann ce ne offre un esempio eccellente. Si consideri il seguente breve passo:

Le problème difficile de la mesure où cette prédication a été conditionnée par une attente apocalyptique. Ce problème est également difficile parce qu’on ne peut guère prouver avec certitude l’authenticité, là où existe un accord avec le judaïsme tardif ou avec la communauté post-pascale.

Dunque, per Käsemann, collocare l’annuncio di Gesù sul regno di Dio nell’alveo dell’escatologia apocalittica (o, in modo impreciso, “apocalittica”) sarebbe problematico per la semplice ragione che non è possibile avere la certezza là dove la tradizione di Gesù si mostra in accordo con il “tardo giudaismo” (oggi: mediogiudaismo o giudaismo del secondo tempio) o con la comunità post-pasquale. Questa posizione verrà totalmente ribaltata a partire da E.P. Sanders, il quale, in modo decisamente più assennato, ritiene che l’unico modo per arrivare al Gesù storico è di seguire le tracce di colui dal quale Gesù ha preso le mosse (il Battista) e di coloro che a loro volta hanno preso le mosse da Gesù (la comunità primitiva). Ora, siccome il profilo dell’uno e dell’altra presenta marcati tratti escatologici-apocalittici, il buon senso dello storico ne conclude che lo stesso valeva per Gesù. Questo argomento viene oggi etichettato da Bart Ehrman nel modo seguente: the beginning and the end as the key sto the middle.

Quello di Käsemann, invece, io lo definirei l’argomento del Bratwurst: se intorno a Gesù c’è soltanto escatologia-apocalittica, ne segue che Gesù doveva essere… un Bratwurst. Un sostenitore odierno del Bratwurst-Jesu è J.D. Crossan, il quale ha risposto all’argomento sandersiano della continuità (obiettatogli da Allison) facendo riferimento a Gandhi, il quale fu un isola pacifista in un contesto di violenza e oppressione prima e dopo di lui. Ma nel caso di Gandhi parliamo di un clima generale, o macrocontesto, da cui egli differisce; il discorso è invece molto diverso per Gesù che fu discepolo di un apocalittico ed ebbe discepoli apocalittici.

Ma il colmo è che dopo aver eliminato l’escatologia-apocalittica dalla predicazione di Gesù, in quanto non possiamo essere del tutto sicuri che fosse proprio sua, Käsemann finisce per attribuire a Gesù la concezione più improbabile di tutte (peggio ancora del “regno sapienziale” di Crossan!), ossia l’ermeneutica escatologica di Rudolf Bultmann!

Mais enfin, contrairement aux outrances de Dodd et à son affirmation d’une eschatologie déjà réalisée, il faudra bien accorder que Jésus a parlé du Royaume de Dieu au futur. Le problème est seulement de savoir en quel sens il l’à fait. De la parole de Jésus, il ressort toutefois que la Basileia apparaît comme se frayant un chemin sur terre, et plaçant les hommes devant leur actualité et devant la décision entre l’obéissance et la désobéissance. (…) Car Jésus n’est pas venu pour prêcher des vérités générales, religieuses ou morales, mais pour dire ce qu’il en est de la Basileia qui commence à paraître, c’est-à-dire que Dieu s’est approché de l’homme dans la grâce et l’exigence

Esagerazioni e paradossi del criterio di discontinuità o doppia dissomiglianza, oggi giustamente reinterpretato da Gerd Theissen come “plausibilità contestuale” (ossia relativa originalità all’interno di una fondamentale affinità) e da Tom Holmen come dissomiglianza “a senso unico”, ossia esclusivamente rispetto alla comunità post-pasquale, e non invece rispetto al giudaismo del tempo.

(citazioni riprese da: E. Käsemann, Essais exégétiques, Delachaux & Nestlié, Neuchatel, 1972, p. 171)

mercoledì 17 giugno 2009

J.P. Meier su Jimmy Dunn: un errore...marginale?

Perhaps the common mistake of so much of the quest for the historical Jesus in the last two centuries was that it was not a truly historical quest at all. More often than not, it was an attempt at a more modern form of Christology masquerading as a historical quest (…) it was used to re-articulate Christology in more contemporary and scientific modes – think, for instance, of Joachim Jeremias or Ben Meyer.

(…) I see the important work of NT Wright (Jesus and the Victory of God, Christian Origins and the Question of God 2, Minneapolis, Fortress, 1996) in this light. In other words, I consider the book not an example of the quest for the historical Jesus as such, but rather a prime example of how one goes about appropriating results of the quest for a larger theological/Christological project. The matter is more complicated when it comes to the fine work of James D.G. Dunn Jesus Remembered (Christology in the making 1: Grand Rapids, MI/Cambridge, UK: Eerdmans, 2003). Much in this individual volume can stand on its own as a treatment of the historical Jesus. As the title of the series indicates, though, this volume is viewed as part of a larger Christological project.

(J.P. Meier, A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus. Vol. 4: Law and Love, Yale University Press, 2009, New Haven/London, p. 6 e p. 23, n. 17)

Difficilmente si potrà contestare l’affermazione che abbiamo citato di Meier, alla pag. 6 del suo nuovo quarto volume di A Marginal Jew. Forse non sarebbe del tutto esagerato dire che il Gesù storico veramente storico è nato soltanto con E.P. Sanders. Niente da dire quindi su questo. Ma i problemi arrivano con la relativa nota 17 (p. 23) in cui Meier inquadra anche i lavori di Wright e Dunn , come esempi di: 1) appropriazione teologica dei risultati della ricerca storica (Wright); 2) ricostruzione storica al servizio di un più ampio progetto cristologico-teologico (Dunn).

Entrambi i punti sono decisamente discutibili. Ci dispiace, ma Wright non è affatto un teologo che si appropria dei risultati della critica storica, o almeno non lo è nel suo Jesus & the Victory of God. Ciò che Meier applica a Wright si addice non a lui, bensì alle opere di Pannenberg, Kasper, Küng, Schillebeeckx, O’Collins, Bordoni, Sobrino, Schwarz, McDermott, Gamberini etc. Qui si che abbiamo a che fare con cristologie che si appropriano dei risultati della ricerca storica. Ma con Wright, invece, abbiamo uno studioso che [per lo meno nel suo volume su Gesù, il discorso è invece diverso per quanto riguarda il progetto complessivo, come si può intuire dal riferimento del titolo a “the question of God”] si propone nelle vesti di storico, e non di teologo. Gli interrogativi che guidano il suo lavoro sono: “How does Jesus fit into the Judaism of his day? What were his aims? Why did he die? How did the early church come into being, and why did it take the shape it did? And why the gospels are what they are?” (Jesus & the Victory of God, p. 90). Ossia, interrogativi che si collocano per lo più in una prospettiva storica, in modo, almeno nominalmente, affine al programma sandersiano di evidenziare i “legami connettivi” (“ci fu una sostanziale coerenza tra quanto Gesù ebbe in mente, il modo in cui vide il rapporto con la propria nazione e con la religione del suo popolo, la ragione della sua morte e l’inizio del movimento cristiano”; E.P. Sanders, Gesù e il giudaismo, Genova, Marietti, 1990, p. 36). Non è che Wright non sia uno storico: il problema è piuttosto che la sua ricostruzione storica si basa su un approccio alla tradizione sinottica che non è esagerato definire a-critico, in cui non un solo detto o parabola viene dichiarato inautentico. Non è dunque, come afferma Meier, che il suo lavoro non sia un esempio della ricerca storica su Gesù: semplicemente non ne è un buon esempio.

Ma l’equivoco è ancora maggiore nel modo in cui Meier inquadra il lavoro di Dunn. Come riconosce lo stesso Meier, Jesus Remembered è a pieno titolo un’opera sul Gesù storico, e di livello oltretutto notevole. Al massimo si potrà considerare un “retaggio” di “interesse cristologico” il notevole spazio dedicato alla questione del modo in cui Gesù comprendeva sé stesso (Part IV, pp.615-764), che è appunto un approfondimento tipico degli approcci cristologici, anche se di per sé può costituire semplicemente un interrogativo di carattere storico (come ad es. in The Historical Figure of Jesus di E.P. Sanders). Ma Meier compie un errore clamoroso allorché sostiene che, pur essendo un’opera storica, il Jesus Remembered di Dunn s’inquadra in un più ampio progetto cristologico: egli infatti sta confondendo la collana in questione (Christianity in the Making – di cui ora è stato pubblicato il secondo volume, Beginning from Jerusalem, il quale - per opinabili che possano essere le sue posizioni - è esso pure un'opera puramente storica sulle origini della chiesa) con un importante e giustamente famosa opera di cristologia neotestamentaria dello stesso Dunn, che si intitolava, questa sì!, Christology in the Making (SCM Press, London, 1980 e seguenti edizioni).

In sintesi: mentre nei confronti di Wright, l’errore è intenzionale e costituisce senza dubbio un modo di prendere le distanze dal suo lavoro nel modo più cortese e politically correct possibile (dicendo che non è un’opera storica, anziché riconoscere che semplicemente è una cattiva opera storica!), nel caso di Dunn l’errore è probabilmente involontario, nondimeno appare alquanto bizzarro, specialmente se si considera che Jesus Remembered reca in quarta di copertina proprio un elogio di Meier!

A marginal... mistake?

lunedì 15 giugno 2009

The best Jesus' scholar of this aeon: sondaggio riaperto!

Riaperto il sondaggio. C'è tempo fino al 2012 per votare il miglior Jesus Quester della presente era, dopodiché - secondo gli ultimi rumours - il mondo dovrebbe finire, e quindi non avrete più possibilità di esprimere le vostre preferenze. Affrettarsi quindi.
Rispetto al vecchio sondaggio, come si sarà notato, sono aumentati in misura notevole i candidati in lizza per l'ambito riconoscimento. Non ci sono proprio tutti, ovviamente, ma quasi.
Il sondaggio era stato sospeso con la seguente classifica parziale:

6: Barbaglio
5: Pesce
3: Benedetto XVI, Jeremias, Meier
2: Allison, Chilton (clamoroso!), Ehrman, Jossa, Messori (nel frattempo estromesso d'ufficio), Puig i Tarrech, Ricciotti, Sanders
1: Berger, Charlesworth, Dunn, Fredriksen, Horsley

Una classifica caratterizzata da una significativa tendenza conservatrice-apologetica (vedi Benedetto XVI, Messori, Ricciotti, Puig, Berger e in un certo senso pure Jeremias), benché ai vertici vi siano studiosi moderati-liberali come Barbaglio e Pesce. Stupefacente invece la doppia preferenza per Bruce Chilton, di cui in Italia non è stato tradotto assolutamente nulla.
Ma ora avanti! Da qui al 2012 tutto può succedere, perfino che gli ultimissimi (i Crossan, Borg e Mack con un sonoro zero collettivo) diventino i primi...

P.S. il numero dei voti complessivi che compare attualmente (in basso) comprende solo i voti dalla riapertura (o nuova creazione) del sondaggio, non invece quelli del sondaggio vecchio, che sono stati tuttavia ugualmente ri-assegnati ai singoli studiosi.

sabato 13 giugno 2009

Anarchy from the U.K. ovvero Maurice Casey l'indipendente

Maurice Casey è uno studioso al vetriolo. Io non ho la minima idea se abbia molti o pochi amici nell’ambiente, ma quel che è certo è che, quando si tratta di fare critiche ai colleghi, lui è proprio il tipo che non te le manda a dire. Mai offensivo, sempre spietato. Per questo sarà un piacere tutto speciale (oltre che per l'indiscusso valore dello studioso) poter leggere il suo nuovo libro sul Gesù storico, di cui non si conosce ancora la data di uscita, ma il cui indice dei contenuti è stato anticipato, con permesso del Professore, da Jim West sul suo blog (vedi qui: http://ia301506.us.archive.org/2/items/casey_181/jesuscon.pdf).

Già il titolo è tutto un programma: Jesus of Nazareth. An Independent Historian’s Account of His Life and Teaching. Capito? Non un altro storico che scrive un libro su Gesù, bensì, finalmente, uno storico indipendente! Ciò che Casey intende rivendicare, è stato da lui stesso spiegato in un recente saggio, che, tra l’altro, dovrebbe all’incirca coincidere con il primo capitolo del nuovo libro.

I remain nonetheless convinced that further progress is possible, and that this could enable us to establish the main points of Jesus’ ministry, as well as a detailed account of many significant events in it. (…) What prevents us from doing as much as this is not that facts cannot be established, nor the inherently distorting effects of constructing a narrative containing them. It is that most people belong to communities which control their view of Jesus. It is accordingly the responsibility of those of us who have the good fortune to work in decent independent universities to carry this work forward. If we do not do so, nobody will, for everyone else is too fond of their own group’s stories, whether these are born of acceptance or rejection of the Christian faith. It is therefore of central importance that we proceed vigorously, with all the evidence and techniques at our disposal.

(Maurice Casey, “Who’s Afraid of Jesus Christ? Some Comments on Attempts to Write a Life of Jesus”, in J.G. CROSSLEY – C. KAMER, Writing History, Constructing Religion, Ashgate, Aldershot, 2005, p. 144)

Certo, Casey non intende proclamarsi come il primo storico indipendente in assoluto ad occuparsi di Gesù. Nelle pagine precedenti di quel saggio, egli infatti elogia Geza Vermes e Ed Parish Sanders come esempi di indipendenza e apportatori di un significativo progresso nella ricerca. Altrove, Casey ha espresso parole di lode anche per il suo maestro Charles Kingsley Barrett (“a man of unimpeachable integrity who is never deliberately biased, and who never discriminated against anyone of different convictions”, nonostante all’epoca fosse più famoso come predicatore carismatico che come studioso), nonché per Matthew Black, Alan Segal e altri.

Tuttavia ci chiediamo: e che diranno tutti gli altri oltre a Vermes e Sanders? Accetteranno Meier, Dunn, Theissen e Marguerat (per fare illustri esempi di studiosi confessionali, rispettivamente cattolico, anglicano, luterano, riformato...a cui, come dice Casey, andrebbero affiancati gli studiosi che sono "dipendenti" in virtù, o in vizio, del loro rifiuto della fede cristiana) di essere implicitamente etichettati come non-independent historians?

martedì 2 giugno 2009

"....a che cosa paragoneremo la fonte Q?....". Maurice Casey parabolista


The title of Robinson’s essay indicates the Gattung, or genre, which he found for Q: LOGOI SOPHON  , which he translates as ‘sayings of the sages’, or ‘words of the wise’. Robinson sought
to establish the existence of this genre by referring to a wide variety of sayings collections.
(...) Accordingly, the existence of such documents as m. Abot and the Gospel of Thomas showed that a collection of sayings of Jesus was a possible document: scholars who had maintained that a document in the form of the proposed Q was impossible had been shown to be wrong. That should have been an important gain, and it is regrettable that problems with this genre have prevented it from being such.
The major problem is the nature of this genre itself. If we chop a sonnet in half, we get two halves of a sonnet. A sayings collection is like a worm: if we chop it in two, we get two sayings collections, perhaps a little damaged at the ends. Similarly, if we have an epode and we add
another epode, we get two epodes. A sayings collection is like a glass of Trockenbeerenauslese: pour it into a bigger glass with another glassful, and we still have one glass of Trockenbeerenauslese, and some of us like it better for being bigger; add a sayings collection to another sayings collection and we get one bigger sayings collection.
In practice, this meant that all kinds of tricks could be played with Q. It could be thought to have grown in stages, or to have had different versions, merely because of differences in its supposed parts, but these might have belonged to different documents altogether.

(Maurice Casey, An Aramaic Approach to Q, Cambridge University Press, Cambridge, 2002, p. 24)

lunedì 1 giugno 2009

Apocalyptic doubts no. 1. Definizioni indefinite: Crossan e l'escatologia per tutte le stagioni

Come noto, tra gli studiosi regna il caos quando si tratta di definire categorie come “escatologia”, “escatologia apocalittica”, “apocalittica”, “apocalisse” etc. Figuriamoci cosa succede quando si tratta di inquadrare la figura di Gesù attraverso le suddette categorie!

Per fare solo un esempio, il più grande campione di un Gesù “non-escatologico”, J.D. Crossan, è precisamente uno studioso che difende strenuamente il carattere “escatologico” del suo Gesù... dove "escatologico" equivale però a “world-negating”, ossia ad una prospettiva critica di rifiuto del presente o dello status quo, e che in quanto tale costituisce una delle fondamentali opzioni dello spirito umano, capace di trovare espressione nelle forme più diverse: escatologia apocalittica, escatologia etica, escatologia sapienziale, escatologica ascetica, escatologia mistica, escatologia millenaristica, escatologica messianica...

Ma allora, quando si finisce per qualificare come “escatologica” (in senso ascetico) perfino la teologia (o la protologia) del vangelo di Tommaso, l’impiego del termine “escatologia” ha ancora un senso, o non è piuttosto divenuto pleonastico?